Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14703 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. III, 26/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 26/05/2021), n.14703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35966/2019 proposto da:

D.A., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CHIARA BELLINI.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4182/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA,

depositata il 03/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a tre motivi, D.A., cittadino del Sud del Mali, ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Venezia, pubblicata il 3 ottobre 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello osservava: a) a partire dal racconto del richiedente (esser fuggito dal paese d’origine per l’attacco perpetrato da gruppo “mafioso” nel villaggio di (OMISSIS)), “va considerato che il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto la genericità e scarsa verosimiglianza delle allegazioni, contraddittorie e intrinsecamente illogiche” in quanto non era possibile comprendere nè l’identità del soggetto persecutore, nè la ragione per cui il richiedente avrebbe abbandonato il proprio paese; b) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, poichè “da un lato, non risulta che l’appellante sia colpito da condanna a morte o che rischi l’esecuzione della pena capitale, d’altro canto, difetta qualsivoglia elemento che faccia anche solo presumere che, ove rientrato in patria, il medesimo possa essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti da parte delle autorità”; c) nè sussisteva, nel Sud del Mali, una situazione di violenza indiscriminata, in virtù di COI attendibili e aggiornate (fra cui Human Rights Watch, World Report 2018 e EASO Mali 2018); d) neppure poteva accordarsi tutela di protezione umanitaria “mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo a definire la presumibile durata di un’esposizione ad uno specifico rischio”; d.1) peraltro, pur valutato l’inserimento lavorativo del richiedente, non era stato “allegato alcun elemento relativo al paese di origine in grado di suffragare la tesi che il ritorno esporrebbe il richiedente alla compromissione dei propri diritti fondamentali” e, invero, “in senso contrario, infine, può valorizzarsi la circostanza che l’appellante può fare affidamento sull’appoggio delta famiglia di origine”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, essendosi limitato al deposito di “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione a udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo viene lamentata violazione delle norme che disciplinano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e, artt. 5, 7 e 14), nonchè di quella umanitaria (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; D.P.R. n. 395 del 1999, art. 11, comma 1 ter, lett. c).

Il motivo consta di molteplici censure: a) circa lo status di rifugiato, sussisterebbe violazione di legge per aver la Corte d’appello, nonostante l’inverosimiglianza del racconto, omesso di cooperare in via istruttoria circa l’acquisizione di notizie sulla situazione del paese d’origine; b) quanto al diniego di protezione sussidiaria, per aver la Corte territoriale fondato la propria decisione sulla base di C.O.I. “solo per quanto d’interesse al fine di motivare un ingiustificato diniego a fronte di una situazione socio-politica di indubbia gravità, estesa indistintamente a tutto il Mali”; c) con riguardo al mancato riconoscimento di protezione umanitaria, per non aver la Corte valutato positivamente il dato dell’inserimento lavorativo del ricorrente, e per aver ritenuto che “la vicenda personale del sig. D. e le ragioni del suo allontanamento dal Mali, ostative al rimpatrio, non fossero riconducibili ad alcuna delle fattispecie di protezione internazionale”.

2. – Con il secondo mezzo viene dedotta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) ed e), per aver la Corte “solo apparentemente esercitato i poteri istruttori officiosi riconosciutigli al fine di valutare congruamente e compiutamente la situazione soggettiva del richiedente, calandola nel contesto socio-politico e giuridico-ordinamentale del Paese di provenienza”, là dove il ricorrente richiama, fra le altre, fonti che rendono conto dell’intensificarsi di fenomeni di violenza nel Mali centrale e settentrionale: il sito (OMISSIS) che, nello sconsigliare viaggi, a qualsiasi titolo, verso il Mali, dà conto della presenza di gruppi jihadisti anche nella regione di Sikasso; nonchè linee guida dell’UNCHR, datate al 2019, per il riconoscimento della protezione umanitaria nei confronti di cittadini del Mali provenienti da zone, quali, fra le altre, la regione di Sikasso.

2.1. – Il primo e il secondo motivo – trattati congiuntamente poichè strettamente connessi -, sono infondati per quanto attiene alla pretesa di riconoscimento della fattispecie di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Ritenuta la non credibilità del narrato, la Corte d’appello ha correttamente adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria nell’accertamento della situazione d’origine del richiedente, deducendo, in virtù di COI aggiornate ed attuali, l’assenza dei presupposti di riconoscimento della fattispecie di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, citata lett. c).

Ai fini del riconoscimento di tale forma di protezione sussidiaria, la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306/2019).

Il giudizio di sussunzione formulato dalla Corte territoriale, in base a COI recenti e precise, è coerente con il rammentato principio di diritto e non risulta aggredito dalle fonti addotte dal richiedente, da ritenere non decisive e, comunque, introducenti una critica della quaestio facti il cui apprezzamento è riservato al giudice di merito.

2.2. – Merita accoglimento, invece, la censura relativa al diniego di protezione umanitaria, formulata con il primo motivo.

La Corte territoriale ha omesso di porre in essere una comparazione effettiva tra la condizione di inserimento sociale raggiunto dal ricorrente – che costituisce un elemento idoneo a concorrere nella configurazione la sua vulnerabilità – con quella nella quale egli si sarebbe venuto a trovare in caso di rientro nel Paese di origine, in relazione alla tutela dei suoi diritti fondamentali, facendo errata applicazione del principio secondo cui ai fini del giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed a quella alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio. A fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone, pertinenti al caso e aggiornate al momento dell’adozione della decisione; conseguentemente, il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di esaminare la documentazione prodotta a sostegno della dedotta integrazione e di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, incorrendo altrimenti la pronuncia nel vizio di motivazione apparente (Cass., 22528/2020).

3. – Con il terzo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 3 CEDU e art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, per non aver la Corte valutato il principio di non refoulement al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

3.1. – Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento della doglianza relativa al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

7. – Va, dunque, accolto il primo motivo per quanto di ragione, rigettati nel resto lo stesso primo motivo ed il secondo motivo, nonchè dichiarato assorbito il terzo.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbito il terzo motivo e rigetta nel resto;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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