Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14717 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2021, (ud. 26/02/2020, dep. 27/05/2021), n.14717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2668/2013 R.G. proposto da:

Z. A. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Tullio

Elefante (PEC (OMISSIS)) presso il quale in Roma, alla via Cardinal

de Luca n. 10 è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 189/48/12 depositata il 01/06/2012, non notificata;

Udite le relazioni della causa svolte nell’adunanza camerale del

26/02/2020 e nella successiva adunanza camerale – a seguito di

riconvocazione del Collegio – del 03/03/2021 dal Consigliere Roberto

Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria e in riforma della sentenza di primo grado quindi confermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per IVA, IRAP e IRES 2005;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione la società contribuente con ricorso affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si censura la gravata sentenza per insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione ai maggiori ricavi accertati, oggetto dell’appello principale dell’Agenzia delle Entrate alle CTR, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere il giudice dell’appello reso motivazione non sufficiente, che si è risolta in una mera adesione alla tesi erariale;

– il motivo è infondato;

– invero, anche a prescindere dal suo concreto contenuto, che appare comunque diretto a sollecitare un riesame del meritus causae, qui precluso, la CTR ha reso motivazione idonea a rendere evidenti le ragioni per le quali l’importo contestato non era riferito ai ricavi complessivi, ma a quelli non fatturati e non dichiarati, quindi da recuperare integralmente a tassazione; dette ragioni sono indicate in modo sufficientemente comprensibile anche con rimando al PVC della GdF, che non risulta esser stato messo in discussione nel giudizio quanto ai dati ivi analiticamente rilevati;

-il secondo motivo aggredisce la sentenza della CTR campana per insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione ai maggiori ricavi accertati ed alla omessa autofatturazione di acquisti, oggetto dell’appello incidentale della contribuente alla CTR, per avere il secondo giudice reso sul punto motivazione inidonea a far comprendere l’iter logico-giuridico sottostante alla pronuncia;

– anche questo motivo non ha fondamento;

– la CTR difatti, sia pur in modo stringato, ha evidenziato come le diverse irregolarità emerse nel corso del controllo (enumerate a pag. 3), abbiano reso inattendibili le risultanze dei registri IVA, anche in forza di annotazioni di acquisti derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti, risultando quindi rideterminato il volume di affari tenendo conto anche dei ricavi derivanti da vendite analiticamente e nominativamente individuate per singolo cliente, per le quali non sono state rinvenute fatture o autofatture (in tal senso la motivazione dell’avviso di accertamento, trascritta in ricorso per cassazione a pag. 18);

– a fronte di tal inattendibilità complessiva, che ha reso applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 la CTR ha ritenuto che andassero rigettate le eccezioni del contribuente, “non suffragate da elementi di fatto e di merito atti a modificare i dati rilevati”;

– il terzo motivo di ricorso si incentra sull’omessa pronuncia in relazione al mancato riconoscimento dei costi connessi con i maggiori ricavi accertati, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; tale motivo è strettamente congiunto con il quarto motivo, con il quale si censura la sentenza gravata per omessa pronuncia anche in relazione alla questione relativa all’omessa autofatturazione di costi, sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; quindi, i motivi ridetti vanno congiuntamente esaminati;

– gli stessi sono fondati con le precisazioni che seguono;

– va premesso come la CTR risulta aver ritenuto, quanto alle operazioni oggetto di controllo, non solo la sussistenza di ricavi non fatturati, ma anche di costi per i quali non risultano nè debitamente registrate (stante l’inattendibilità dei registri IVA) le fatture passive, nè emesse autofatture;

– conseguentemente, quanto all’IVA va fatta applicazione della costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (in ultimo Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21828 del 07/09/2018) proprio in tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria, nell’ipotesi di omessa fatturazione, abbia proceduto ad accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, la base imponibile deve essere determinata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 con la conseguenza che non assumono alcuna incidenza i costi di produzione dei beni o servizi ceduti; pertanto, con riguardo all’IVA le censure non sono fondate;

– diversamente, sempre in forza dell’orientamento costante di questo Giudice della Legittimità, quanto all’imposizione sul reddito, deve ritenersi che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017) in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario;

– tale ultima operazione in parola, quindi, nella rideterminazione induttiva “pura” che risulta operata dall’Ufficio, andava effettivamente concretamente adottata quanto all’imposizione reddituale; la CTR non ha pronunciato – neppure implicitamente – in ordine a detto profilo, debitamente dedotto nei gradi del merito, che risulta senza dubbio non irrilevante ai fini del decidere;

– quindi, la sentenza sul punto va cassata con rinvio alla CTR campana per nuovo esame limitatamente ai rilievi ai fini IRES ed IRAP quanto al riconoscimento dei costi di cui si è detto;

– nel resto, il ricorso è rigettato.

P.Q.M.

accoglie terzo e il quarto motivo di ricorso, rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio riconvocata, il 3 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

 

 

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