Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14710 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. II, 10/07/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 10/07/2020), n.14710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 20276/2016 R.G. proposto da:

V.A., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo di p.e.c., in Milano, al corso Matteotti,

n. 1, presso lo studio dell’avvocato Giovanni A. Sagramoso e

dell’avvocato Alberto Anelli che congiuntamente e disgiuntamente lo

rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE NAZIONALE per le SOCIETA’ e la BORSA (“Consob”), c.f.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente in virtù di

procura speciale su foglio separato in calce al controricorso dagli

avvocati Salvatore Providenti, Paolo Palmisano e Rocco Vampa ed

elettivamente domiciliata in Roma, alla via G. B. Martini, n. 3,

presso la propria sede;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Firenze n. 97 dei

22.1/8.2.2016;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 31

ottobre 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso come da memoria

all’uopo depositata, ovvero per la declaratoria di inammissibilità

dei motivi di ricorso dal quarto al quindicesimo e per il rigetto

del primo, del secondo, del terzo e del diciottesimo motivo di

ricorso, in subordine per il rigetto dei motivi dal primo al

quindicesimo e del diciottesimo motivo, per l’accoglimento del

sedicesimo, del diciassettesimo e del diciannovesimo motivo;

udito l’avvocato Alberto Anelli per il ricorrente;

udito l’avvocato Paolo Palmisano per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con lettera in data 28.6.2013, notificata il 3.7.2013, la “Divisione Mercati” di “Consob” contestava ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies (T.U.F.) ad V.A., direttore generale della “Banca Monte dei Paschi di Siena” s.p.a., l’accertamento, in relazione all’operazione cosiddetta “(OMISSIS)”, di fatti e circostanze culminati, attraverso la pubblicazione della relazione semestrale al 30.6.2008, nella diffusione, in data 29.8.2008, di dati falsi circa la dimensione del patrimonio di base, del patrimonio supplementare e del patrimonio di vigilanza della “Banca Monte dei Paschi di Siena” nonchè di dati falsi circa i relativi coefficienti patrimoniali.

2. Con Delib. 18 giugno 2014, n. 18951, notificata il 27.6.2014, la “Consob” irrogava ad V.A., per l’illecito – “manipolazione del mercato” – di cui all’art. 187 ter T.U.F., la sanzione pecuniaria di Euro 250.000,00, oltre a sanzione interdittiva accessoria.

3. Con ricorso notificato il 18.8.2014 V.A. proponeva opposizione innanzi alla corte d’appello di Firenze.

Chiedeva, tra l’altro, che l’adita corte dichiarasse l’illegittimità dell’impugnata Delib. e, per l’effetto, l’annullasse ovvero la revocasse.

3.1. Con decreto in data 19.12.2014 il presidente della corte d’appello fissava l’udienza in Camera di consiglio del 27.3.2015.

3.2. In data 2.2.2015 si costituiva la “Consob”.

3.3. Con decreto in data 9/11.2.2015, a parziale modifica del precedente decreto, il presidente della corte, d’appello disponeva procedersi secondo il rito del lavoro.

3.4. In data 17.3.2015 la “Consob” depositava memoria – con allegata documentazione – con cui contestava l’avversa opposizione.

3.5. Alla già fissata udienza del 27.3.2015 l’opponente eccepiva la tardività e quindi la inammissibilità della memoria in precedenza depositata dalla “Consob” nonchè l’inutilizzabilità della documentazione allegata.

4. Con sentenza depositata in data 8.2.2016, all’esito dell’udienza di discussione del 22.1.2016, l’adita corte rigettava l’opposizione e condannava l’opponente a rimborsare a controparte le spese di lite nonchè a pagare il doppio contributo.

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso V.A.; ne ha chiesto sulla scorta di diciannove motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

5.1. La “Consob” ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.

5.2. Il ricorrente ha depositato memorie.

5.3. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che la corte d’appello ha del tutto omesso di pronunciarsi in ordine alla eccezione di inammissibilità – siccome tardiva – della memoria depositata dalla “Consob” il 17.3.2015 e di inutilizzabilità della documentazione alla medesima memoria allegata.

7. Il primo motivo di ricorso va respinto.

Ed invero il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (cfr. Cass. 23.1.2009, n. 1701; Cass. 26.9.2013, n. 22083r secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali; cfr. Cass. 25.1.2018, n. 1876).

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 111 Cost., art. 2697 c.c., artt. 115,166,167,347,416 e 436 c.p.c., art. 187 septies T.U.F., L. n. 689 del 1981, art. 23 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, artt. 4 e 6.

Premette che è fuor di contestazione che, allorquando ha provveduto in data 2.2.2015 a costituirsi, la “Consob” si è limitata a domandare unicamente l’applicazione del rito del lavoro.

Indi deduce – in linea con l’eccezione sollevata dinanzi alla corte di Firenze – che si sono prodotte decadenze alla stregua della disciplina processuale correlata al rito che, in veste di attore – opponente, aveva prescelto e siffatte decadenze sono rimaste impregiudicate anche all’esito del mutamento del rito.

Deduce segnatamente che la “Consob” avrebbe dovuto nell’atto di costituzione depositato in data 2.2.2015 svolgere tutte le sue difese nonchè indicare i mezzi di prova e i documenti offerti in comunicazione.

9. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

Avverso la Delib. n. 18951 del 2014, V.A. – lo si è anticipato – ha proposto opposizione con ricorso notificato il 18.8.2014.

Occorre dunque riferirsi al rito antecedente al dì – 27.6.2015 – di entrata in vigore delle modifiche di cui al D.Lgs. n. 72 del 2015 (il cui art. 6, comma 8, seconda parte, dispone che “le modifiche del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-septies, commi 4, 5, 6, 6-bis, 6-ter, 7, 8 e 9, si applicano ai giudizi proposti a decorrere dall’entrata in vigore del presente D.Lgs.”).

9.1. L’art. 187 septies T.U.F. (rubricato “procedura sanzionatoria” e correlato alle sanzioni amministrative previste per gli illeciti – “abuso di informazioni privilegiate” (art. 187 bis T.U.F.) – “manipolazione del mercato” (art. 187 ter T.U.F.) – di cui al Capo III del Titolo I bis) disponeva che “il giudizio di opposizione si svolge nelle forme previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, in quanto compatibili” (dell’art. 187 septies, comma 6 T.U.F. era stato abrogato, a decorrere dal 16.9.2010, dall’art. 4, comma 1, punto 19), D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 4. Successivamente, la Corte Costituzionale, con sentenza 27.6.2012, n. 162, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del punto 19) del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 4, comma 1. Successivamente, del D.Lgs. 14 settembre 2012, n. 160, art. 3, comma 1, ha soppresso il punto 19) al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 4, comma 1. Successivamente, la Corte Costituzionale, con sentenza 15.4.2014, n. 94, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del punto 19) al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 4, comma 1, nella parte in cui abrogava dell’art. 187 septies, comma 6 T.U.F.. Successivamente il comma 6 è stato sostituito del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72, art. 5, comma 1, lett. e)).

La L. n. 689 del 1981, art. 23, è stato abrogato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 1, lett. c).

Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 1, dispone che “le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 (ovvero le opposizioni avverso l’ordinanza – ingiunzione di pagamento) sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”.

9.2. Si ammetta pure che in epoca antecedente al 27.6.2015, al pari delle opposizioni ad ordinanza – ingiunzione di pagamento, le opposizioni ex art. 187 septies T.U.F. soggiacessero al rito del lavoro.

E nondimeno nel caso di specie il mutamento di rito è avvenuto unicamente per effetto – al più presto – del decreto del presidente della corte d’appello di Firenze dei 9/11.2.2015.

Antecedentemente invece, in dipendenza della fissazione con l’iniziale decreto del 19.12.2014 del presidente della corte d’appello dell’udienza in Camera di consiglio del 27.3.2015, il procedimento aveva avuto – sostanzialmente – impulso alla stregua del rito “camerale”, sicchè è al rito “camerale” dapprima – sostanzialmente – seguito che andava e va correlato il disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, secondo cui “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate seconde le norme del rito seguito primo del mutamento”.

In questo quadro i termini fissati dal presidente la corte d’appello con l’iniziale decreto del 19.12.2014 ai fini dello sviluppo del procedimento inizialmente “camerale” (“invita parte notificata a depositare la propria risposta non meno di 30 giorni prima dell’udienza, parte ricorrente a depositare eventuale replica non meno di 20 giorni prima e la stessa parte resistente (id est: la “Consob”) a depositare l’ultima memoria difensiva fino a 10 giorni prima dell’udienza fissata (id est dell’udienza del 27.3.2015)”: al riguardo vedi ricorso, pagg. 5 – 6, in nota, e pag. 8), alla luce della generale prefigurazione di cui dell’art. 152 c.p.c., comma 1, non erano e non sono in alcun modo da considerare perentori.

Cosicchè il carattere meramente ordinatorio dei termini di cui al decreto del 19.12.2014 induce ad escludere non solo il verificarsi di decadenze in rapporto alle attività – non – compiute antecedentemente all’adozione del decreto del presidente della corte di Firenze dei 9/11.2.2015, ma pur il verificarsi di preclusioni in rapporto ad attività compiute successivamente all’adozione dello stesso decreto del presidente della corte fiorentina e però radicate sul tronco della scansione temporale – procedimentale precedente al cambio di rito.

9.3. Per nulla quindi possono condividersi gli assunti del ricorrente.

Ovvero gli assunti secondo cui alla data del 2.2.2015, allorchè ebbe a costituirsi in giudizio, erano maturate per la “Consob” “le preclusioni e le decadenze connesse all’atto della costituzione in giudizio” (così ricorso, pag. 11) e secondo cui dunque “Consob, nel costituirsi in giudizio, aveva già consumato interamente (…) le facoltà esercitabili con il suo primo atto difensivo” (così ricorso, pag. 11).

Ovvero l’assunto secondo cui le contestazioni dalla “Consob” svolte nella memoria depositata in data 17.3.2015 ed i documenti alla medesima memoria allegati – che la corte di merito ha senz’altro posto a base della sua decisione – avrebbero dovuto reputarsi inammissibili ed irrilevanti (cfr. ricorso, pag. 12).

10. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 689 del 1981, art. 23 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11.

Deduce che la “Consob” ha dato prova dei fatti sanzionati unicamente mercè l’atto di accertamento e l’ulteriore documentazione allegata alla memoria depositata in data 17.3.2015.

Deduce quindi che ha errato la corte distrettuale a ritenere che la “Consob” ha in tal guisa assolto l’onere probatorio su di essa gravante.

11. Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

Evidentemente la documentazione allegata alla memoria depositata in data 17.3.2015 era appieno utilizzabile alla luce dei rilievi dapprima svolti a riscontro della ritualità della relativa produzione.

In pari tempo la prefigurazione di un presunto error in iudicando correlato alla falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11 (“il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”) si risolve del tutto genericamente nella censura della valutazione degli esiti istruttori cui la corte territoriale ha atteso.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

12. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 187 septies T.U.F. e della L. n. 689 del 1981, art. 14.

Deduce che la corte di Firenze con motivazione del tutto carente ha ritenuto tempestiva la contestazione degli addebiti.

Deduce in particolare che, così come ha evidenziato con l’atto di opposizione, già in data 23.11.2012 la “Consob” avrebbe potuto riscontrare la pretesa sussistenza dell’illecito di cui all’art. 187 ter T.U.F.; che del resto la “Consob” neppure ha reputato necessaria l’acquisizione di elementi attinenti ai profili soggettivi del presunto illecito.

Deduce d’altro canto che la corte fiorentina non ha dato conto dell’esatto momento in cui i riscontri operati dalla “Consob” hanno dato corpo all’accertamento dal quale decorre il termine per la contestazione.

13. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che con l’atto di opposizione ha debitamente prospettato che l'”ufficio abusi di mercato” di “Consob” non ha svolto alcuna autonoma indagine; che la nota del 23.11.2012 è stata inviata dalla “Consob” alla Procura della Repubblica di Siena all’esito dell’esame della copiosa documentazione in precedenza rimessa alla “Consob” dalla medesima Procura; che la “Banca d’Italia” ha provveduto in piena autonomia a formulare per gli stessi fatti la propria contestazione in data 27.12.2012; che la “Consob” si è limitata a recepire le conclusioni cui era pervenuta la “Banca d’Italia”.

Deduce quindi che la corte toscana ha del tutto omesso l’esame di tali fatti.

14. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

Deduce che ha specificamente contestato la ricostruzione – di cui alla memoria depositata il 17.3.2005 – dei diversi passaggi dell’istruttoria svoltasi innanzi alla “Consob”, passaggi del tutto sforniti di supporto probatorio.

15. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che, così come ha evidenziato con l’atto di opposizione, quantunque il segreto istruttorio si sia protratto sino al 30.7.2013, la Procura della Repubblica di Siena ha ab origine autorizzato la “Consob” all’esame ed all’utilizzo della documentazione.

Deduce quindi che la corte toscana ha del tutto omesso l’esame di tale circostanza.

16. Il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne suggerisce la disamina contestuale; i medesimi motivi in ogni caso vanno rigettati.

17. Si premette che anche il quarto ed il sesto motivo si qualificano in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condivide in parte qua la prospettazione della controricorrente: cfr. controricorso, pagg. 20 – 21).

Occorre tener conto, da un iato, che pur con il quarto ed il sesto mezzo V.A. censura il giudizio “di fatto” in virtù del quale la corte d’appello ha opinato per la tempestiva – nel rispetto del termine di 180 giorni – contestazione degli addebiti.

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

In tal guisa i vizi motivazionali che i motivi tutti in disamina veicolano, rilevano, oltre che nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel solco della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

18. In quest’ottica si evidenzia quanto segue.

Da un canto è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della decisione a sezioni unite testè menzionata – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi nelle motivazioni cui, in parte qua, la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (l’assunto del V., secondo cui l’accertamento si sarebbe compiuto in data 23.11.2012, “non considera (…) che i connotati dell’operazione di acquisizione di Antonveneta da parte di M.P.S. erano “(…) allo stato, ancora oggetto di analisi da parte della 1-“Consob”)””: così sentenza impugnata, pag. 14; “approfondimenti particolari erano del tutto coerenti con la complessità della materia”: così sentenza impugnata, pag. 15).

D’altro canto la corte di merito ha senz’altro disaminato i fatti decisivi caratterizzanti, in parte qua agitur, la res litigiosa ovvero il profilo concernente la tempestività della contestazione.

19. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di Firenze risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

19.1. Con riferimento al profilo della correttezza giuridica, del resto, questa Corte spiega che, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della “Consob”, non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, nè con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine, nè con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la “constatazione” dei fatti non comporta di per sè il loro “accertamento”; cosicchè, mentre la redazione della relazione ed il suo esame debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la “constatazione” avrebbe potuto essere tradotta in “accertamento”, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa (cfr. Cass. 2.12.2011, n. 25836; Cass. 16.4.2018, n. 9254; Cass. 18.4.2007, n. 9311, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione immediata della violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione; e che compete, poi, al giudice di merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile, completa conoscenza, individuando il “dies a quo” di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione).

19.2. Con riferimento al profilo della congruenza e della esaustività della motivazione, del resto, questa Corte spiega che il novello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr. Cass. (ord.) 18.10.2018, n. 26305; Cass. 14.6.2017, n. 14802).

In fondo i mezzi di impugnazione in esame si risolvono nella sollecitazione a questa Corte a riesaminare le valutazioni ed i convincimenti, in parte qua, del giudice del merito.

E nondimeno, in tal guisa, i mezzi de quibus si traducono nella richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul “fatto”, di certo inammissibile – così come si riconosceva già nel vigore dell’abrogato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – in quanto estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

20. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 24,25,97 e 111 Cost., art. 187 septies T.U.F., L. n. 262 del 2005, art. 24 e dell’art. 6 C.E.D.U..

Deduce che la corte fiorentina ha errato ad assumere che nel procedimento innanzi alla “Consob” non si applicano le garanzie della difesa e del “giusto processo”; che ha errato ad assumere che non è possibile dolersi delle lesioni del diritto di difesa, qualora non si indichino le attività difensive che sarebbero state svolte.

Deduce che l’applicazione delle garanzie difensive e del “giusto processo” si sarebbe imposta viepiù, se si tiene conto della natura sostanzialmente penale della sanzione irrogatagli e dell’ulteriore circostanza per cui l’illecito gli è stato dapprima ascritto a titolo di colpa e poi, nella relazione dell'”Ufficio Sanzioni Amministrative”, a titolo di dolo.

21. L’ottavo motivo di ricorso del pari va rigettato.

E’ sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della C.E.D.U., può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (cfr. Cass. 13.1.2017, n. 770; la fattispecie delibata in tale occasione da questa Corte concerneva sanzioni applicate dalla Consob all’esito del procedimento amministrativo previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies; cfr. altresì Cass. 15.2.2018, n. 3734).

Si badi che nella fattispecie il ricorrente ha avuto ampia possibilità di far valere le sue ragioni (“in data 3 ottobre 2013, il Dott. V.A. ha presentato a Consob le proprie deduzioni difensive provvedendo – il successivo 3 dicembre – ad una loro integrazione”: così ricorso pag. 4; “conseguentemente, il Dott. V. – in data 14 marzo 2014 – ha trasmesso a Consob ulteriori deduzioni difensive”: così ricorso pag. 4).

Sicchè soccorre l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non è violato il principio del contraddittorio nel caso di omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della “Consob” o di sua mancata audizione innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del “giusto processo”, riferibili solo al procedimento giurisdizionale (cfr. Cass. 4.9.2014, n. 18683; Cass. 22.4.2016, n. 8210; Cass. sez. un. 30.9.2009, n. 20935).

22. Con il nono motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che con l’opposizione esperita innanzi alla corte toscana ha censurato la Delib. 18 giugno 2014, n. 18951, siccome non gli è stato comunicato l’inizio del procedimento innanzi alla “Consob”.

Deduce che la corte toscana nulla ha statuito al riguardo.

23. Il nono motivo di ricorso parimenti va rigettato.

E’ sufficiente rimarcare che gli eventuali vizi del procedimento amministrativo non hanno alcuna rilevanza, siccome in tema di sanzioni amministrative il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con susseguente cognizione piena del giudice (cfr. Cass. sez. un. 28.1.2010, n. 1786; Cass. 21.5.2018, n. 12503).

Di conseguenza non ha valenza alcuna la denunciata pretesa omissione di pronuncia.

24. Con il decimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che la corte d’appello ha in più passaggi della motivazione dell’impugnato dictum fatto applicazione del principio di non contestazione. Deduce che viceversa ha contestato in modo specifico i fatti fondamentali dalla “Consob” addotti con l’atto di accertamento.

Deduce che conseguentemente la corte di merito ha violato le regole in tema di ripartizione dell’onere della prova.

25. Il decimo motivo di ricorso non merita seguito.

Ed invero la corte distrettuale non ha fatto ricorso al principio di non contestazione. Si è limitata piuttosto a trarre argomenti da talune espressioni adoperate dall’opponente.

D’altronde il ricorrente ha dato atto che il ricorso “al principio di non contestazione” è avvenuto “in modo generico” (così ricorso, pag. 30).

In questi termini il motivo in disamina attinge al fondo – e con le implicazioni che si diranno – il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha fatto luogo in sede di riscontro degli illeciti.

26. Con l’undicesimo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che ha provveduto a contestare dapprima col ricorso in opposizione e poi con le note difensive il fatto oggettivo ascrittogli, ovvero l’asserita falsità delle informazioni diffuse circa l’ammontare dei patrimoni (di base, supplementare e di vigilanza) e circa la consistenza del “total capital” e l’asserita idoneità delle stesse informazioni ad essere fuorvianti per il mercato.

Deduce in particolare che ha puntualmente addotto che i dati indicati dalla “Banca d’Italia” erano ancora sub iudice e, ad ulteriore riscontro della tardiva formulazione della contestazione, che erano esposti nella relazione dalla “Consob” ricevuta nel novembre del 2012.

Deduce comunque che la corte di Firenze non ha assolutamente preso in esame tali fatti.

27. Con il dodicesimo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che col ricorso in opposizione ha specificamente addotto che non era provato che in epoca antecedente al 28.8.2008, di di approvazione della relazione semestrale, la “Banca d’Italia” avesse rappresentato la necessità di modificare alcune clausole contrattuali per consentire che l’aumento di capitale riservato a “W Morgan” potesse essere computato nel core capital di “B.M.P.S.”.

Deduce che la corte di Firenze non ha assolutamente preso in esame tale circostanza di fatto, decisiva ai fini del riscontro della sussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito.

28. L’undicesimo e il dodicesimo motivo di ricorso sono strettamente correlati; ne è opportuno perciò l’esame simultaneo; i medesimi motivi comunque non meritano seguito.

Invero il novello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento – lo si è già anticipato – un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr. Cass. (ord.) 18.10.2018, n. 26305; Cass. 14.6.2017, n. 14802), qual è il caso dei fatti e delle circostanze di cui si è addotta l’omessa considerazione.

In ogni caso i motivi de quibus si risolvono nella censura del giudizio “di fatto” cui la corte fiorentina ha atteso circa la tempestività della contestazione, di cui si è detto, e circa la sussistenza degli illeciti, di cui si dirà.

29. Con il tredicesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c..

Deduce che, contrariamente a quanto la corte toscana ha affermato, “è indiscutibile che nella pagina 13 dell’atto di accertamento (…) non è scritto quanto è riportato in sentenza ed – particolare – non è menzionata alcuna “(…) nota inviata in data 15/02/2013 alla Procura della Repubblica di Siena” da Banca d’Italia” (così ricorso, pag. 37).

30. Il tredicesimo motivo di ricorso del pari non merita seguito.

Invero l’addotta ragione di censura si risolve nella prospettazione di un errore revocatorio, atteso che errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, è propriamente l’erronea percezione degli atti di causa (cfr. Cass. (ord.) 24.7.2012, n. 12962. Si veda anche Cass. sez. lav. 15.1.2009, n. 844, secondo cui l’errore di fatto idoneo a costituire motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa).

31. Con il quattordicesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 187 ter T.U.F. e della L. n. 689 del 1981, art. 1, la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., la violazione del divieto di interpretazione estensiva delle norme penali e di quelle che prevedono sanzioni amministrative.

Premette che la relazione semestrale al 30.6.2008 di “B.M.P.S.”, approvata il 28.8.2008, è stata sottoscritta unicamente da M.G., ovvero dal presidente del consiglio di amministrazione, e da P.D., ovvero dal dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili.

Premette altresì che la corte d’appello ha ritenuto che egli ricorrente aveva contribuito alla relazione semestrale contenente indicazioni fuorvianti, sicchè non poteva essere ritenuto estraneo all’attività di diffusione, necessaria ai fini dell’integrazione della fattispecie illecita di cui all’art. 187 ter t.u.f..

Indi deduce che sia nell’iniziale atto di opposizione sia nelle note difensive autorizzate ha specificamente contestato la configurabilità a suo carico di qualsivoglia contributo materiale e psicologico sia ai fini della predisposizione sia ai fini della diffusione della relazione semestrale.

32. Con il quindicesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 1 e 3 e dell’art. 187 ter T.U.F.; la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Premette che la corte distrettuale ha desunto la sua consapevolezza circa l’impossibilità di computare nel core capita, di “B.M.P.S.” l’aumento di capitale riservato a “JP Morgan” e quindi la sua consapevolezza circa la non veridicità dei dati esposti nella relazione semestrale al 30.6.2008, approvata il 28.8.2008, dalla nota di “Banca d’Italia” in data 26.3.2008 e dalla nota di “B.M.P.S.” in data 23.5.2008.

Indi deduce che siffatti documenti non giustificano la valutazione presuntiva operata dalla corte territoriale; che invero la nota della “Banca d’Italia” è antecedente all’invio – avvenuto il 23.5.2008 – dei contratti relativi all’aumento di capitale riservato a “JP Morgan”.

Deduce propriamente che la corte di Firenze non ha accertato il momento, antecedente all’approvazione della relazione semestrale al 30.6.2008, in cui la “Banca d’Italia” ha comunicato la sussistenza di “motivi ostativi”, comunicazione antecedente al 30.6.2008 che unicamente può giustificare la riferibilità ad egli ricorrente dell’illecito.

Deduce ulteriormente che la corte di Firenze ha errato a ritenere che fosse a conoscenza dell’esistenza e del contenuto dei documenti relativi agli accordi stipulati l’1.10.2008 tra “B.M.P.S.” e “JP Morgan”.

33. Il quattordicesimo e il quindicesimo motivo di ricorso sono significativamente connessi; il che ne suggerisce l’esame contestuale; i medesimi motivi in ogni caso vanno respinti.

34. Si premette che i mezzi de quibus si qualificano essenzialmente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In fondo il ricorrente censura il giudizio “di fatto” (“il Dott. V. ha sempre contestato la ricostruzione dei fatti proposta da Consob”: così ricorso, pag. 47) cui la corte fiorentina ha atteso ai fini del probatorio riscontro dell’illecito ascrittogli (ovvero l’affermazione secondo cui ha contribuito alla relazione semestrale contenente indicazioni fuorvianti: cfr. sentenza impugnata, pag. 24). Ed è il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. , che riguarda – lo si è detto – l’accertamento e la valutazione dei fatti che rilevano ai fini della decisione della controversia.

Ciò tanto più che l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte – secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’illecito di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter (manipolazione del mercato), non richiedendo particolari qualificazioni soggettive, può essere integrato da chiunque, e non soltanto da un soggetto qualificato, di talchè l’illecito va ascritto, in via concorsuale, a tutti coloro che, a vario titolo, abbiano concorso alla diffusione delle informazioni, voci o notizie false o fuorvianti, previste dalla norma, vuoi in ragione della qualità personale rivestita in seno alla società, vuoi per il determinante apporto causale concretamente arrecato al processo di ideazione, gestazione, formazione e trasfusione di contenuti da soggetti che siano stati coinvolti da coloro che ricoprivano cariche sociali (cfr. Cass. sez. un. 30.9.2009, 20935) – postula imprescindibilmente un giudizio “di fatto”.

In tal guisa le censure che i mezzi in disamina veicolano rilevano – se del caso – oltre che nel solco della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti di cui alla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

35. Nei termini esposti si osserva quanto segue.

Da un canto nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite da ultimo menzionata si scorge in relazione alle motivazioni cui la corte d’appello ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente”, la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (“(è) incontestata la qualità di Direttore Generale di MPS (di V.A.)”: così sentenza impugnata, pag. 24; “(…) il Direttore Generale (…) è il soggetto “… che sovraintende l’intera struttura della banca e (…) provvede alla esecuzione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione (…)””: così sentenza impugnata, pag. 24; “(…) il Consiglio di Amministrazione di MPS ha approvato la relazione finanziaria semestrale al 30/06/2008 nella seduta del 28/08/2008 previa illustrazione da parte del Direttore Generale ( V.) dei “… principali elementi del bilancio semestrale e della verifica di budget partendo dagli elementi ricorrenti (…)””: così sentenza impugnata, pag. 26; “(è) evidente che le problematiche erano ben conosciute ai soggetti apicali cui è riferibile la relazione semestrale. Tali soggetti, sia per le loro conoscenze tecniche sia per i ripetuti richiami di Banca d’Italia, ben sapevano quanto illustrato poi da Banca d’Italia in una nota inviata il 09/05/2012 alla Procura della Repubblica di Siena, e cioè (…)”: così sentenza impugnata, pag. 28).

D’altro canto la corte di merito ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa ovvero l’an dell’ascritta responsabilità.

36. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte toscana risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, oltre che assolutamente congruo ed esaustivo.

37. V.A., abilitato in qualità di direttore generale a dar – tra l’altro – attuazione alle delibere del consiglio di amministrazione, era evidentemente a conoscenza, o, quanto meno, ben avrebbe dovuto essere a conoscenza, dell’attività dell’organo collegiale di gestione e dunque dei percorsi decisionali del consiglio e cronologicamente antecedenti e cronologicamente successivi all’approvazione della relazione finanziaria semestrale al 30.6.2008.

Su tale scorta non può non evidenziarsi che, ai sensi dell’art. 2396 c.c., “le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati (…)”. E che, ai sensi dell’art. 2392 c.c., comma 2, gli amministratori “sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.

In questo quadro per nulla si giustificano la pretesa estraneità del ricorrente alla “fase decisionale e di successiva redazione e diffusione del documento contestato”, il preteso inammissibile ricorso alla “praesumptio de praesumpto”, la pretesa errata applicazione – tra l’altro – della disciplina dell’onere probatorio.

In questo quadro analogamente non riveste precipua valenza l’accertamento del momento in cui la “Banca d’Italia” ha comunicato l’esistenza di “motivi ostativi” (cfr. ricorso, pag. 45).

37.1. Si tenga conto, per un verso, con riferimento all’operato riscontro del contributo materiale, che spetta al giudice di merito non solo vagliare l’opportunità del ricorso alle presunzioni, ma pur individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento “di fatto” che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr. Cass. 11.5.2007, n. 10847).

37.2. Si tenga conto, per altro verso, con riferimento al riscontro del contributo psicologico, che questa Corte spiega che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita; tuttavia, nel caso dell’illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la prova dell’elemento oggettivo dell’illecito comprensivo della “suità” della condotta inosservante, in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o imprevedibile l’evento (cfr. Cass. 22.1.2018, n. 1529, ove si soggiunge che, così intesa, la “presunzione di colpa” non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU e art. 27 Cost., anche nel caso la sanzione abbia natura sostanzialmente penale in quanto afflittiva; cfr. Cass. 18.4.2018, n. 9546).

38. Con il sedicesimo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Premette che la sanzione irrogatagli è stata determinata alla stregua dei limiti edittali dell’art. 187 ter, comma 1 T.U.F., così come quintuplicati a seguito e per effetto della novella di cui alla L. n. 262 del 2005, art. 39, comma 3.

Premette che il D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 3, dispone che “alle sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, non si applica la L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 39, comma 3”.

Indi deduce che nelle note difensive autorizzate ha chiesto alla corte territoriale la riduzione della sanzione irrogatagli in dipendenza della disciplina sopravvenuta di cui all’art. 6, comma 3 cit..

Deduce che la corte territoriale nulla ha statuito al riguardo.

39. Con il diciassettesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 Cost., art. 187 ter T.U.F., L. n. 689 del 1981, art. 11, art. 2396 c.c. e D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6.

Deduce che la corte di Firenze ha ingiustificatamente respinto le doglianze con cui aveva censurato la immotivata quantificazione, nel provvedimento della “Consob”, della sanzione irrogatagli.

Deduce che la corte di Firenze ha erroneamente reputato irrilevante la circostanza per cui la sanzione irrogatagli è stata quantificata nella medesima misura della sanzione irrogata a M.G., benchè costui abbia avuto veste di presidente del consiglio di amministrazione.

Deduce, qualora si ritenga che la corte di Firenze ha implicitamente respinto l’istanza di applicazione retroattiva del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 3, che si faccia luogo comunque all’applicazione di siffatta disposizione legislativa in ossequio al principio del favor rei; eccepisce, in mancanza, l’illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 1, in relazione, tra gli altri, all’art. 3 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

40. Con il diciottesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014.

Deduce che il procedimento di opposizione a sanzioni “Consob” rientra tra quelli di “volontaria giurisdizione”.

Deduce su tale scorta che la corte fiorentina avrebbe dovuto applicare, ai fini della quantificazione delle spese di lite, la tabella n. 7, rubricata “procedimenti di volontaria giurisdizione”, allegata al D.M. n. 55 del 2014.

Deduce di conseguenza che l’operata liquidazione delle spese è ampiamente superiore ai massimi determinabili alla stregua della tabella n. 7.

41. Con il diciannovesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Deduce che ha errato la corte toscana allorchè, rigettata l’opposizione, lo ha condannato al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Deduce che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ha ad oggetto i soli giudizi di impugnazione e non riguarda i giudizi di opposizione; che il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa non costituisce un giudizio di impugnazione ma un giudizio ordinario.

42. Il sedicesimo ed il diciassettesimo motivo di ricorso sono strettamente correlati; i medesimi motivi comunque vanno accolti nei termini che seguono.

E’ sufficiente dar atto – e tale rilievo ha valenza assorbente rispetto ogni ulteriore ragione di censura veicolata dai motivi in disamina – che con sentenza n. 63/2019 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 bis; ha dichiarato, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dello stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter.

Il giudice di rinvio pertanto riesaminerà il thema del quantum della sanzione alla luce della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità.

43. Il buon esito del sedicesimo e del diciassettesimo motivo evidentemente assorbe la disamina del diciottesimo motivo di ricorso.

44. Il diciannovesimo motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.

Effettivamente, in tema di sanzioni amministrative, l’opposizione all’ordinanza – ingiunzione non configura un’impugnazione dell’atto, ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa (cfr. Cass. 2.4.2015, n. 6778).

Conseguentemente non può trovare applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che si riferisce all’ipotesi in cui sia stata respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile l’impugnazione anche incidentale.

45. In accoglimento del sedicesimo, del diciassettesimo e del diciannovesimo motivo di ricorso la sentenza n. 97/2016 della corte d’appello di Firenze, nei limiti in cui i medesimi motivi sono stati accolti, va cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

46. In dipendenza dell’accoglimento del ricorso non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte accoglie il sedicesimo, il diciassettesimo ed il diciannovesimo motivo di ricorso, assorbita nell’accoglimento dei motivi anzidetti la disamina del diciottesimo motivo di ricorso; rigetta tutti gli ulteriori motivi di ricorso; cassa – nei limiti dei motivi accolti – la sentenza della corte d’appello di Firenze n. 97 dei 22.1/8.2.2016; rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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