Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14707 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 19/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 19/07/2016), n.14707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19769/2013 proposto da:

COMUNE NAPOLI, (OMISSIS), in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato

FABIO MARIA FERRARI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo legale rappresentante –

procuratore speciale Dott. O.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio

dell’avvocato GAETANO ALESSI, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.M., ROCCO APPALTI SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 10406/2012 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 28/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato STEFANO REPOSSI per delega;

udito l’Avvocato LIVIO ALESSI per delega non scritta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 31 agosto – 28 settembre 2012 il Tribunale di Napoli accoglieva appello proposto da B.M. avverso sentenza n. 5304/2008 del Giudice di pace di Napoli, che aveva respinto la sua domanda nei confronti del Comune di Napoli di risarcimento per una caduta mentre camminava su un marciapiedi a causa di un’insidia, giudizio in cui il Comune aveva chiamato per garanzia Rocco Appalti S.r.l. (per avere con essa stipulato contratto di manutenzione delle strade), la quale a sua volta aveva chiamato Sara Assicurazioni S.p.A. per contratto di assicurazione, e tutti si erano costituiti resistendo sia in primo sia in secondo grado. Il Tribunale condannava pertanto il Comune a risarcire B.M. nella misura di Euro 39.000 oltre interessi legali fino al soddisfo, e rigettava “la chiamata in garanzia” del Comune nei confronti di Rocco Appalti S.r.l. nonchè “la domanda di rivalsa” di quest’ultima nei confronti della compagnia assicuratrice e il suo appello incidentale.

2. Ha presentato ricorso il Comune di Napoli, sulla base di cinque motivi, il primo denunciante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed erronea interpretazione degli artt. 112, 342 e 345 c.p.c., il secondo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto controverso decisivo ed error in procedendo, il terzo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ed error in iudicando sul calcolo degli interessi compensativi, il quarto, ex articolo 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione ancora dell’articolo 132 n.4 c.p.c. ed error in iudicando sulla valutazione del danno morale, il quinto infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Si difende con controricorso Sara Assicurazioni S.p.A., che riconosce peraltro fondatezza al terzo e al quarto motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

La doglianza non è autosufficiente, in quanto non indica come era stato chiesto, quanto all’importo, il risarcimento in primo grado: è evidente che, nella concreta vicenda processuale, avrebbe potuto essere chiesto anche oltre il limite della competenza per valore ex art. 7 c.p.c., del Giudice di pace senza che fosse sollevata tempestivamente eccezione ex art. 38 c.p.c..

aggiunge poi il ricorrente che il riconoscimento del danno morale operato dal Tribunale confliggerebbe con il principio della devoluzione, perchè B.M., nelle conclusioni del suo atto introduttivo, non aveva chiesto la condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni, ma “al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante”.

Anche questa doglianza patisce di autosufficienza carente, non avendo il ricorrente trascritto le precisate conclusioni dell’atto introduttivo su cui fonda la sua censura (cfr. a proposito dell’autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di riferimento ad atti processuali, che non solo devono essere specificamente individuati pure quanto alla loro collocazione, ma altresì devono essere oggetto di integrale trascrizione quanto alle parti che sono oggetto di doglianza, Cass. sez. 1, 19 agosto 2015 n. 16900; Cass. sez. 3, 9 aprile 2013 n. 8569; Cass. sez. 6-3, ord. 16 marzo 2012 n. 4220; Cass. sez. 3, ord. 23 marzo 201 al n. 6937).

3.2. Il secondo motivo adduce che l’attuale ricorrente aveva proposto nei confronti della Rocco Appalti S.r.l. appello incidentale condizionato laddove, nella comparsa di costituzione in appello, aveva chiesto per la denegata ipotesi di accoglimento dell’appello (evidentemente principale) di essere tenuto indenne dall’impresa di manutenzione, aggiungendo che la responsabilità contrattuale di questa discendeva dagli artt. “10, 11 e 12 del capitolato speciale”. Sussisterebbe quindi un “vizio logico dell’apparato motivazionale”, cioè “l’omesso e non ponderato esame” di una circostanza di fatto oggetto del contraddittorio processuale: era stata infatti riproposta al giudice d’appello la domanda di manleva verso la Rocco Appalti sulla base dell’art. 12 del capitolato speciale di appalto che sarebbe “contenuto nel fascicolo di primo grado del convenuto”, per cui l’appaltatore sarebbe stato responsabile di tutti gli eventuali danni derivanti “dalla condotta dei lavori, dalla mancata vigilanza su tutte le aree pubbliche oggetto dell’appalto”.

Il motivo, a ben guardare, intende reintrodurre il vizio motivazionale di cui al previgente dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal momento che – a parte che la stessa sua rubrica neppure definisce decisivo il fatto controverso – non sussiste un omesso esame (e infatti, come si è appena visto, il ricorrente aggiunge che sarebbe “non ponderato”) sulla questione della responsabilità della Rocco Appalti come fondamento della domanda di rivalsa del Comune. Già nella prima parte della – abbastanza estesa, tra l’altro – motivazione sull’appello (e precisamente a pagina 6), infatti, il Tribunale afferma che “la domanda di rivalsa nei confronti della società Rocco Costruzioni S.r.l. andrà rigettata, così come quella da quest’ultima proposta nei confronti della SARA Assicurazioni S.p.A., non trovando in questa sede l’attivazione della garanzia poichè non viene in esame il rapporto contrattuale”; nella parte finale, poi (pagina 11), ciò viene ribadito, osservando che “non può…essere accolta la domanda del diritto di rivalsa nei confronti della società addetta alla manutenzione, non essendo stata specificata nè provata la responsabilità contrattuale di quest’ultima”.

Quanto appena esposto è sufficiente per concludere nel senso della inconsistenza della censura. Ad abundantiam si osserva che il ricorrente permane comunque su un piano di assoluta genericità in ordine al preteso contratto con Rocco Appalti S.r.l., di cui non dà neppure gli estremi cronologici, limitandosi a trascrivere una parte dell’art. 12 di quello che definisce il “capitolato speciale di appalto”, e nulla riportando neppure a proposito degli altri artt. – 10 e 11 – dello stesso capitolato speciale che avrebbe fatto valere nell’atto d’appello (e non a caso nel controricorso – pagina 4 – viene richiamata l’esistenza di una controversia sulla effettiva sussistenza o meno di un contratto tra Rocco Appalti S.r.l. e il Comune” che evidentemente il ricorrente ha tentato di eludere).

3.3 Il terzo motivo adduce, come violazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, cui affianca la denuncia di un error in iudicando, che il Tribunale avrebbe fornito una motivazione apparente sulla valutazione secondo equità degli interessi compensativi, disponendo la condanna alla complessiva somma, equitativamente liquidata, di Euro 39.000, laddove la sorte del danno biologico e del danno morale sarebbe stata Euro 28.673.

Il motivo è estremamente sintetico, e non identifica quello che in rubrica definisce error in iudicando in merito al calcolo degli interessi compensativi, bensì, nel suo conciso contenuto (erroneo tra l’altro è il riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in rapporto alla norma processuale di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4) tenta di aggirare i limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel dettato vigente mediante l’affermazione che il giudice di merito avrebbe fornito una motivazione “meramente apparente configurandosi così la violazione del comma 4 (sic) dell’art. 132 c.p.c.” poichè la motivazione sarebbe “illogica ed incomprensibile”. Questo tentativo di elusione non può avere buon esito, dal momento che la motivazione offerta dal Tribunale non è affatto generica, e tantomeno non è intessuta di formule di stile, bensì integra una motivazione fisiologicamente sussistente (motivazione della sentenza, pagina 1011), onde non è ravvisabile la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

3.4 Il motivo seguente non è dissimile. Ancora viene addotta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – questa volta più correttamente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – ancora affiancandovi un non identificato error in iudicando, questa volta “sulla valutazione del danno morale”. Replicando il terzo motivo, il quarto motivo adduce che quanto alla determinazione appunto del danno morale il Tribunale, quantificandolo nel 29% del danno biologico, fornisce “una motivazione anch’essa apparente”, assommando un’estremamente concisa critica sulle modalità di liquidazione del danno morale.

Si ripete, quindi, attraverso la pretesa motivazione apparente, un tentativo di elusione della vigente conformazione del vizio motivazionale, riscontrandosi nel caso in esame una motivazione effettiva e anche ampia (pagine 8-10) sulla questione del danno morale. Pure questo motivo, pertanto, non merita accoglimento.

3.5 Infine, il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, sempre in modo estremamente conciso perchè in realtà intrinsecamente generico. Lamenta invero il ricorrente che il Tribunale avrebbe errato “nel non distinguere, laddove ha addebitato le spese al Comune soccombente, tra la statuizione relativa al giudizio di primo grado – che era da ricondursi all’impero delle abrogate tariffe professionali – e quella di cui al gravame accolto” per la quale occorreva precisare “se il quantum dei relativi onorari era da riferirsi al valore medio dei corrispondenti parametri o risentisse di eventuali aumenti o diminuzioni”.

Quella che viene prospettata non è allora la violazione dell’art. 91 c.p.c., bensì quella del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, trattandosi evidentemente di una questione di liquidazione e non di un’errata identificazione dei presupposti di soccombenza. E’ vero che, nonostante fosse applicabile il suddetto decreto ministeriale all’epoca in cui fu emessa la pronuncia, il Tribunale si è limitato a effettuare una liquidazione complessiva per i due gradi. Tuttavia la doglianza è, come già si anticipava, incompleta per genericità, e dunque inammissibile, in quanto, non dimostrando così l’interesse a denunciare la violazione della suddetta normativa, il ricorrente non indica quale sarebbe stata una corretta liquidazione nel caso in esame, neppure affermando che la liquidazione effettuata dal Tribunale abbia condotto a importi esorbitanti rispetto a quelli legalmente previsti. Invece “la parte che propone ricorso per cassazione, deducendo l’illegittima liquidazione delle spese processuali distinte in diritti e onorari in violazione del D.M. n. 140 del 2012, ha l’onere di indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato dall’applicazione delle suddette disposizioni”, poichè in forza dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, nonchè di interesse processuale “l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata” (Cass. sez. 3, 7 ottobre 2015 n. 20128).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7200, di cui a Euro 200 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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