Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14707 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. II, 10/07/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 10/07/2020), n.14707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26125/2015 proposto da:

Euro Tecnoservice Srl, in persona del legale rappresentate p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma Via Tacito 50, presso Associazione

Nazionale Giovani Avvocati – AIGA, rappresentata e difesa

dall’avvocato Nicola Rocco;

– ricorrente –

contro

Gieffe Srg, in persona del legale rappresentate p.t., elettivamente

domiciliata in Roma Via Trionfale 140, presso lo studio

dell’avvocato Angelo Piraino, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1445/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

La società Euro Tecnoservice s.r.l. si oppose al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Napoli l’aveva condannata al pagamento della somma di Euro 44.757,01 in favore della Gieffe s.r.l. per fornitura di merci.

Il Tribunale di Napoli dichiarò l’opposizione al decreto ingiuntivo inammissibile, perchè tardiva.

La Corte di appello di Napoli, adita dalla Euro Tecnoservice s.r.l., ha riformato la sentenza di primo grado dichiarando l’opposizione ammissibile ma, tuttavia, rigettandola nel merito.

Quanto all’ammissibilità dell’opposizione, la Corte territoriale premesso che il Decreto Ingiuntivo, emesso l’11 aprile 2013, era stato spedito a mezzo posta alla sede della società destinataria e, a seguito del mancato ritiro presso tale sede, era stato lasciato in giacenza presso l’ufficio postale di (OMISSIS), dove la compiuta giacenza era maturata il 20 maggio 2013 e l’atto era stato effettivamente ritirato il 30 maggio 2013 – ha argomentato che, poichè nel ricorso per ingiunzione risultavano indicati tanto il nominativo quanto la residenza del legale rappresentante della società Euro Tecnoservice, la compiuta giacenza presso l’ufficio postale avrebbe condotto al perfezionamento della notifica &la società solo se il plico fosse stato inviato alla residenza del legale rappresentante della stessa; viceversa, poichè il plico era stato inviato alla sede sociale, la compiuta giacenza del medesimo presso l’ufficio postale non risultava idonea a determinare il perfeziOnamento della notifica; quest’ultima, tuttavia, doveva ritenersi perfezionata all’esito delle concreto ritiro del plico presso l’ufficio postale. La Corte partenopea concludeva quindi che la notifica del decreto ingiuntivo doveva ritenersi compiuta non alla data del 20 maggio 2013 ma quella del 30 maggio 2013, con la duplice conseguenza che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’opposizione (spedita l’8 luglio, entro il termine di quaranta giorni dal 30 maggio) doveva giudicarsi tempestiva e che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Euro Tecnoservice, il decreto ingiuntivo (notificato entro il termine di sessanta giorni dalla sua emissione, risalente al 11 aprile 2013) non era divenuto inefficace.

Quanto al merito, la Corte ha rigettato l’opposizione rilevando che la Euro Tecnoservice non aveva contestato il credito recato dall’ingiunzione e non aveva provato il controcredito da lei opposto in compensazione.

La sentenza della Corte di appello è stata impugnata per cassazione dalla Euro Tecnoservice s.r.l. sulla scorta di due motivi. L’intimata Gieffe s.r.l. ha depositato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 18 settembre 2019, per la quale non sono state depositato memorie.

Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento e lamenta la violazione degli artt. 140,143,145,156,160 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 2 e 3, in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa qualificando il vizio della notifica del decreto ingiuntivo come nullità invece che come inesistenza, conseguentemente ritenendolo sanabile mediante il raggiungimento dello scopo.

Con il secondo motivo di ricorso, anch’esso riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento, lamentando la violazione dell’art. 101, comma 2, art. 183, comma 6, nonchè dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 2, in cui la Corte sarebbe incorsa ritenendo non provato il credito dedotto in compensazione dalla opponente, senza, tuttavia, procedere alla assegnazione dei termini previsti dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, per l’indicazione dei mezzi di prova; in tal modo, argomenta la ricorrente, le sue prerogative difensive sarebbero state limitate, in violazione dei principi costituzionali di cui all’art. 24, comma 2 e art. 111, comma 2 e del principio di integrità del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c., comma 2.

Il primo motivo va disatteso perchè la decisione della Corte territoriale è conforme all’insegnamento di questa Corte alla cui stregua “E’ valida la notifica di un atto ad una persona giuridica presso la sede a mezzo del servizio postale, non essendovi alcuna previsione di legge ostativa al riguardo, purchè mediante consegna a persone abilitate a ricevere il piego, mentre, in assenza di tali persone, deve escludersi la possibilità del deposito dell’atto e dei conseguenti avvisi presso l’ufficio postale; l’art. 145 c.p.c., infatti, non consente la notifica alla società con le modalità previste dagli art. 140 e 143 c.p.c. e, quindi, con gli avvisi di deposito di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, che costituiscono modalità equivalenti alla notificazione ex art. 140 c.p.c., essendo questa riservata esclusivamente al legale rappresentante. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale, che aveva ritenuto nulla la notificazione dell’avviso dell’udienza della fase prefallimentare effettuata alla società debitrice a mezzo dell’ufficiale postale, il quale, non avendo trovato alcuna persona idonea a ricevere il plico presso la sede della società, aveva provveduto al suo deposito presso l’ufficio postale ed all’avviso relativo con lettera raccomandata)”. Le Sezioni Unite di questa Corte, del resto, hanno chiarito, con la sentenza n. 14916/16, che, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; precisando altresì che detti elementi costitutivi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

Anche il secondo motivo va disatteso. Nel mezzo di ricorso si sostiene che la corte di appello avrebbe violato l’art. 183 c.p.c., comma 6, ed il principio del contraddittorio, ritenendo non provato il controcredito dedotto in giudizio dalla Euro Tecnoservice senza, tuttavia, avere assegnato a quest’ultima il termine per l’indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali oggetto della richiesta ex art. 183 c.p.c., comma 6, dalla stessa formulata in primo grado e reiterata nelle conclusioni di primo grado, richiamate nell’atto di appello e nelle conclusioni di secondo grado.

La doglianza non può trovare accoglimento perchè, secondo la narrativa del processo svolta nel ricorso per cassazione, la Euro Tecnoservice non aveva, nel proprio atto di appello, specificato quali prove essa avrebbe dedotto se il primo giudice avesse assegnato il richiesto termine per deduzioni istruttorie, essendosi limitata a dolersi dalla mancata assegnazione del termine e a reiterare la relativa richiesta. Soccorre allora il principio enunciato in Cass. 22402/18, alla cui stregua, “Qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il “thema decidendum” e il “thema probandum”, l’appellante che faccia valere tale nullità non può limitarsi a dedurre detta violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il “thema decidendum” sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare, ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all’art. 183 c.p.c. e quali prove sarebbero state dedotte, con l’evidenziazione del concreto pregiudizio derivato dalla loro mancata ammissione”; nello stesso senso, Cass. n. 21953/19 e, in precedenza, Cass. n. 23162/14.

Nè possono ritenersi conferenti le considerazioni svolte nel secondo motivo di ricorso in ordine alla dedotta violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, giacchè la Corte territoriale non ha deciso sulla base di una questione rilevata d’ufficio, ma si è limitata a constatare il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravate sulla opponente.

In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, del raddoppio del contributo unificato, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.800, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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