Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1470 del 22/01/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 22/01/2018, (ud. 19/10/2017, dep.22/01/2018),  n. 1470

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

A seguito del procedimento penale avviato nei confronti di C.G. per reati edilizi, la Corte d’Appello di Napoli con sentenza definitiva del 24 gennaio 2002 ordinava la demolizione del fabbricato realizzato senza permesso di costruire sul fondo in (OMISSIS), riportato in catasto al foglio (OMISSIS) p.lla n. (OMISSIS).

La Procura Generale presso la Corte d’Appello di Napoli, revocando il provvedimento con il quale aveva autorizzato gli eredi dell’imputato, tra cui anche l’odierno ricorrente, C.M., a procedere all’autodemolizione, dava inizio alla procedura di abbattimento in danno del condannato, nominando a tal fine l’ing. P.F. quale consulente d’ufficio, e nominando la ditta edile di Cr.Pe., come incaricata della materiale esecuzione dei lavori di demolizione. Quindi con decreto comunicato in data 24/8/2015 venivano liquidati i compensi in favore di entrambi, ed avverso tale provvedimento ha proposto opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170,il C., opposizione che la Corte d’Appello ha rigettato con provvedimento del 4 maggio 2016.

Ha osservato la Corte distrettuale che, in ordine al compenso riconosciuto in favore della impresa esecutrice dei lavori, e tenuto conto del computo metrico estimativo delle opere resesi necessarie, quanto liquidato dal magistrato nel provvedimento impugnato risultava di importo decisamente inferiore a quanto preventivato dallo stesso Genio Militare.

Peraltro, in occasione dell’affidamento dell’incarico la Procura Generale aveva già operato un ribasso rispetto a quanto scaturente dall’applicazione del prezzario regionale SIIT Campania, tenuto contro dell’esigenza di evitare un eccesivo aggravio per la posizione del condannato.

Non essendo sorte contestazioni in ordine alla corretta esecuzione dei lavori affidati alla ditta del Pe. e preso atto del riferimento, ancorchè al ribasso, al prezzario applicato in regione dalle imprese edili, ha quindi concluso per la correttezza della liquidazione effettuata.

Quanto, invece, al diverso compenso liquidato all’ing. P. ed ai suoi ausiliari, la Corte d’Appello ha ritenuto che, attesa la complessità e laboriosità delle opere da eseguire, il numero di vacazioni riconosciute nel provvedimento opposto doveva reputarsi congruo, dovendosi escludere che vi fosse stata una quantificazione in eccesso.

Per la cassazione dell’ordinanza della Corte d’Appello ha proposto ricorso C.M. sulla base di due motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione del D.M. 30 maggio 2002, del D.Lgs. n. 115 del 2002 e della L. n. 319 del 1980, artt. 4 e segg..

Si evidenzia che il ricorrente aveva impugnato il decreto di liquidazione dolendosi in particolare del fatto che fosse del tutto carente di motivazione.

La Corte d’Appello in sede di opposizione ha effettuato un’autonoma ricostruzione delle modalità di quantificazione del compenso, supplendo in tal modo, ed in maniera inammissibile, alle carenze del provvedimento impugnato, dovendo per converso limitarsi a dichiarare la nullità del decreto di liquidazione.

Il motivo è infondato.

Gova a tal fine fare richiamo ai principi espressi da questa Corte, sebbene in relazione al procedimento di opposizione di cui alla legge n. 319 del 1980, ma senza che la modifica di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, possa ritenersi averne mutato la natura giuridica, a mente dei quali (cfr. Cass. n. 5112/2000) il ricorso, ai sensi della L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, comma 5, avverso la liquidazione del compenso ai periti e consulenti tecnici, non è atto di impugnazione, ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito, anche alla stregua delle regole di cui al richiamato della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 29,sugli onorari di avvocato e procuratore, ha il potere – dovere di verificare la correttezza di detta liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell’istante – con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, in applicazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. – e di regolare le spese secondo il principio della soccombenza (conf. Cass. n. 2576/1989).

Ne discende che la valutazione del giudice del procedimento di opposizione non è limitata alla verifica della correttezza formale del decreto opposto, ma investe anche la correttezza sostanziale della liquidazione, ben potendo quindi supplire alle eventuali carenze motivazionali del decreto di liquidazione, e senza che ciò determini l’illegittimità della decisione che in tale sede ponga rimedio con le proprie motivazioni alle carenti indicazioni del primo giudice.

Trattasi quindi di un procedimento a carattere interamente devolutivo che impone quindi un’integrale rivisitazione della liquidazione, con la necessità di una nuova valutazione, sebbene con il menzionato limite della non eccedenza della decisione rispetto a quanto richiesto dall’ausiliario, non essendo dato quindi addivenire alla mera declaratoria di invalidità del provvedimento per carenza della motivazione, ma dovendo il giudice dell’opposizione invece autonomamente motivare, ancorchè per relationem con rinvio a quanto esposto nel decreto (laddove invece il decreto sia munito di adeguata motivazione), sul perchè la liquidazione debba essere compiuta in un certo importo.

Nè appare pertinente il richiamo della difesa del ricorrente al precedente di questa Corte n. 3964/2013, trattandosi a ben vedere di un’ipotesi in cui l’assenza di motivazione non era riscontrabile nel decreto di liquidazione, ma nello stesso provvedimento emesso all’esito dell’opposizione, che era stato a sua volta oggetto di ricorso dinanzi a questa Corte.

Nela seconda parte del motivo, poi, si contesta la correttezza dell’ordinanza gravata quanto al computo delle vacazioni riconosciute all’ing. P., ma la doglianza si rivela evidentemente essere una censura di merito, in quanto volta a contestare l’apprezzamento in fatto, non sindacabile in questa sede, in base al quale il giudice di merito ha ritenuto che il numero delle vacazioni indicate nella richiesta di liquidazione corrispondesse all’impegno di tempo resosi necessario, per l’espletamento dell’incarico, tenuto conto della difficoltà e della durata dell’impegno.

Il secondo motivo di ricorso lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello ha omesso di statuire sulla richiesta di nomina di un CTU al fine di procedere alla quantificazione dei compensi.

In primo luogo deve evidenziarsi che il motivo è inammissibile nella parte in cui, pur in presenza dell’impugnazione di un provvedimento pubblicato in data successiva all’entrata in vigore della legge n. 134 del 2012, denunzia l’esistenza di un vizio motivazionale sulla base della formulazione non più applicabile dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In ogni caso, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie (come quella di ammissione di una c.t.u.,) per le quali l’omissione è denuncia bile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. ex multis Cass. n. 6715/2013).

Inoltre non deve trascurarsi che (cfr. Cass. n. 5339/2015) il giudice di merito non ha l’obbligo di motivare il diniego della CTU, che può essere anche implicito, essendo tenuto a rispondere alle eventuali censure tecnico-valutative mosse dalla parte, sicchè l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione della CTU non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (conf. Cass. n. 4852/1999).

Alla luce di tali considerazioni, deve escludersi quindi la ricorrenza del dedotto vizio di omessa pronuncia, emergendo invece, quanto alla valutazione di opportunità della CTU che, nonostante non sia stato adeguatamente denunziato il vizio di motivazione, in ogni caso il provvedimento ha con il proprio iter argomentativo, evidenziato le ragioni in base alle quali era possibile decidere prescindendo dall’apporto di un consulente tecnico d’ufficio, avendo quindi motivato, quanto meno in maniera implicita, circa l’inopportunità di ricorrere a tale strumento.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2018

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