Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14709 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. II, 10/07/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 10/07/2020), n.14709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10409/2015 proposto da:

D.C., elettivamente domiciliata in Roma Via Panama 86,

presso lo studio dell’avvocato Venezia Vito, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Melucco Andrea;

– ricorrente –

contro

P.G., P.E., Pa.Ge., P.A.,

P.F., S.A.M., P.L., in qualità di

eredi di P.S., elettivamente domiciliati in Roma, Via G.

Mercalli 13, presso lo studio dell’avvocato Arturo Cancrini,

rappresentati e difesi dall’avvocato Vincenzo Savino;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 437/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/10/2019 da Dott. COSENTINO ANTONELLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di

ricorso;

udito l’Avvocato Andrea Melucco, difensore della ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso;

udito l’Avvocato Vincenzo Savino, difensore dei resistenti, che ha

chiesto il rigetto del ricorso e l’accoglimento del controricorso e

della memoria.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La sig.ra D.C. adiva il Tribunale di Potenza per far accertare il diritto di servitù di passaggio in favore di un terreno di sua proprietà gravante su una strada esistente nella proprietà del confinante sig. P.S., di collegamento con la strada comunale “(OMISSIS)”. L’attrice chiedeva altresì, consequenzialmente al riconoscimento dell’esistenza della suddetta servitù, che il sig. P. fosse condannato alla rimozione di ogni ostacolo determinante una riduzione della dimensione del passo (identificato nella misura di 2,50 mt. di larghezza), nonchè al risarcimento del danno arrecato alla stessa, da quantificare in corso di causa.

Il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda avversaria e sostenendo di non aver mai frapposto alcun ostacolo al passaggio della sig.ra D. sulla strada in questione, precisando però che tale diritto era da considerarsi solo di passaggio pedonale e non anche, come sostenuto da controparte, di passaggio con mezzi meccanici.

Il Tribunale di Potenza accoglieva la domanda attorea, dichiarando esistente la servitù di passaggio di mt. 2,50 di larghezza a favore del fondo dell’attrice e a carico del fondo del convenuto, esercitabile sia a piedi che con mezzi meccanici. Condannava, altresì, il convenuto alla rimozione di ogni ostacolo che riducesse la larghezza di detta servitù di passaggio e al conseguente risarcimento dei danni arrecati alla parte attrice.

Avverso detta pronuncia proponevano appello i sig.ri P.L., A., E., F., Ge. e G. e S.A.M., in qualità di eredi del defunto P.S..

La Corte di appello di Potenza accoglieva il gravame e, riformando integralmente l’impugnata sentenza, rigettava la domanda proposta in primo grado dalla sig.ra D., ritenendola non sufficientemente provata.

Ad avviso della Corte lucana l’attrice aveva “agito per il riconoscimento e la tutela di una servitù, senza allegare il titolo costitutivo, non fornendo al riguardo alcuna indicazione chiara, limitandosi a sostenere che essa esisteva da “tempo immemorabile” e che veniva esercitata anche con automobili e mezzi meccanici di vario tipo” (pag. 6, punto 2.1, della sentenza). Nella sentenza di appello si aggiunge, altresì, che alla carenza di prova della domanda attorea non sarebbe stato possibile supplire neppure con le “parziali ammissioni di controparte” (pag. 7, punto 3, della sentenza) e si sottolinea che, in definitiva, la signora D., pur avendo esercitato un’azione confessoria servitutis, non aveva “neppure specificato il titolo costitutivo del preteso diritto” (pag. 7, punto 6, della sentenza). Da ultimo, la Corte territoriale argomenta che il principio di non contestazione non potrebbe ritenersi operante nel presente giudizio, essendo stato quest’ultimo introdotto prima dell’entrata in vigore della riforma del codice di rito recata dalla L. n. 353 del 1990, alla quale risale l’introduzione, nel testo dell’art. 167 c.p.c., dell’obbligo del convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. Donde l’accoglimento dell’appello dei proprietari del fondo asseritamente servente.

Contro la pronuncia della Corte di appello, la sig.ra D.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di sei motivi; i sig.ri P.L., A., E., F., Ge. e G. e S.A.M. hanno presentato controricorso.

La causa, discussa una prima volta nella Camera di consiglio del 4 aprile 2017 e in quella sede rinviata all’udienza pubblica per carenza di evidenza decisoria, è stata chiamata alla pubblica udienza del 16.10.19, per la quale entrambe le parti hanno depositato una memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115,116,167 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. La ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia tenuto in alcun conto le risultanze istruttorie acquisite nel primo grado del giudizio e le stesse allegazioni delle parti. In particolare nel mezzo di impugnazione si sottolinea, per un verso, che il riferimento dell’attrice ad un passaggio esercitato “da tempo immemorabile” indicava inequivocabilmente nell’usucapione il titolo posto dall’attrice a fondamento della servitù di cui chiedeva l’accertamento giudiziale; per altro verso, che i convenuti non avevano mai messo in discussione, nemmeno nel loro atto di appello, l’esistenza di una servitù di passaggio a favore del fondo della signora D., limitandosi a contestare esclusivamente le modalità di esercizio del passaggio, a loro avviso esercitabile solo a piedi e non con mezzi meccanici. Conseguentemente la ricorrente argomenta che la Corte d’appello, rigettando interamente la domanda confessoria, avrebbe errato nell’inquadrare il tema della decisione.

Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,342 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, lamentandosi la violazione del principio del tantum devolutum quantum appellatum, e del conseguente principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa rigettando interamente la domanda confessoria ancorchè nell’atto di appello dei signori P. si contestasse solo il passaggio con mezzi meccanici.

Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. La ricorrente sostiene che la Corte territoriale, ritenendo di dover rigettare la domanda sul presupposto che questa non fosse correttamente qualificata sotto il profilo del nomen juris, avrebbe violato il principio jura novit curia. Nel mezzo di impugnazione si argomenta che, a fronte di una domanda relativa ad una servitù di passaggio ed a fronte della difesa del convenuto che riconosceva esplicitamente la sussistenza di tale servitù, il giudice di appello avrebbe dovuto fare applicazione delle norme richiamate delle difese svolte dalle parti.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. La ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe violato le disposizioni richiamate in rubrica perchè fondando la propria decisione sul duplice assunto che la signora D. non aveva indicato il titolo della servitù dedotto in giudizio e che nessun rilievo poteva attribuirsi alle ammissioni dei convenuti – aveva completamente omesso l’esame delle prove acquisite nel corso del giudizio di primo grado.

Con il quinto motivo, rubricato in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente reitera la doglianza di omesso esame del materiale istruttorio raccolto in primo grado, già proposta con il quarto motivo, questa volta sotto il profilo dell’apparenza della motivazione.

Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente chiede che questa Corte “annullata la sentenza della Corte territoriale” (pag. 22 del ricorso) provveda direttamente alla decisione della controversia nel merito.

I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto intimamente connessi, e vanno accolti.

In primo luogo, infatti, la Corte lucana ha errato nell’imperniare il proprio ragionamento decisorio sul disposto dell’art. 167 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma recata dalla L. n. 353 del 1990. La questione, infatti, non riguarda l’onere del convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, bensì l’individuazione dell’oggetto del giudizio – di primo grado e, poi, di appello – quale risultante dalle conclusioni delle parti.

Deve allora rilevarsi che già nella comparsa di risposta in primo grado dell’originario convenuto P.S., dante causa degli odierni contro ricorrenti, il medesimo affermava di non avere “mai contestato il diritto di passaggio concesso alla signora D.C.” precisando, tuttavia, che “la servitù di passaggio consente il solo transito a piedi, escludendo, per le ridotte dimensioni del passaggio qualsiasi transito con animali o automezzi”. Nell’atto di appello degli eredi P., questi ultimi, poi, chiedevano al giudice di secondo grado di accogliere la loro impugnazione e, per l’effetto, di “dichiarare sussistente sulle particelle (OMISSIS) fog. (OMISSIS) di proprietà della signora P.A. soltanto un diritto di passaggio a piedi, acquistato dei confinanti con sentenza del Tribunale di Potenza – sez. civile n. – 1140/91”. A fronte di tali conclusioni dei convenuti/appellanti, la pronuncia della Corte d’appello – che ha rigettato integralmente la domanda di primo grado, avente ad oggetto la declaratoria della sussistenza, in favore del fondo dell’attrice, di una servitù di passaggio “della larghezza di metri 2,50” si pone oltre i limiti del devoluto, perchè riforma la statuizione del primo giudice di riconoscimento di una servitù di passo anche in relazione alla modalità di passaggio a piedi, in ordine alla quale la suddetta statuizione non era stata impugnata dagli appellanti.

Il terzo motivo va disatteso perchè formulato in termini inammissibilmente generici. Esso imputa alla Corte territoriale di aver rigettato la domanda della sig.ra D. sul presupposto che tale domanda “non fosse correttamente qualificata sotto il profilo del nomen juris azionato” (pag. 16 del ricorso). La doglianza travisa il contenuto della impugnata sentenza, perchè quest’ultima non pone una questione di qualificazione della posizione soggettiva dedotta in giudizio (individuata, come è pacifico, in un diritto di servitù) ma rileva la mancata indicazione, da parte dall’attrice, del titolo della servitù oggetto del richiesto accertamento giudiziale. Il motivo, in definitiva, non può trovare accoglimento in quanto risulta privo di pertinenza alle argomentazioni della sentenza gravata nè, sotto altro aspetto, spiega perchè la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell’art. 113 c.p.c. e, in particolare, il principio jura novit curia.

Il quarto motivo – con cui la ricorrente denuncia il mancato esame, da parte della Corte lucana, delle prove acquisite nel corso del giudizio di primo grado – va anche esso disatteso, in quanto si risolve nella sollecitazione ad una revisione dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato nella sentenza, la quale ha giudicato insufficienti le produzioni effettuate dall’attrice (le sentenze rese, in primo grado e in appello, in un precedente giudizio possessorio tra le stesse parti ed un estratto della consulenza tecnica ivi espletata). Quanto al mancato apprezzamento delle prove testimoniali, è sufficiente ricordare il costante orientamento di questa Corte, ancora ribadito nella recente ordinanza n. 2187/19, secondo cui sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento.

Il quinto motivo è pur esso infondato. Non sussiste la violazione dell’art. 112 c.p.c., denunciata dalla sig.ra D., essendosi la Corte d’appello pronunciata, accogliendolo, sull’appello degli eredi P. e, conseguentemente, rigettando la domanda proposta dall’odierna ricorrente. Neppure, può aggiungersi, sussiste il vizio di motivazione apparente, non evocato nella rubrica del mezzo di impugnazione ma richiamato nella trama argomentativa del motivo mediante il riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4 (pag. 21, ultimo capoverso, del ricorso), perchè la motivazione dell’impugnata sentenza consente di intendere pienamente il ragionamento seguito dalla Corte territoriale per pervenire alla propria decisione.

Il sesto motivo di ricorso, rubricato “decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2” non può essere considerato un mezzo di impugnazione, in quanto non muove alcuna censura nei confronti della sentenza impugnata, ma si risolve in una sollecitazione a questa Corte affinchè la stessa, in caso di cassazione della sentenza d’appello, si pronunci con decisione nel merito. Tale sollecitazione non può essere accolta, giacchè, l’accoglimento dei primi due mezzi di ricorso, conducendo alla cassazione della sentenza di appello nella parte in cui si è pronunciata oltre il devolutum, impone di rinviare nuovamente la causa alla Corte territoriale perchè questa si pronunci sulle domande delle parti dell’oggetto della res litigiosa.

In definitiva vanno accolti i primi due motivi di ricorso, disattesi gli altri, e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Potenza, in altra composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, rigetta gli altri e cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Si dà atto che il presente provvedimento è firmato dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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