Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14701 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33654-2019 proposto da:

T.U., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO SAVERIO VALENTINI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1131/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 1131 pubblicata il 2.5.2019, ha respinto l’appello di T.U., confermando, sia pure con diversa motivazione, la decisione di primo grado che aveva rigettato la querela di falso dal medesimo proposta, in via incidentale, nell’ambito di un giudizio di accertamento negativo del credito contributivo, e in relazione al “verbale di acquisizione di dichiarazioni” del 17.5.2007;

2. la Corte territoriale ha interpretato il ricorso e la richiesta di prova testimoniale (non accolta dal Tribunale) ritenendo che “il senso della prova era chiaro: si voleva far accertare che la dichiarazione resa agli ispettori concerneva solo la posizione del figlio A.E. e non anche quella degli altri soggetti menzionati nel verbale e, in sostanza, che l’appellante non aveva mai proferito la frase: “mi avvalgo saltuariamente di mia moglie M.A.; all’attività partecipa in maniera continuativa mia figlia T.M.”. I giudici di appello hanno quindi ammesso le prove testimoniali dedotte sul rilievo che il capitolo formulato (Vero che le dichiarazioni rese da T.U. furono: mio figlio A.E. lavora alle mie dipendenze quale lavoratore subordinato regolarmente retribuito) fosse “idoneo, ove confermato, ad espungere dal testo del verbale ispettivo la dichiarazione sulla cui base T.M.A. era stata inquadrata come collaboratrice della ditta”;

3. all’esito della istruttoria svolta, i giudici di secondo grado hanno ritenuto non raggiunta la prova univoca della falsità del verbale impugnato;

4. avverso tale sentenza T.U. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. L’INPS ha resistito con controricorso;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. col motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulta dagli atti processuali e che ha costituito oggetto di discussione tra le parti;

7. si assume che il ricorrente voleva dimostrare che gli ispettori avessero modificato il contenuto della sua dichiarazione aggiungendo la qualifica di “convivente” in relazione alla posizione del figlio, e ciò allo scopo di includere quest’ultimo nell’impresa familiare; si sostiene che negli atti di causa si era abbondantemente dibattuto della falsità del verbale scaturente proprio dalla inesistenza del legame di convivenza del figlio con l’attuale ricorrente e si sottolinea come nessuno dei testimoni abbia fatto cenno ad un rapporto di convivenza tra i due;

8. il ricorso presenta profili di inammissibilità;

9. anzitutto, deve rilevarsi l’omessa trascrizione degli atti processuali su cui la censura si fonda; in particolare, del ricorso per querela di falso (che risulta depositato unitamente all’intero fascicolo RG n. 4270/2011) ed anche dei verbali d’udienza necessari a far risultare in che termini la questione della “convivenza” fosse stata sollevata e discussa dalle parti anche dinanzi al collegio;

10. inoltre, la censura mossa investe direttamente l’interpretazione della querela di falso, come eseguita dai giudici di appello a pag. 4 della sentenza e in base alla quale è stato espresso il giudizio di ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale poi svolta;

11. questa Corte ha ripetutamente precisato che l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza e contenuto costituiscono un giudizio di fatto, attribuito dalla legge al giudice di merito; tale giudizio è censurabile in sede di legittimità solo attraverso la deduzione di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., la cui portata è generale, oppure per vizi di motivazione, nei limiti ora segnati dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. n. 16057 del 2016; n. 6226 del 2014; n. 2467 del 2006)

12. il principio appena esposto non trova applicazione solo quando si assume che interpretazione degli atti processuali abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) o a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 c.p.c.), trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo, che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e alla interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (v. Cass. n. 21421 del 2014; n. 17109 del 2009);

13. nel caso in esame, parte ricorrente sostiene che la Corte di merito non abbia inteso che oggetto della querela di falso era la qualifica di “convivente” attribuita al figlio del dichiarante e che si assume mai pronunciata da quest’ultimo;

14. tale censura non appare riconducibile all’omesso esame di un fatto rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che le S.U. di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno inteso nella accezione storico-fenomenica, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo;

15. la critica oggetto del motivo di ricorso investe, invece, direttamente il significato che i giudici di appello hanno attribuito alla domanda giudiziale proposta nell’ambito del procedimento incidentale, di cui agli artt. 221 c.c. e ss., assumendosi un errore nella lettura e nella comprensione della domanda medesima, per cui i giudici della Corte di merito avrebbero riferito la dedotta accusa di falso a segmenti della dichiarazione verbalizzata, riferiti alla figlia del T., assolutamente diversi da quelli che costui intendeva censurare e relativi al rapporto di convivenza col figlio;

16. una simile critica si appunta proprio sulla interpretazione della domanda giudiziale che, come detto, costituisce attività riservata al giudice di merito; la censura, peraltro, è formulata senza alcun riferimento alla violazione dei criteri ermeneutici; dal che deriva l’inammissibilità della stessa;

17. per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile;

18. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

19. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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