Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14700 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14700 Anno 2015
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 3673-2010 proposto da:
CRAVAGNA GIUSEPPE CRVGPP33H16A0569,

elettivamente

domiciliato in ROMA, V.DELLA GIULIANA 50, presso lo
studio dell’avvocato GIOSUE MARIGLIANO, rappresentato
e difeso dall’avvocato ARMANDO CORICA;
– ricorrente contro

2015
1334

MARCHESE

ALFIA

MRCLFA59R47A056G,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE TUCCIMEI 1, presso
lo studio dell’avvocato CARMEN TRIMARCHI,
rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI VACCARO;

Data pubblicazione: 14/07/2015

- controricorrente

avverso la sentenza n. 894/2009 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 24/06/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/05/2015 dal Consigliere Dott. EMILIO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine, il rigetto del
ricorso.

MIGLIUCCI;

v

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Alfia Marchese, premesso d’essere proprietaria di un
immobile urbano sito in Adrano, via Veneto nn.8-10 confinante con
immobile, costituito sino a dieci anni prima da un solo piano

un piano, di proprietà di Giuseppe Cravagna, esponeva che:
quest’ultimo aveva di recente realizzato una terza elevazione
fuori terra adiacente al proprio terrazzo e appoggiato la
struttura del nuovo corpo di fabbrica sul muro di confine di sua
esclusiva proprietà; aveva inoltre apposto la gronda e il pluviale del
sistema di scarico delle acque meteroriche del tetto a distanza inferiore
a quella di legge.

Pertanto, chiedeva al Tribunale di Catania — sezione distaccata di
Adrano — la condanna del Cravagna al ripristino dei luoghi.
Si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto della domanda.
Deduceva in particolare che l’immobile aveva l’attuale
consistenza da circa 35 anni; che il tetto realizzato per coprire la
terrazza prima esistente era stato appoggiato su una trave in c.a posta
all’interno della sua proprietà, esterna al muro di confine, che era
comune “per avere la sua dante causa versato il relativo indennizzo alla
dante causa dell’attrice oltre venti anni prima.
Il Tribunale di Catania, con sentenza pubblicata il 4
agosto 2004, condannava il Cravagna “a

demolire

/a nuova copertura

realizzata al secondo piano, con tetto a falde inclinate e tegole, che
poggia: per una parte su un cordolo perimetrale a vista, alto 1,06

terra e nel corso degli anni successivi ampliato ed elevato di

ml e lungo 4,65 ml, gravante sull’originario muro di confine
dei due immobili, nonché a rimuovere il canale di gronda, accostato
all’interno del predetto cordolo, ed il pluviale discendente posto sul
prospetto principale dell’immobile del convenuto”

e a pagare le spese

Con sentenza dep. il 24 giugno 2009 la Corte di appello di Catania
rigettava l’impugnaziedle proposta dal convenuto.
Per quel che ancora interessa, i Giudici ritenevano quanto segue:

il muro in questione non

era

comune

non avendo

funzione divisoria tra edifici e comunque tra entità omogenee;

l’altezza ineguale delle porzioni edificate (prima della

realizzazione della terza elevazione fuori terra) escludeva
comunque che per tutta l’altezza del muro, potesse operare la
presunzione dell’art.880 cod. civ.;

la presunzione

luris tantum,

era superata dalla prova

contraria, tenuto conto da un lato, dell’accertamento del CTU e,
dall’altro, delle ammissioni della controparte;

infatti, il

consulente aveva verificato che il terrazzo a

livello di proprietà dell’attrice era delimitato su tre lati
(compreso quello a confine con l’edificio Cravagna) dalle murature
dello stesso immobile, mentre sul rimanente lato era delimitato
da un parapetto altd 0,94 ml prospiciente su via Vittorio Emanuele ;
l’appellante si era difeso sostenendo che il muro de
lui “per avere /a

quo apparterrebbe a

sua dante causa versato il relativo indennizzo

alla dante causa dell’attrice) oltre venti anni addietro” senza
2

processuali, ivi comprese quelle di CTU.

peraltro

fornire ,alcuna prova dell’asserzione, presupponente

l’originaria altruità del diritto dominicale sul muro, asseritamente
accomunato dalla precedente proprietaria.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Cravagna

Resiste con controricorso l’intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE

l.- Il primo motivo censura la sentenza impugnata per avere escluso che
il muro sul quale era appoggiato il tetto non fosse divisorio quando il
consulente di ufficio aveva invece affermato che il manufatto delimitava
il confine fra i due fabbricati preesistenti ed aventi la medesima
entità immobili. Erroneamente, in violazione della presunzione di cui
all’art. 880 cod civ., degli artt. 115 e 116 cod.proc. civ., nonchè 2697
cod civ., era stata ritenuta la proprietà esclusiva del muro da parte
della Marchese che non aveva assolto l’onere della prova ad essa
incombente e senza che dagli atti fosse emersa tale prova. Ancora
erroneamente la sentenza aveva ritenuto che l’altezza delle porzioni
edificate fosse ineguale, posto che i due fabbricati erano stati
realizzati circa 35 anni prima, senza che fosse stata mai realizzata
una nuova sopraelevazione al terzo piano, essendo stato rifatto il tetto
e ampliata la costruzione esistente sul terrazzo. come accertato dal
consulente di ufficio.
Formula il seguente quesito di diritto:

“Si chiede quindi dl verificare

se l’applicazione dell’art. 880 c.c. e l’applicazione dell’art. 2697 c.c.
3

sulla base di due motivi.

avrebbe potuto portare al superamento della presunzione di cui all’art.
880 c.c. e se la corretta applicazione degli artt.115-116 cpc avrebbe
potuto portare al superamento della presunzione di cui all’ art. 880 c. c.
e se siano state correttamente applicate le norme di diritto sopra

1.2. – Il motivo è inammissibile
Al sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ. introdotto dall’art. 6
del d.lgs. n. 40 del 2006, ratione temporis applicabile, i motivi del
ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di
inammissibilità (art. 375 n.5 cod. proc. civ.,) dalla formulazione di un
esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma
n.1),2),3),4) cod. proc. civ., e qualora il vizio sia denunciato anche
ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere , a pena di inammissibilità, la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai
sensi dell’art. 360 n.1),2),3),4) cod. proc. civ., secondo il citato art.
366 bis, il motivo deve concludersi con

la separata e specifica

formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una
chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del
giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta
– negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco
4

evidenziate “.

l’accoglimento od il rigetto del gravame

(SU 23732/07): non può,

infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa

implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso né che
esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di

perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.,secondo cui
è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad
individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la
questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere
nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al
decreto legislativo n. 40 del 2006,oltre all’effetto deflattivo del
e
carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in
maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. l, comma
2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto
delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto
l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per
violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui
essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di
diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle
ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità,
inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.
In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era
quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del
ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare l’interesse
5

diritto che il ricoyrente ritiene corretto applicarsi alla specie,

del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche
di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.
Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.
deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel

assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del
primo. Ne consegue che il quesito

deve costituire la chiave di lettura

delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di
rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula íuris che sia, in
quanto tale, suscettibile -come si è detto – di ricevere Applicazione in
casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata (S.U.3519/2008).
Nella specie, il motivo non è conforme alle prescrizioni di cui al
citato art. 366 bis, in quanto il quesito, con cui si conclude il
motivo, è generico : non contiene alcun riferimento ai termini della
controversia e alla soluzione della sentenza impugnata, risolvendosi nel
mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata
petizione di principio.
2.1. – Il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa l’esame della questione decisiva sollevata con il
primo, il secondo e il terzo motivo di appello.
2.2. -Il motivo è inammissibile
Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di
diritto nei casi previsti dall’art.360 primo coma n.1),2),3),4) cod.
proc. civ., nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi

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provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente

dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la relativa censura deve contenere,
un momento di sintesi

(omologo del quesito di diritto),separatamente

indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente

deputata e

distinta dall’esposizione de/ motívo,che ne circoscriva puntualmente i

del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità ( S.U.20603/07),In
tal caso,l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del
fatto controverso con la precisazione del

vizio del procedimento logico-

giuridico che,incidendo nella erronea ricostruzione del fatto,sia stato

determinante della decisione impugnata. Pertanto, non è sufficiente che
il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua
esposizione. La norma aveva evidentemente la finalità di consentire la
verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni
conferite dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.al giudice di legittimità,
che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal
giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato,
e

non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare
l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la
valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla
Corte, ad eccezione dei Casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si
era, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il
ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di
legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.
Nella specie,

if

motivo non è conforme alle prescrizioni di cui al

citato art. 366 bis in quanto non formula il momento di sintesi con la
7

limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione

!JAL/

separata indicazione del fatto controverso e del vizio di motivazione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente,

P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente

al pagamento in favore del resistente delle

spese relative alla presente fase che liquida in euro 2.200,00 di cui
euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre
spese forfettarie e a&cessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 maggio 2015
Il Cons. estensore

Il Presidente

risultato soccombente

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