Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14717 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. II, 10/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19470/2019 proposto da:

B.Y., rappresentato e difeso dall’Avvocato Dott. MASSIMO

GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURA GENERALE CORTE CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 586/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. B.Y., nato in (OMISSIS), propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso la sentenza del 03/04/2019, n. 586, della Corte d’appello di Brescia, la quale aveva rigettato l’appello formulato contro l’ordinanza D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19 (vigente ratione temporis), e così confermato il diniego della domanda di protezione internazionale pronunciato dal Tribunale. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis c.p.c., comma 1.

1.1. B.Y., con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35,D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 e art. 702 bis c.p.c., chiese al Tribunale di Brescia il riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale quali lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria o il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. In considerazione della narrazione del richiedente, giudicata non genuina e contraddittoria, il Tribunale adito rigettò la domanda.

1.2. Avverso l’ordinanza del giudice di prime grado il ricorrente propose appello e la Corte d’appello di Brescia confermò la decisione impugnata, ritenendo inattendibile e contraddittorio il racconto del richiedente.

2. Il ricorrente, dopo essersi soffermato sull’ammissibilità del ricorso in relazione al termine di cui all’art. 327 c.p.c., formula due censure, che prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 CEDU, ex art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)”, ascrivendosi alla Corte d’appello di non aver preso in considerazione la situazione generale del Paese di origine del ricorrente (Casamance nel Senegal) prima di escludere la protezione sussisdiaria, nonchè di non aver considerato la condizione soggettiva di vulnerabilità dello stesso, con riguardo in particolare alle conseguenze da lui subite a seguito della detenzione in Libia.

II) “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.L. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, avuto riguardo alle condizioni legittimanti il rilascio del permesso umanitario”.

3. Tali doglianze, che posso esaminarsi congiuntamente in quanto connesse, sono da rigettare.

3.1. Nella specie, la Corte d’appello di Brescia ha ritenuto inattendibile il racconto del ricorrente, con valutazione in fatto qui non sindacabile. La sentenza impugnata, dopo aver esposto le contraddizioni della narrazione del ricorrente e confermato perciò l’inattendibilità dello stesso (pagine 5 e 6), ha analizzato la situazione politica in Senegal (pagine 7 e 8), ed in particolare anche in Casamance (pagine 8 e 9), escludendo, a proposito di quest’ultima, che, quanto meno dal 2014, vi fosse una situazione di conflitto armato.

Questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 18431 del 2019), ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria”, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

3.1.1. In primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la “cooperazione istruttoria” consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale Mancanza di altri elementi significativi” (art. 3, comma 5, del medesimo D.Lgs.). Ne consegue che solo quando colui, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare, anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (cfr. Cass. n. 17069 del 2018). Al contrario, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la richiesta di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015). 3.1.2. Infatti, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato costantemente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3.1.3. Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso del D.Lgs. n. 251 del 2007, citato art. 3, comma 5.

3.2. Nella specie, la Corte di Brescia, ha sostanzialmente condiviso la valutazione di scarsa credibilità del racconto del ricorrente, già affermata dal Tribunale, con valutazione in fatto qui evidentemente non sindacabile (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, secondo cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del Merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mero insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito”), se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità – cfr. Cass., SU. n. 8053 del 2014 – in cui è prospettabile, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012. La Corte di Brescia ha indicato le fonti del proprio convincimento, la situazione sociale, politica ed economica del Paese (Senegal) di provenienza del ricorrente (dove, dunque, questi andrebbe, se del caso, rimpatriato), escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e ciò contrasta con quanto il ricorrente invoca con riferimento alla invocata protezione umanitaria.

Il ricorrente si limita alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal Tribunale, sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, senza peraltro dedurre che i giudici di merito abbiano deciso sulla base di informazioni non più attuali, così da allegare compiutamente l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. Sez. 1, 21/10/2019, n. 26728; Cass. Sez. 1, 17/05/2019, n. 13449).

3.3. Deve anche ricordarsi che, quanto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), stante il giudizio di scarsa credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente protezione, la stessa non avrebbe comunque potuto riconoscersi, nè sarebbero stati dovuti dal giudice ulteriori accertamenti sulla corrispondente istanza (cfr. Cass. n. 4829 del 2019).

3.4. Deve, dunque, ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda scarsamente credibile, riguardo alla quale, evidentemente, non vi era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità: credibilità che il giudice di merito ha escluso, con giudizio qui non ulteriormente sindacabile per le ragioni già precedentemente evidenziate.

3.5. Quanto, infine, all’invocato riconoscimento della protezione umanitaria, è evidente che la scarsa attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che, al fine di valutare se il richiedente abbia ivi subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del Paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente, come si è già detto, l’attivazione dei poteri officiosi.

4. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese del giudzio di cassazione regolate dal principio di soccombenza nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto (essendo a tal fine irrilevante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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