Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14713 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. II, 10/07/2020, (ud. 29/11/2019, dep. 10/07/2020), n.14713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24034/2016 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliato in ROMA via Francesco

Saverio Nitti, n. 11, presso lo studio dell’avv.to CORRADO VALVO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA CONSOB,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. MARTINI GIOVANNI BATTISTA 3,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati EMANUELA GARZIA,

PAOLO PALMISANO;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 131/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 16/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Udito il P.G. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito l’avvocato PAOLO PALMISANO per la Consob.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Delib. 30 aprile 2014, n. 18912, la Commissione Nazionale per la Società e la Borsa disponeva, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 190 e 195, l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti di F.D., B.M. e P.E., nonchè quale responsabile in solido, nei confronti di JPM Finance S.r.l. (di seguito JPM), per violazione dell’art. 18, comma 1 e art. 30, comma 4, TUF, per avere, in assenza della prescritta autorizzazione, svolto professionalmente nei confronti del pubblico italiano il servizio di “gestione portafogli”, ed effettuato offerte fuori sede di servizi di investimento prestati da altro intermediario.

2. F.D. proponeva opposizione avverso tale delibera dinanzi la Corte d’Appello di Trieste, lamentando l’intervenuto decorso del termine di decadenza di cui all’art. 195 TUF, il suo difetto di legittimazione passiva, la genericità e l’infondatezza delle contestazioni e la conseguente violazione del suo diritto di difesa e, infine, l’eccessiva onerosità delle sanzioni inflitte.

3. La Corte d’Appello di Trieste rigettava l’opposizione.

In primo luogo, la Corte adita riteneva infondato il motivo avente ad oggetto la tardività della contestazione. Il punto controverso verteva sull’individuazione del momento di accertamento dal quale far decorrere i 180 giorni prescritti dall’art. 195 TUF.

Nel caso di specie, tale momento doveva essere individuato in una data successiva rispetto a quella di messa a disposizione della Consob della documentazione raccolta dalla Guardia di Finanza a seguito delle verifiche e dei sopralluoghi, essendo necessario un tempo congruo e ragionevole per lo studio della suddetta documentazione, al fine di accertare la sussistenza o meno della violazione. Secondo la Corte d’appello, vista la complessità della materia e la copiosa documentazione trasmessa, erano necessari almeno 30 giorni per la formulazione della contestazione, dunque, il termine era stato rispettato. In ogni caso, l’attività ispettiva si era conclusa con la notifica alla Consob di documentazione da parte della Guardia di Finanza il 22 novembre 2012, a fronte della contestazione in data 21 maggio 2013 e, dunque, entro il termine decorrente dalla data conclusiva dell’attività ispettiva.

3.1 In relazione al motivo di opposizione relativo alla carenza di legittimazione passiva dell’opponente la Corte d’Appello evidenziava che questi aveva mantenuto la posizione di consigliere di amministrazione dal 25 febbraio 2010 al 9 maggio 2013, arco temporale comprendente i fatti oggetto di contestazione, verificatisi dal 17 febbraio 2011 al 25 giugno 2012. Pertanto, egli era comunque chiamato a rispondere degli illeciti posti in essere dalla società secondo quanto previsto dalle norme generali del codice civile in materia di responsabilità degli amministratori di società. Sugli stessi, infatti, grava l’onere di agire in modo informato ex art. 2381 c.c., avendo il potere dovere di richiedere agli organi delegati ogni informazione utile sulla gestione della società per le valutazioni rimesse alla competenza del consiglio di amministrazione.

Nella specie, non era stata fornita la prova che F.D. si fosse diligentemente attivato o che nonostante si fosse attivato, non avesse potuto esercitare la vigilanza a causa di comportamenti ostativi degli altri componenti del consiglio.

3.2 Infondati erano anche i motivi di opposizione relativi alla genericità e all’infondatezza della contestazione e alla lesione del diritto di difesa. La violazione dell’art. 30 TUF si configurava nel momento in cui si era realizzata “offerta fuori sede di servizi e attività di investimento prestati da altri intermediari in assenza dell’autorizzazione richiesta dall’art. 1, comma 5, lett. c o c-bis.

Tale norma individuava come condotta illecita anche la promozione e non solo il collocamento presso il pubblico di servizi di investimento. Si trattava, dunque, di un illecito di pericolo che si era consumato nel momento in cui era stata posta in essere l’offerta al pubblico in assenza di autorizzazione a prescindere dalle effettive operazioni di investimento.

3.3 Costituiva, inoltre, violazione dell’art. 18 TUF il servizio di gestione di portafogli in assenza di autorizzazione come definito dal citato art. 1, comma 5 quinquies, TUF. Il servizio di gestione portafoglio nei confronti pubblico italiano costituiva, infatti, attività riservata a determinati soggetti rispondenti ai requisiti stabiliti dalla legge, al fine di tutelare il corretto svolgimento dei mercati mobiliari per il tramite di operatori abilitati nell’interesse degli investitori. Anche in questo caso si trattava di un illecito di pericolo essendo, dunque, sufficiente la stipulazione di contratto con mandato gestorio.

La società JPM non risultava in possesso delle autorizzazioni menzionate, sicchè i comportamenti posti in essere rientravano nell’ambito delle condotte vietate dalla citata norma del TUF.

L’opponente aveva lamentato la mancata indicazione nella Delib. dei contratti su cui si fondava la contestazione. La Consob, invece, aveva ricostruito in maniera dettagliata e approfondita i fatti oggetto di causa e motivato adeguatamente la pretesa sanzionatoria (pagina 10 della Delib.). Non era necessaria l’indicazione puntuale dei numerosi contratti di trading valutario stipulati tra la società estera Youtrade e i clienti italiani su promozione della stessa JPM e dei contratti di collaborazione stipulati tra JPM e professionisti italiani incaricati di promuovere e far sottoscrivere a clienti italiani i contratti di trading valutario.

L’organo di vigilanza, infatti, aveva soddisfatto l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa sanzionatoria mediante la copiosa documentazione raccolta dalla Guardia di Finanza e messa a disposizione dell’opponente. Da tali risultanze documentali raccolte nel fascicolo di parte Consob (allegato 15) emergeva che la società JPM aveva svolto nei confronti del pubblico italiano attività finanziarie collegate alla società con cui essa aveva stretto accordi di partnership. Tra questi accordi vi era anche un contratto denominato “Introducing Broker Agreement” con il quale Youtrade, società con sede alle (OMISSIS), incaricava JPM di utilizzare la piattaforma Youtrade e di reclutare clienti a fronte di commissioni bancarie sul numero di transazione.

JPM, avvalendosi di persone fisiche sottoscriventi un apposito contratto di collaborazione proponeva ai clienti italiani due prestazioni: i servizi di trading valutario sul Forex Market offerti da Youtrade e la gestione degli account cliente dei soggetti aderenti all’offerta.

Il contatto offerto alla clientela italiana si componeva di due accordi; dell’accordo principale con cui Youtrade mediante l’apertura di un apposito account cliente telematico consentiva di effettuare operazioni di trading on-line sul mercato Forex, in particolare transazioni aventi ad oggetto differenziali su valute, e dell’accordo secondario con cui il cliente autorizzava JPM ad impartire istruzioni a Youtrade per la gestione degli account o ad effettuare qualsiasi attività di trading secondo un regime di “fiducia cieca”.

3.4 Dovevano ritenersi integrati, pertanto, sia l’illecito di cui all’art. 30 TUF, in quanto il collaboratore della JPM, che agiva in nome e per conto della stessa, proponeva e faceva sottoscrivere accordi contrattuali in lingua italiana a clienti italiani di trading finanziario offerti da società estera negoziati fuori sede in assenza dell’autorizzazione, sia l’illecito di cui all’art. 18 TUF, in quanto JPM, attraverso la sottoscrizione dell’accordo secondario, riceveva mandato dai clienti italiani a movimentare i loro conti mediante decisioni etero determinate da quest’ultima in ragione di una fiducia cieca, pur non essendo in possesso dell’autorizzazione richiesta dalla legge.

Non risultava provata la circostanza dedotta dalla difesa di JPM secondo la quale essa non aveva svolto l’attività in questione perchè Youtrade aveva fornito una piattaforma generica che non consentiva di agire sugli account dei clienti. Peraltro, l’illecito si era già perfezionato al momento della sottoscrizione dei contratti di trading.

3,5 Nessuna violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio era ravvisabile nella specie, avendo avuto F. la possibilità di accesso agli atti posti alla base della contestazione nonchè ad essere sentito personalmente.

3.6 Doveva ritenersi infondato anche il quinto motivo di opposizione relativo all’eccessiva onerosità della sanzione amministrativa decisa da Consob. Nella Delib. impugnata, infatti, era possibile apprezzare la corretta applicazione dei criteri di cui alla L. n. 689 del 1981.

4. F.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta pronuncia sulla base di cinque motivi.

5. Consob ha resistito con controricorso e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di rigetto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 1, TUF, violazione dell’art. 24 Cost.. Contraddittoria e insufficiente motivazione.

Il ricorrente sostiene che la Consob avesse già elementi utili per procedere alla contestazione sin dal febbraio del 2011, come risulterebbe dall’esame della Delib. impugnata in relazione all’attività svolta dalla società e comunicata dalla divisione emittenti della stessa Consob. La divisione ispettorato, infatti, dall’esame del sito Internet della JPM aveva ritenuto violate le norme contestate come segnalato da altra società operante nel settore. La stessa divisione richiedeva la collaborazione della Banca d’Italia e della Guardia di Finanza. Quest’ultima impiegava ben otto mesi per rispondere e comunicare le indagini svolte. La durata eccessiva di tale indagine non trovava giustificazione nell’esito stesso dell’accertamento che si era basato su quanto già accertato dagli organi interni della Consob senza che le indagini della Guardia di Finanza aggiungessero altro. Le stesse memorie difensive del ricorrente non erano state ritenute rilevanti dalla Consob. La documentazione raccolta dalla guardia di finanza non era stata utilizzata per le contestazioni perchè riguardava rapporti precedenti con altra società avvenuti nel rispetto delle norme di legge in materia finanziaria.

Dunque, sin dal mese di novembre 2011, la Consob aveva tutti gli elementi per poter determinare o meno la sussistenza delle violazioni contestate e la Corte d’Appello di Trieste avrebbe errato nel ritenere rilevante la data del 22 dicembre 2012, quale termine iniziale dal qual far decorrere i 180 giorni previsti dall’art. 195, comma 1, TUF.

1.2 Il motivo è infondato

Il principio del tutto consolidato in materia di tempestività della contestazione è quello secondo il quale: “In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (Sez. 2, Sent. n. 21171 del 2019).

Peraltro in presenza di una pluralità di illeciti il giudice dell’opposizione, dinanzi al quale sia stata eccepita la tardività della notificazione della contestazione, nell’individuare la data dell’esito del procedimento di accertamento di più violazioni connesse, deve valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall’Amministrazione procedente e la congruità del tempo a tal fine impiegato avuto riguardo alla loro complessità, anche in vista dell’emissione di un unico provvedimento sanzionatorio senza, tuttavia, potersi sostituire all’Amministrazione nella valutazione dell’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e posti in essere senza apprezzabile intervallo temporale (Sez. 1, Sent. n. 8326 del 2018)

La Corte d’Appello ha ampiamente motivato in relazione alla tempestività della contestazione, evidenziando che il dies a quo doveva essere individuato in una data successiva rispetto a quella di messa a disposizione della Consob della documentazione raccolta dalla Guardia di Finanza a seguito delle verifiche e dei sopralluoghi, essendo necessario un tempo congruo e ragionevole per lo studio della suddetta documentazione, al fine di accertare la sussistenza o meno della violazione. Secondo la Corte d’appello, vista la complessità della materia e la copiosa documentazione trasmessa, erano necessari almeno 30 giorni per la formulazione della contestazione, dunque, il termine era stato rispettato. In ogni caso, l’attività ispettiva si era conclusa con la notifica alla Consob di documentazione da parte della Guardia di Finanza il 22 novembre 2012, a fronte della contestazione in data 21 maggio 2013 e, dunque, entro il termine decorrente dalla data conclusiva dell’attività ispettiva.

La sentenza, pertanto, risulta immune dal vizio di violazione di legge prospettato dal ricorrente con il motivo in esame e deve darsi continuità al seguente principio di diritto: “In tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria la ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione e alla congruità del tempo utilizzato in relazione alla difficoltà del caso sono rimesse al giudice del merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenendo altresì conto della sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, mentre la valutazione della superfluità degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio ex ante, restando irrilevante la loro inutilità ex post” (Sez. 2, Sent. n. 21171 del 2019).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2381 c.c. e art. 2392 c.c., u.c., contraddittoria motivazione.

Il ricorrente evidenzia che la società JPM, dalla metà del 2011 non era più in attività, come risulta anche dalla perquisizione operata dalla Guardia di Finanza che aveva trovato la sede legale chiusa, la società inoperante e l’immobile pronto per essere riconsegnato al proprietario. La maggior parte delle operazioni contestate erano state poste in essere in collaborazione con la Euroforex nel rispetto delle norme di legge in materia finanziaria. Pertanto, il ricorrente non aveva alcun dovere di vigilanza sull’operato dell’amministratore, in quanto non vi era alcuna attività gestoria, nè poteva formalizzare il suo dissenso rispetto alle operazioni compiute e contestate dalla Consob, perchè nessuno operazione avente rilievo giuridico era stata mai effettivamente compiuta.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 30 del TUF.

Il ricorrente ritiene che la contestazione di violazione degli artt. 18 e 30 del TUF sia del tutto infondata. Come acclarato dagli stessi accertatori, infatti, un solo contratto e una sola operazione erano in realtà effettivamente, contestati, ovvero il contratto di collaborazione con il signor B. e un contratto tra quest’ultimo e un cliente, peraltro, definito come bozza di contratto dalla stessa Guardia di Finanza. Infatti, in base agli accordi con la Youtrade, quest’ultima avrebbe dovuto occuparsi di procacciare i clienti alla JPM che successivamente si sarebbe occupata di stipulare i contratti e gestire le posizioni dei clienti acquisiti. Come lo stesso ricorrente aveva spiegato in seno alle proprie memorie difensive la JPM non aveva accesso, e di fatto non lo aveva mai avuto, agli account dei clienti di Youtrade. Tale società, infatti, non aveva mai fornito alla JPM il necessario software e le autorizzazioni, poichè sarebbe stata la stessa ad occuparsi della gestione degli account e delle relative operazioni. La JPM aveva avuto contatti con la Youtrade al fine di concludere con la stessa un accordo di collaborazione nel settore cosiddetto introducing broker ovvero di introduzione e segnalazione ben diverso dall’offerta fuori sede contestata. Tale attività, infatti, consiste nel segnalare a possibili investitori una banca o una Sim o un’altra società autorizzata, quale la Youtrade nel caso specifico, al fine di instaurare con essa un rapporto di intermediazione mobiliare.

Pertanto La JPM non aveva posto la cosiddetta offerta fuori sede in essere comportamenti integranti di servizi di investimento di altri intermediari di cui all’art. 30 nè tantomeno di gestione di portafogli di cui all’art. 18 TUF.

3.1 Il secondo e il terzo motivo, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

In primo luogo, deve evidenziarsi che la sentenza impugnata non affronta la questione della mancanza di operatività della società e il ricorrente non indica alcun atto o documento mediante il quale aveva sottoposto al giudice la supposta e non dimostrata non operatività della JPM. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

3.2 In ogni caso dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la Corte d’Appello ha ritenuto che la Società JPM fosse in piena attività nel periodo dal 25 febbraio 2010 al 9 maggio 2013, quando il ricorrente era nel consiglio di amministrazione. Tale accertamento di fatto non è sindacabile in questa sede tanto più che è corroborato da una motivazione dettagliata con la quale si fa riferimento alle attività finanziarie poste in essere dalla società JPM nei confronti del pubblico italiano con accordi con altre società. Tra questi accordi vi era anche un contratto denominato “Introducing Broker Agreement” con il quale Youtrade, società con sede alle (OMISSIS), incaricava JPM di utilizzare la piattaforma Youtrade e di reclutare clienti a fronte di commissioni bancarie sul numero di transazione.

JPM, avvalendosi di persone fisiche sottoscriventi un apposito contratto di collaborazione proponeva ai clienti italiani due prestazioni: i servizi di trading valutario sul Forex Market offerti da Youtrade e la gestione degli account cliente dei soggetti aderenti all’offerta.

3.3 La condotta ora descritta, che peraltro costituisce solo una sintesi di quella molto più dettagliata riportata nel decreto impugnato e nella Delib. sanzionatoria, integra le fattispecie contestate di aver svolto professionalmente, nei confronti del pubblico italiano, il servizio di “gestione di portafogli” in assenza della prescritta autorizzazione, in violazione dell’art. 18, comma 1, del TUF e di aver effettuato offerta fuori sede di servizi di investimento di altro intermediario nei confronti del pubblico italiano in assenza della prescritta autorizzazione, in violazione dell’art. 30, comma 4, del TUF.

Infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 5-quinquies, TUF, per gestione di portafogli si intende la gestione, su base discrezionale e individualizzata, di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari e nell’ambito di un mandato conferito dai clienti. Tale servizio nei confronti del pubblico italiano costituisce attività riservata a determinati soggetti rispondenti ai requisiti stabiliti dalla legge, al fine di tutelare il corretto svolgimento dei mercati mobiliari per il tramite di operatori abilitati nell’interesse degli investitori.

Allo stesso modo, l’offerta fuori fede di servizi e attività di investimento prestati da altri intermediari in assenza dell’autorizzazione richiesta dall’art. 1, comma 5, lett. c o c-bis, TUF configura la violazione dell’art. 30 TUF.

La previsione di una riserva di attività a soggetti autorizzati per lo svolgimento professionale, nei confronti del pubblico italiano, del servizio di “gestione di portafogli”, di cui all’art. 18, comma 1, del TUF, e dell’offerta fuori sede di servizi di investimento altrui nei confronti del pubblico italiano, di cui all’art. 30, comma 4, del TUF, è posta a tutela di rilevanti interessi pubblici per la salvaguardia degli investitori e del risparmio, nonchè dei soggetti che svolgono professionalmente tali attività in conformità al quadro normativo di riferimento.

Lo svolgimento di tale attività senza autorizzazione costituisce, pertanto, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, un illecito di pericolo con anticipazione della soglia di punibilità alla mera offerta dei suddetti servizi di investimento fuori sede e di gestione portafoglio.

La responsabilità del ricorrente sussiste anche sotto il profilo soggettivo. In proposito è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale: Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società di intermediazione, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6 e art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacchè anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza dell’attività della società, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio.

I consiglieri non esecutivi di società per azioni, dunque, hanno l’obbligo di attivarsi in modo da potere efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi e, in conformità al disposto dell’art. 2392 c.c., comma 2, che concorre a connotare le funzioni gestorie tanto dei consiglieri non esecutivi, quanto di quelli esecutivi, sono responsabili delle violazioni commesse, allorchè, venuti a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano posto in essere alcuna condotta diretta ad impedirne il compimento o ad eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 27365 del 2018).

In conclusione il decreto impugnato è immune dalle censure di violazione di legge e i motivi di ricorso si traducono nella censura della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, chiedendo una inammissibile nuova valutazione degli stessi da parte di questa Corte.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., violazione del diritto di difesa e principio del contraddittorio.

La Corte d’Appello di Trieste, in palese violazione dell’art. 24 Cost., si è basata unicamente sulla possibilità di esercitare la facoltà di accesso agli atti dell’accertamento da parte del ricorrente. Tali atti in parte però erano secretati e, inoltre, la contestazione era generica senza che si potesse individuare con certezza quali attività egli aveva posto in essere. Le deduzioni difensive del F. non erano state valutate a fronte di una durata di ben 19 mesi dell’accertamento.

La società era di fatto non operativa e il ricorrente, senza sua colpa, non aveva potuto esercitare in modo adeguato il suo diritto di difesa a causa delle oggettive difficoltà di reperire i documenti posti a fondamento delle sue difese.

4. Il motivo è inammissibile perchè non è possibile sollevare una censura di violazione di legge facendo riferimento esclusivamente a norme costituzionali e senza indicare la norma primaria che risulterebbe violata o al più sospetta di incostituzionalità.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa corte:

“La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata” (Sez. 5, Ord. n. 15879 del 2018).

Il ricorrente non indica quale norma primaria risulti violata in relazione al principio del contraddittorio e al suo esercizio del diritto di difesa; ne consegue che deve farsI applicazione del seguente principio di diritto: “Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, seppure l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile, occorre comunque tener presente che si tratta di elemento richiesto allo scopo di chiarire il contenuto delle censure forMulate e di identificare i limiti dell’impugnazione. Ne consegue che la mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare l’inammissibilità della singola doglianza, qualora gli argomenti addotti non consentano di individuare le norme e i principi di diritto di cui si denunci la violazione” (Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 2012).

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 11, eccessività della sanzione irrogata.

La Corte d’Appello di Trieste, ha ritenuta corretta l’applicazione da parte della Consob dei criteri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11, nella determinazione della sanzione concretamente irrogata. Tuttavia, la stessa Consob aveva ritenuto non colposo l’operato della società oltre che collaborativo e trasparente il comportamento del ricorrente F., tali circostanze non erano state tenute in considerazione e valutate dalla corte giudicante.

La sanzione, dunque, doveva essere applicata nella misura minima edittale.

5. Il quinto motivo è infondato.

Per il rigetto della censura relativa alla quantificazione della sanzione irrogata dalla Consob è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità: “Nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione del TUB o del TUF, il giudice ha il potere discrezionale di quantificare l’entità della sanzione, entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione si sia tenuto conto dei parametri previsti della L. n. 689 del 1981, art. 11” (Sez. 2, Sent. n. 9126 del 2017).

6. Il ricorso è rigettato.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3000 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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