Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14716 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 05/07/2011), n.14716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5593-2009 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Molteni Paolo, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 307/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/03/2008,r.g.n. 1032/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2 011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA per delega ARTURO MARESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo,

assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 6 marzo 2008, la Corte d’Appello di Milano accoglieva il gravame svolto da A.R. contro la sentenza dì primo grado e dichiarava intercorso tra la lavoratrice e la s.p.a. Poste italiane un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 29 marzo 2005.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– il giudice di primo grado aveva ritenuto la somministrazione di lavoro a tempo determinato soggetta a limiti e condizioni la cui violazione comportava l’imputazione del rapporto in capo all’utilizzatore della prestazione, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003; le ragioni dell’apposizione del termine genericamente illustrate e non sufficientemente dimostrate; intercorso, pertanto, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fino alla scadenza del secondo contratto a tempo determinato;

– il controllo giudiziario sulla valutazione delle ragioni che consentono la somministrazione è limitato, per espressa previsione normativa, all’accertamento dell’esistenza delle ragioni stesse ma non può estendersi a sindacare le valutazioni tecniche e organizzative dell’utilizzatore;

nel contratto di somministrazione tra le società ALI e Poste e tra Poste e la lavoratrice la stipulazione era motivata “per punte di più intensa attività cui non sia possibile far fronte con le risorse normalmente impiegate”, ma nè era stato indicato alcun elemento, nè si era offerto di provare alcuna circostanza utile alla verifica dell’effettiva esistenza della causale, essendosi la società limitata a considerazioni assertive in ordine al volume di traffico, non idonee a soddisfare l’onere probatorio a suo carico;

la qualificazione corretta dell’azione era di nullità parziale del contratto, ritenendosi la cessazione allo scadere del termine voluta, sia pur illegittimamente, dalle parti.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.. La lavoratrice ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 414 c.p.c., omessa pronuncia, per non aver la corte di merito tenuto conto che le contestazioni attenevano al rapporto tra somministrato re e prestatore e per essere incorsa nel vizio di ultra petita nel dichiarare l’illegittimità del contratto per cui è causa, trattandosi di un profilo non ricompreso nella domanda proposta. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

5. Il motivo è inammissibile. La funzione propria del quesito di diritto, applicabile ratione temporis, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (ex multis, Cass. 8463/2009). Il quesito deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 4044/2009). Nella specie il quesito formulato a corredo dell’illustrazione del motivo non soddisfa la predetta prescrizione, enunciando proposizioni meramente generiche.

6. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4 e art. 21, oltrechè dell’art. 25 C.C.N.L. 11.7.2003 (art. 360 c.p.c., n. 3) e dell’art. 2097 c.c., per aver la corte di merito ritenuto irregolare il contratto stipulato riproducendo la formula della contrattazione collettiva di settore concernente “punte di più intensa attività cui non sia possibile far fronte con le risorse normalmente impiegate”. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

7. Il giudice di legittimità, nel caso sia stata denunciata la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, può procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo, la cui natura negoziale impone che l’indagine ermeneutica debba essere compiuta secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 c.c. e seguenti sempre che, a pena di inammissibilità, nel ricorso siano motivatamente specificati i canoni ermeneutici negoziali in concreto violati, nonchè il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato. Nella specie non sono specificati i canoni ermeneutici violati, onde l’inammissibilità del motivo.

8. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, per non aver la corte di merito dato adeguatamente conto, nell’iter motivazionale, della ratio decidendi. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

9. Anche quest’ultimo motivo è inammissibile. Le denunciate censure di violazione di legge si risolvono, in effetti, in censure motivazionali non ritualmente dedotte nel ricorso, nè assistite da pertinente ed adeguato quesito, incentrato, quest’ultimo, sull’incidenza della mancata contestazione sull’assolvimento dell’onere probatorio.

10. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 35,00 per esborsi, oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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