Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1470 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23072-2012 proposto da:

BANCA IFIS SPA, in persona dell’Amministratore Delegato,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA FRANCESCO SIACCI 38, presso lo

studio dell’avvocato GIORGIA PASSACANTILLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO MARTELLI, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 177/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 20/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso per l’accoglimento del secondo

e terzo motivo di ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CALICETI per delega orale

dell’Avvocato MARTELLI che si associa alle richieste del P.G.;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Toscana Finanza spa (oggi incorporata in Banca Ifis spa) acquistava, nel febbraio 2006, dal Fallimento (OMISSIS) srl un credito IRES di Euro 28.435,00 derivante da ritenute subite durante il periodo fallimentare; detto credito era stato chiesto a rimborso dalla cedente società con la dichiarazione presentata in data 17.10.2005. La società cessionaria sollecitava, con istanza del 31.5.2007, il rimborso e, quindi, avverso il silenzio rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso; l’ufficio non si costituiva e l’adita commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso dichiarando il diritto al rimborso della ricorrente per essersi rese definitive le annualità in cui era maturato il diritto de quo.

Avverso detta sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate la quale denunciava la inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di legittimazione attiva in capo alla Toscana Finanza spa, essendo stato il credito richiesto a rimborso dalla società cedente; deduceva che il rimborso de quo era soggetto alla procedura di controllo automatizzato -non attivabile con istanza amministrativa o giudiziaria – ma esperibile solo dopo il consolidamento, all’esito dei controlli previsti; precisava che, in fatto, il credito non era stato riconosciuto spettante in quanto erano risultati iscritti ruoli – come da cartelle di pagamento regolarmente notificate – nei confronti di (OMISSIS) srl per un importo di Euro 11.928,51; lamentava per ultimo l’inammissibilità del ricorso per mancanza di atto autonomamente impugnabile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, essendo stato impugnato il sollecito di rimborso. Si costituiva la società contribuente insistendo nella propria legittimazione attiva e nel proprio interesse ad agire; contestando la non compensabilità del credito per pendenze pregresse perchè antecedenti al fallimento mentre il rimborso in contestazione è successivo; ribadendo la impugnabilità dell’atto.

La commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello e riformava la sentenza di primo grado sul rilievo che “l’originario ricorso veniva proposto avverso il silenzio rifiuto espresso dall’Amministrazione finanziaria in relazione ad un sollecito di rimborso, totalmente privo di efficacia ed inidoneo a provocare qualunque risposta, atteso che si riferiva ad un credito non consolidato e, come tale, certamente non spettante, pertanto doveva essere dichiarato del tutto infondato. Infatti, già se il sollecito di rimborso fosse stato avanzato dopo una istanza proposta D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, sarebbe stato inefficace in pendenza dei termini previsti per il controllo, ma, tanto più nel caso di specie, ove il sollecito di rimborso si riferisce ad un credito esposto in Dichiarazione che, ex D.P.R. n. 600 del 1973, deve soggiacere ai termini di controllo o automatizzato o accertativo da parte dell’Amministrazione finanziaria, invero ancora in corso alla data di presentazione dell’istanza de qua e necessari alla verifica in tale sede, della spettanza del credito medesimo”, osservando poi conclusivamente che “sotto il profilo sostanziale, tale rimborso…..non poteva essere concesso alla società cessionaria, perchè sussistevano debiti erariali, in capo alla medesima società creditrice cedente, tutti regolarmente notificati”.

Per la cassazione della predetta sentenza Banca Ifis spa, incorporante Toscana Finanza srl, propone ricorso affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso si compone di quattro motivi con cui la ricorrente denuncia:

1) “Omesso insufficiente e contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

2) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

3) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis, 36-ter e art. 37 e ss., nonchè dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 329 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 49 e 53, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è fondato nei termini che di seguito si espongono.

I primi due motivi – aventi contenuto identico – contemplano le stesse norme di legge, riguardate, rispettivamente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e sono incentrati, in sostanza, sul difetto di un atto autonomamente impugnabile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Va premesso che la CTR – all’esito del giudizio di primo grado nel quale si è registrata la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate- ha riconosciuto “la definitività dei periodi d’imposta dal 1996 al 2004 considerato che (…) la dichiarazione relativa sino all’anno 2004 non può essere oggetto di rettifica essendo scaduto il termine il 31 dicembre 2009. Conseguentemente il diritto al rimborso del credito da parte dell’odierna ricorrente deve ritenersi pieno e legittimo”, così accogliendo il ricorso avverso silenzio rifiuto di rimborso dell’eccedenza fiscale chiesto con la dichiarazione Mod. Unico 2005 presentata telematica mente.

Ciò premesso, osserva il collegio che la CTP ha dichiarato il diritto della parte al rimborso a ragione della intervenuta definitività dei periodi di imposta dal 1996 al 2004, così implicitamente escludendo la sussistenza di ragioni determinanti la inammissibilità del ricorso. La stessa CTR, poi, ha affermato l’infondatezza (e non la inammissibilità) del ricorso avverso il silenzio rifiuto della Amministrazione rispetto al sollecito.

Per le ragioni esposte, parte ricorrente non sembra, con i motivi in commento, cogliere la ratio decidendi della controversia, con la conseguenza che gli stessi vanno dichiarati inammissibili; in ogni caso non può non aggiungersi che l’elenco degli atti impugnabili D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, non può dirsi tassativo (cass. 8928/2014) e che qualsivoglia atto avente contenuto impositivo va giudicato come impugnabile.

Il terzo motivo è fondato, atteso che la CTR ha affermato che il rimborso sarebbe subordinato al consolidamento del credito e, conseguentemente, prima dei previsti controlli, il contribuente non vanterebbe crediti di sorta.

La controversia ha per oggetto rimborso richiesto in sede di dichiarazione per le imposte sul reddito; l’ufficio non ha posto in essere gli atti previsti (per le fattispecie di rimborsi da dichiarazione, in cui rientra il caso in contestazione) dalle norme di cui la parte ricorrente assume – dunque, fondatamente – la violazione. In conclusione l’importo a credito indicato nella dichiarazione vale quale domanda di rimborso, la cui erogazione non è condizionata all’avvenuto decorso dei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973.

L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo, inammissibili il primo e il secondo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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