Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14703 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. un., 18/06/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente di sezione –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20331/2009 proposto da:

AMBASCIATA DEL REGNO DELL’ARABIA SAUDITA IN ROMA, in persona

dell’Ambasciatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIO BACHELET 12, presso lo studio degli avvocati DALLA VEDOVA

RICCARDO, DALLA VEDOVA CARLO, che la rappresentano e difendono, per

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

O.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato FABBRI Francesco,

che lo rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

33966/2008 del TRIBUNALE di ROMA;

udito l’avvocato Carlo DELLA VEDOVA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Libertino Alberto RUSSO, il quale chiede che le Sezioni unite della

Corte dichiarino la giurisdizione del giudice italiano, con le

statuizioni conseguenti.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. Con ricorso, notificato il 14.9.2009 a O.M., l’Ambasciata del Regno dell’Arabia Saudita richiede il regolamento preventivo di giurisdizione in relazione alla domanda proposta nei suoi confronti da O.M. davanti al tribunale di Roma, sezione controversie di lavoro.

Assume la ricorrente che l’attore, già dipendente dell’Ambasciata in Italia, con mansioni di traduttore e di addetto alle relazioni con il pubblico, aveva adito il tribunale, quale giudice del lavoro, reclamando differenze retributive in base al contratto di lavoro di settore, nonchè tredicesima e quattordicesima mensilità, trattamento di fine rapporto e remunerazione per lavoro straordinario; che essa si era costituita ed eccepiva il difetto di giurisdizione in quella sede di merito.

Ritiene la ricorrente che difetti la giurisdizione del giudice italiano, stante l’immunità diplomatica per la possibile interferenza sull’organizzazione e sulla sovranità dell’ente straniero (primo motivo), come sarebbe dimostrato dalla stessa indagine istruttoria richiesta, in relazione ai compiti devoluti al dipendente e potendo i testimoni trovarsi nelle condizioni di violare il segreto, cui sono assoggettati ovvero di venir meno al dovere di veridicità (secondo motivo); per il fatto, infine, che era stata espressamente pattuita deroga alla giurisdizione italiana in favore di quella saudita (terzo motivo).

L’intimato resiste con controricorso.

La ricorrente ha presentato memorie.

2.1. Ritengono queste Sezioni unite che vada affermata la giurisdizione del giudice italiano.

Questa Corte (Cass., S.U. 10.7. 2006, n. 15626) ha affermato che con riguardo alle controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale italiano – come di quello straniero – operante alle dipendenze di consolati di Stati stranieri in Italia, sussiste il difetto di giurisdizione del giudice italiano, per effetto dell’immunità consolare, quando la pronuncia a tale giudice richiesta comporti interferenza sull’organizzazione dell’ufficio consolare, sicchè deve essere esclusa la giurisdizione del giudice italiano per la domanda volta alla reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di impugnativa di licenziamento, investendo detta pretesa in via diretta i poteri organizzativi – sovrani dell’ente straniero (Cass., Sez. un., 22 luglio. 2004, n. 13 711; Cass., Sez. un., 12 novembre 2 003 n. 17087; Cass., sez. un., 18 novembre 1992 n. 12315).

2.2. Invece – ha poi puntualizzato Cass., Sez. Un., 27 novembre 2 002, n. 16830) – l’immunità giurisdizionale dell’ambasciatore di Stato estero, ai sensi dell’art. 31 della Convenzione di Vienna 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche (resa esecutiva con la L. 9 agosto 1967, n. 804), non è invocabile con riferimento a controversia di pagamento di somme per differenze retributive relative all’espletamento di mansioni di autista presso l’ambasciata.

In questa linea interpretativa si è mossa anche Cass., S.U., 9.1.2007, n. 118, che ha statuito che in tema di rapporti di lavoro alle dipendenze di Stati esteri, l’esenzione dello Stato straniero dalla giurisdizione nazionale viene meno non solo nel caso di controversie relative a rapporti lavorativi aventi per oggetto l’esecuzione di attività meramente ausiliarie delle funzioni istituzionali del datore di lavoro convenuto, ma anche nel caso in cui il dipendente richieda al giudice italiano una decisione che, attenendo ad aspetti soltanto patrimoniali, sia inidonea ad incidere o ad interferire sulle funzioni dello Stato sovrano (nella specie:

pretese retributive di dipendente con mansioni impiegatizie d’ordine).

Va quindi rimarcato, con riferimento al disposto dell’art. 43 della convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari, ratificata con la L. 9 agosto 1967, n. 804, che la giurisdizione del giudice italiano va affermata non soltanto allorquando si tratti di dipendenti con mansioni meramente ausiliarie, ma anche nel caso di dipendenti con mansioni di collaborazione con funzioni consolari, ove la domanda sia indirizzata solo al conseguimento di spettanze retributive o comunque investa esclusivamente questioni patrimoniali.

2.3. Questa Corte ha da tempo abbandonato la tesi dell'”immunità diffusa” per accogliere, invece, il principio dell'”immunità ristretta o relativa”, che risponde, ormai, al diritto internazionale consuetudinario. Pertanto, da una parte si è affermato che, al fine dell’esenzione dalla giurisdizione del giudice nazionale è richiesto che l’esame e l’indagine sulla fondatezza della domanda dei lavoratori non comporti apprezzamenti, indagini o statuizioni che possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero che siano espressione dei suoi poteri sovrani di autorganizzazione, vigendo in tali casi il principio generale “par in parem non habet jurisdictionem”.

D’altra parte però può affermarsi che l’esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata agli atti jure imperii (a quegli atti, cioè, attraverso i quali si esplica l’esercizio delle funzioni pubbliche statali) e non si estende invece agli atti iure gestionis o iure privatorum.

2.4. Analoga distinzione va operata anche con riguardo ai rapporti di lavoro: occorre tener conto non solo della natura delle mansioni in concreto esercitate dal lavoratore, ma anche del tipo di domanda proposta, con la conseguenza di assegnare rilevanza decisiva – ai fini dell’attribuzione della giurisdizione al giudice italiano – alla natura meramente patrimoniale della pretesa esercitata in giudizio dal lavoratore dipendente di uno Stato estero.

Alla stregua dell’indicato criterio – e nella direzione di una regola consuetudinaria di generale applicazione, recepita dall’ordinamento italiano in virtù del richiamo dell’art. 10 Cost. – l’esenzione dello Stato straniero dalla giurisdizione nazionale viene meno, quindi, non solo nel caso di controversie relative a rapporti di lavoro aventi per oggetto l’esecuzione di attività meramente ausiliarie delle funzioni istituzionali degli enti convenuti, ma anche nel caso di controversie promosse dai dipendenti allorquando la decisione richiesta al giudice italiano, attenendo ad aspetti solo patrimoniali, sia inidonea ad incidere o ad interferire sulle funzioni dello Stato sovrano (Cass. S.U. 15 luglio 1999, n. 395;

Cass., S.U., 28 novembre 1991, n. 12771).

2.5. Nella specie le mansioni dell’attore (impiegatizie di addetto alle relazioni con il pubblico) non toccano l’esercizio di poteri sovrani dello Stato estero ed inoltre la domanda azionata in giudizio ha contenuto esclusivamente patrimoniale, avendo ad oggetto la pretesa di differenze retributive; talchè deve affermarsi la giurisdizione del giudice italiano.

3. Irrilevante ai fini delle determinazione della giurisdizione è il rilievo contenuto nel secondo motivo, secondo cui i testi potrebbero trovarsi nella condizione di violare il segreto, cui sono assoggettati, o dire il falso.

Il nostro ordinamento, infatti, all’art. 249 c.p.c., prevede che i testi hanno facoltà di astenersi nelle ipotesi di cui all’art. 200 c.p.p. (segreto professionale), art. 201 c.p.p.(segreto di ufficio) e art. 202 c.p.p. (segreto di Stato).

4.1. E’ infondato il richiamo della parte ricorrente, nel terzo motivo, alla L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2, in relazione ad una pretesa proroga pattizia della giurisdizione del giudice italiano.

La validità di un accordo di proroga della giurisdizione a favore del giudice non italiano in tema di contratto di lavoro, deve essere valutata ai sensi dell’art. 18 reg. CE n. 44/2 001. Questa norma al comma 2 statuisce che “Qualora un lavoratore concluda un contratto individuale di lavoro con un datore di lavoro che non sia domiciliato in uno Stato membro, ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede di attività in uno Stato membro, il datore di lavoro è considerato, per le controversie relative al loro esercizio, come avente domicilio al territorio di quest’ultimo Stato”.

4.2. Quindi, ai fini del presente contratto individuale di lavoro, poichè esso si svolgeva presso l’Ambasciata in Italia del Regno dell’Arabia Saudita, e, quindi nella sede di attività di tale datore di lavoro, quest’ultimo, ai fini della causa, ed a norma del suddetto articolo 18 del regolamento CE è considerato domiciliato nel territorio italiano.

Ciò comporta che a norma dell’art. 19 tale datore di lavoro può essere convenuto davanti ai giudici italiani (salva l’immunità nei termini e nei limiti sopradetti).

L’applicazione degli artt. 18 e 19 reg. n. 44/2001 esclude che possa assumere rilievo per valutare la validità di un accordo di proroga a favore di un giudice straniero la L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 4, comma 2 (Cass. civ., Sez. Unite, 14/11/2003, n. 17209, con riferimento al parzialmente analogo art. 17 della convenzione di Bruxelles del 1968).

4.3. Quanto alla proroga di giurisdizione in materia di lavoro, va osservato che l’inderogabilità della competenza funzionale del giudice del lavoro riguarda le controversie spettanti alla cognizione del giudice italiano e non può, quindi, interferire, in assenza di ogni specifica previsione, con i criteri di attribuzione della giurisdizione, ove questi operino a favore di un giudice straniero.

L’art. 21 del reg. n. 44/2001 (come già l’art. 17, u.c. della Convenzione di Bruxelles 1968) richiede che la proroga della giurisdizione sia posteriore al sorgere della controversia, mentre l’art. 23 richiede che la proroga risulti per atto iscritto o con conferma scritta.

Nella fattispecie, quindi, in ogni caso non ricorrono tali requisiti della pretesa proroga di competenza.

4.4. Di nessun rilievo è egualmente il richiamo agli artt. 3 e segg.

della Convenzione di Roma Tale convenzione, ratificata con L. n. 975 del 1984, all’art. 6 statuisce che: “1. In deroga all’art. 3, nei contratti di lavoro, la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta, a norma del paragrafo 2.

2. In deroga all’art. 4 ed in mancanza di scelta a norma dell’art. 3, il contratto di lavoro è regolato:

a) dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro paese, oppure dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso paese, a meno che non risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese.

In questo caso si applica la legge di quest’altro paese”.

4.5. Ne consegue che la scelta della legge applicabile, ove nel caso concreto investisse anche una proroga della giurisdizione, dovrebbe sempre rispettare, a quest’ultimo fine, la norma di protezione applicabile per tale proroga in Italia, paese che, per essere il luogo della prestazione lavorativa, presenta il collegamento più stretto con il contratto di lavoro. Tali norme (art. 21 e 23 reg. CE, come antecedentemente art. 17 della convenzione di Bruxelles) prevedono, come sopra detto, che la proroga risulti per iscritto e, soprattutto, che sia successiva al sorgere della controversia.

Non essendosi tanto verificato nella fattispecie deve ritenersi che non sussista alcuna valida proroga di competenza giurisdizionale.

5. Va, quindi, dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.

La ricorrente va condannata alle spese di questo regolamento, sostenute dal resistente.

PQM

Dichiara la giurisdizione del giudice italiano. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo regolamento, sostenute dal resistente e liquidate in complessivi Euro 5500,00, (cinquemilacinquecento/00), di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

 

 

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