Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14711 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 05/07/2011), n.14711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA

25, presso lo studio dell’avvocato BALDASSARRE, rappresentato e

difeso dall’avvocato COPPOLA ROBERTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA “(OMISSIS), in persona

del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI MONTEVERDE 107, presso lo studio dell’avvocato SILVETRI

ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato SILVESTRI GIORGIO

C/O OSP. (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1149/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/05/2007 r.g.n. 1991/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 1149/07, rigettava l’impugnazione proposta da T.G., nei confronti della Azienda Ospedaliera (OMISSIS), avverso la sentenza del Tribunale di Avellino del 6 febbraio 2004. Il T., premesso che era stato dipendente della Azienda Ospedaliera “(OMISSIS) con contratto di lavoro a tempo determinato stipulato in data 1 giugno 2001, inquadrato come autista di autoambulanze, e che il contratto originario era stato poi prorogato con atto scritto del 30 novembre 2001 fino al 1 marzo 2002, aveva chiesto al Tribunale, in via principale, la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e la condanna dell’azienda alla sua reintegrazione nel posto di lavoro.

Il Tribunale adito rigettava la domanda.

2. Ricorre il T. per la cassazione della suddetta sentenza resa in grado di appello, prospettando tre motivi di impugnazione.

3. Resiste con controricorso l’ Azienda Ospedaliera (OMISSIS).

4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente prospetta omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in merito alle conseguenze giuridiche di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5,; violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso del ricorrente, la trasformazione del contratto di lavoro a termine in quello a tempo indeterminato trova applicazione anche nel settore pubblico, qualora non sussista una specifica disposizione contraria.

La Corte d’Appello avrebbe omesso ogni motivazione sul punto, nè avrebbe posto in luce la sussistenza di motivi ostativi alla trasformazione.

Pertanto il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto:

se la L. n. 230 del 1962, art. 2, per effetto del quale in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro o alla sua proroga, determina la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in quello a tempo indeterminato, trova applicazione anche nel settore pubblico quando non sussista una specifica disposizione contraria.

Inoltre il T. deduce che, in ogni caso, nell’ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro o alla sua proroga, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, rapportato alle retribuzioni che lo stesso avrebbe dovuto percepire nell’ipotesi di contratto a tempo determinato.

Anche su tale profilo la Corte d’Appello avrebbe omesso la motivazione.

In ordine a tale punto del suddetto motivo di ricorso, il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: se anche nell’ipotesi in cui ad apporre il termine illegittimo al contratto di lavoro o alla sua proroga sia la pubblica amministrazione, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro a riceverla, in misura corrispondete alla retribuzione non percepita.

1.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Come la Corte ha avuto modo, da ultimo, di ribadire (Cass., sentenza n. 4062 del 2011) la norma di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36, comma 2, che attribuisce al lavoratore che deduca la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego il diritto di agire per il risarcimento del danno e non anche per la sostituzione di un rapporto a tempo indeterminato, si applica incontrovertibilmente alle amministrazioni pubbliche nella definizione contenutane nel comma 2 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1 (Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato …, le Regioni, le Province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni … tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali …).

Tuttavia, il ricorrente non ha inverato la dedotta violazione di legge e il relativo quesito di diritto, articolati in ragione del suddetto principio, nella fattispecie concreta,, limitandosi ad enunciazione generali.

Ciò ancor più, ove si consideri che la Corte d’Appello ha ritenuto che a seguito della cd. privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, si applicano le leggi sul lavoro subordinato nell’impresa (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2), ivi compresa la L. n. 230 del 1962, art. 2 che ammette la proroga del termine finale originariamente convenuto, e che nella fattispecie in esame la proroga trovasse giustificazione, come ampiamente motivato nel provvedimento n. 131 del 5 febbraio 2002, in ragione delle procedure selettive in corso per esigenze improrogabili organizzative ed assistenziali del pronto soccorso.

Occorre ricordare che il quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. (applicabile “ratione temporis”) e formulato con il ricorso, deve essere conferente rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio e rilevante per la decisione della controversia (Cass. n. 80 del 2011).

Il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (S.U. 26020 del 2008).

In ordine alla censura di mancanza di motivazione relativa al profilo del risarcimento del danno per illegittima apposizione del termine, occorre osservare che il suddetto vizio non è ravvisabile nella specie tenuto conto che il ricorrente ha omesso di indicare ove avesse, nei precedenti gradi del giudizio, specificato la sussistenza dell’asserito danno, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Ed infatti, come la Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 28480 del 2005), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Afferma il ricorrente che non sussistevano, nella fattispecie in esame, le condizioni in ragione delle quali è possibile la costituzione di un contratto di lavoro a termine. La Corte d’Appello, erroneamente, avrebbe ritenuto che la perentorietà della normativa che disciplina l’istituto in questione potesse essere derogata dall’art. 17, comma 1, punto C, del contratto di comparto.

Peraltro, era onere del datore di lavoro dare provare il verificarsi delle condizioni di cui alla contrattazione collettiva, mentre il Giudice di appello avrebbe supplito alle carenze probatorie della ASL dando rilievo alle delibere del Direttore generale della medesima, nelle quali si dava atto del servizio trasporti infermi in emergenza.

In ordine a tale motivo di ricorso è prospettato il quesito di diritto di seguito riportato: se la L. n. 28 del 1987, n. 56, art. 23, che ha attribuito alla contrattazione collettiva l’identificazione delle ipotesi nelle quali è ammissibile l’applicazione del termine nel contratto di lavoro, non ha modificato l’onere della prova delle condizioni che giustificano l’opposizione di un termine al contratto di lavoro.

Conseguentemente la mancata allegazione probatoria da parte del datore di lavoro determina l’illegittimità del contratto con ogni conseguenza di legge.

Il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: se la L. n. 56 del 1987, art. 23, che ha attribuito alla contrattazione collettiva l’identificazione delle ipotesi nelle quali è ammissibile l’applicazione del termine nel contratto di lavoro subordinato non ha modificato l’onere della prova delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro. Se, conseguentemente, la mancata allegazione probatoria da parte del datore di lavoro determina la illegittimità del contratto.

2.1. Il motivo non è fondato.

Come la Cassazione, a Sezioni Unite, ha avuto modo di affermare (Cass., S.U., n. 4588 del 2006; da ultimo cfr. Cass., n. 23685 del 2010), l’espressione della L. n. 56 del 1987, art. 23 “l’apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro … è consentita nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi” induce ad assegnare alla norma in esame una ampia portata applicativa, perchè nel lessico comune, come in quello giuridico, la parola ipotesi assume il significato di caso, che può presentarsi volta per volta, e che nella materia in esame può contraddistinguersi ratione materiae (ad esempio, esecuzione di un opera o di un servizio predeterminato nel tempo con carattere di straordinarietà ed occasionalità; L. n. 230 del 1962, art. 1, lett. c), “ratione iemporis” (ad esempio, assunzione da parte delle compagnie aeree di personale per il periodo di sei mesi, da aprile ad ottobre; L. n. 230 cit., lett. f) art. 1, aggiunta dalla L. 25 marzo 1986, n. 84) “raderne personaè” (ad esempio, lavoratori in mobilità assunti con contratti a termine; L. n. 223 del 1991, art. 8). E la lettera del riportato testo normativo appare significativo nei sensi ora indicati specialmente se messa nella sua genericità a confronto con la invece dettagliata, completa e specifica determinazione delle tassative fattispecie legittimanti l’assunzione a termine contemplate dalla L. n. 230 del 1962, art. 1.6.2″.

La Corte, nella citata pronuncia, ha, altresì dichiarato che “può conclusivamente affermarsi che “Le assunzioni disposte ai sensi della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962 n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito, con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizioni di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale -per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficacia salvaguardia dei loro diritti”.

2.2. Il Giudice di appello ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, con motivazione congrua ed esente da vizi, rilevando che le parti, nel contratto a termine, avevano fatto espresso richiamo sia alla L. n. 56 del 1987, art. 23, sia all’ipotesi prevista dall’art. 17, comma 1, punto C, del contratto di comparto.

La Corte d’Appello, con valutazione che si sottrae al sindacabile in sede di legittimità in quanto congrua e argomentata, ha ravvisato le esigenze straordinarie nell’attivazione del servizio trasporti infermi in emergenza, dovuta a specifiche disposizioni regionali, che andava ad aggravare una situazione già in sofferenza.

Nè il ricorrente ha indicato, stante il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, quei mezzi probatori (anche documentali), idonei ad attestare che la possibilità di assunzioni a termine (anche con riferimento a possibili proroghe per fattispecie in precedenza individuate) non fosse più consentita sulla base della contrattazione aziendale.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente prospetta violazione o falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 2 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso del ricorrente, la proroga del contratto a termine richiede che si presentino esigenze contingenti ed imprevedibili, e cioè circostanze diverse da quelle che legittimano l’apposizione del termine originario. Invece, nell’atto di proroga non venivano specificate le ragioni poste a base della stessa.

Tuttavia, la Corte d’Appello riteneva che la motivazione della proroga andasse ravvisata con riguardo all’espletamento delle procedure selettive interne e dunque in una carenza di personale, che tuttavia, afferma il ricorrente era proprio la ragione per cui il medesimo era stato assunto.

In ordine al suddetto motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: se la proroga del contratto a termine è un evento eccezionale che, ai sensi della L. n. 230 del 1962, può avvenire solo per una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, perchè la proroga stessa sia resa necessaria da esigenze imprevedibili e contingenti che devono essere ontologicamente differenti rispetto a quelle che hanno giustificato l’originaria apposizione del termine al contratto.

3.1. Il suddetto motivo di ricorso non può essere accolto.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 9993 del 2008), la disciplina della proroga dei contratti a tempo determinato stabilita dalla L. n. 230 del 1962, art. 2, si applica anche alle ipotesi di contratto a termine individuate dalla contrattazione collettiva a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, in ragione del carattere aggiuntivo di tali ipotesi rispetto a quelle tassativamente indicate dalla L. n. 230, art. 1, cui l’art. 2, riferisce la disciplina delle proroga, come emerge dalla formulazione del suddetto art. 23.

La L. n. 230 del 1962, art. 2, stabilisce che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, eccezionalmente prorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingenti e imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato ai sensi del comma 2, dell’art. precedente.

Sulla base di tale disposizione, la legittimità della proroga del termine apposto a contratto di lavoro è pertanto subordinata al concorrere di due condizioni, tra di loro connesse, costituite dall’identità dell’attività lavorativa rispetto a quella per la quale il contratto è stato stipulato e dalla ricorrenza di esigenze contingenti ed imprevedibili, comunque diverse da quelle che costituivano la ragione dell’iniziale contratto.

3.2. La sentenza della Corte d’Appello di Napoli ha applicato correttamente tale principio. Il giudice di secondo grado ha ravvisato l’esigenza contingente ed imprevedibile nella necessità di attendere l’esito delle procedure di selezione con l’avviamento al lavoro – da parte del centro per l’impiego – di altri dipendenti, ed ha affermato che tale esigenza è stata ampiamente motivata nel provvedimento, nel quale si osservava che risultavano in corso le procedure selettive interne previste dal vigente CCNL, e che improrogabili esigenze organizzative ed assistenziali del pronto soccorso richiedevano la presenza in servizio di operatori con la qualifica di autista.

Le censure che il ricorrente propone a tale motivazione tendono in realtà a sollecitare, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un ulteriore giudizio di merito nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (Cass. n. 824 del 2011, n. 12984 del 2006).

4 Il ricorso deve essere rigettato.

5. Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 13,00 per esborsi e Euro 2000 (duemila) per onorari difensivi oltre IVA e CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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