Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14710 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. III, 26/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 26/05/2021), n.14710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36195/2019 proposto da:

J.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE

STROZZI 31, presso lo studio legale BARBERIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1729/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA,

depositata il 29/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – Con ricorso affidato a cinque motivi, J.M., di origine gambiana, ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, resa pubblica il 29 aprile 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale per il riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

2. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’Appello osservava che: a) le domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione umanitaria erano inammissibili, poichè “in sede di ricorso in primo grado, l’odierno appellante ha limitato la propria domanda alla protezione sussidiaria”; b) ad ogni modo, alla luce del racconto del richiedente (esser fuggito, a seguito di denuncia dello zio convivente dal paese d’origine, per timore di subire tortura, e comunque, esser costretto da quest’ultimo, successivamente all’uccisione in carcere del padre, a pregare e a chiedere l’elemosina in Senegal; di esser perciò giunto, dapprima in Mali, e successivamente in Libia, ove, riuscito a fuggire da un centro di detenzione, veniva costretto da un trafficante ad affrontare una traversata), “il giudice di primo ha correttamente ritenuto la scarsa verosimiglianza delle allegazioni, contradditorie e intrinsecamente illogiche, non essendo dato comprendere la ragione per la quale lo zio lo avrebbe denunziato, nè essendo effettivamente emerso che l’appellante fosse in concreto ricercato dalla polizia, nè per quali ragioni”; c) non si ravvisavano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) – c) (poichè, per la lett. a) “non risulta che l’appellante sia colpito da condanna a morte o che rischi l’esecuzione della pena capitale”; per la lett. b) “difetta qualsivoglia elemento che faccia solo presumere che, ove rientrato in patria, il medesimo possa essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”; per la lett. c) “va escluso che la situazione politica del Gambia sia connotata da una situazione di conflitto armato o guerriglia generalizzata”); d) neppure – ferma l’inammissibilità della domanda -, erano integrati i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, sulla scorta del seguente apparato motivazionale: i) “mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione ad uno specifico rischio”; ii) “non possono essere considerate nè l’iniziale inserimento intrapreso dal richiedente in Italia, nè le vicende occorse in Libia e neppure l’instabilità del suo paese d’origine”; iii) il richiedente non avrebbe “censurato le ragioni poste dal giudice di primo grado a sostegno della propria decisione, limitandosi a ribadire, da un lato la gravità della propria vicenda personale, d’altro canto le condizioni del proprio paese, senza prospettare alcun nesso tra queste ultime ed il rischio connesso al suo rimpatrio”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, essendosi limitato al deposito di “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione a udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. – Con il primo motivo, viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, erronea valutazione di credibilità del ricorrente, per non aver la Corte motivato, in modo adeguato, circa le ragioni di scarsa verosimiglianza del racconto del ricorrente e pertanto per non aver riconosciuto tutela di protezione sussidiaria a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

1.1. – Il motivo è fondato là dove denuncia il vizio di motivazione apparente.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., n. 8053/2014).

Si ha motivazione apparente allorquando il giudice di merito, pur indicando gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ne omette qualsiasi approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (Cass. n. 2067/1998, Cass. n. 9097/2017).

Nella specie, la Corte territoriale ha assunto apoditticamente che le dichiarazioni del richiedente fossero contraddittorie e illogiche senza dare contezza intelligibile del proprio giudizio, che asserisce ancorato a quello del giudice di primo grado, là dove, però, in quest’ultimo emerge una valutazione, ben diversa, attinente ad un supposto mancato riscontro probatorio e non ad una presupposta contraddittorietà e/o illogicità del narrato, nè ad una non comprensibilità delle ragioni della denuncia che avrebbe sporto lo zio del ricorrente.

2. – Con il secondo motivo, viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. b), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis e art. 35 bis, comma 9, per non aver la Corte territoriale ottemperato al dovere di collaborazione istruttoria nell’accertamento della situazione generale del Paese di provenienza del ricorrente.

3. – Con il terzo motivo, viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio, allegati in primo grado, ossia dichiarazioni “in cui la madre dichiara il timore che il figlio possa essere condannato ingiustamente” e l’altra dichiarazione in cui sempre la madre riferiva che le forze di polizia si erano recate presso l’abitazione del figlio.

4. – Con il quarto motivo, è addotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in punto di valutazione della situazione di vulnerabilità del ricorrente.

5. – Con il quinto motivo, viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in punto di riconoscimento della tutela di protezione umanitaria, ossia la circostanza della permanenza del ricorrente in Libia.

6. – I motivi dal secondo al quinto sono assorbiti dall’accoglimento del primo mezzo.

7. – Va, dunque, accolto il primo motivo e dichiarati assorbiti i restanti.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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