Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14699 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. un., 18/06/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente di Sezione –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3930-2006 proposto da:

NUOVA FERRAMENTA DI EREDI TEIA ELIO S.N.C. ((OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MARIO FANI 37, presso lo studio

dell’avvocato CAUDULLO RAFFAELE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PES FABIO, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., nella qualità di coerede legittimo di

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio dell’avvocato GHIA LUCIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BLASIGH GIAMPIERO, per delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 752/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 06/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

uditi gli avvocati Raffaele CAUDULLO, Giampiero BLASIGH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.n.c. Nuova Ferramenta Eredi Teia Elio proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il quale il presidente del tribunale di Udine aveva intimato ad essa società di pagare L. 19.894.505 all’avvocato C.F. a titolo di compenso per prestazioni professionali.

L’avvocato C., costituitosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendone l’infondatezza.

Con sentenza 9/7/201 il tribunale di Udine, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava la società opponente al pagamento della minor somma di L. 15.611.260.

Avverso la detta sentenza la società opponente proponeva appello al quale resisteva il C..

Con sentenza 6/12/2004 la corte di appello di Trieste rigettava il gravame osservando: che il tribunale aveva giudicato nel rispetto della tariffa professionale e dei principi giurisprudenziali in tema di competenze degli avvocati; che l’avvocato C. aveva prima inviato una notula più contenuta e poi, non avendo la cliente accettato e pagato tale notula, aveva inviato una nuova notula senza sconti e sempre rispettosa della tariffa; che il tribunale aveva ritenuto generiche le contestazioni mosse dall’opponente in merito alle prestazioni descritte nella parcella; che alla specificità della motivazione data dal primo giudice l’appellante non aveva contrapposto argomentazioni specifiche così venendo meno all’onere di specificare i motivi dell’impugnazione; che andava ribadita l’affermazione del tribunale circa l’applicazione per il calcolo degli onorari, in caso di successione di tariffe professionali nel corso del processo, della tariffa in vigore al momento del termine o dell’esaurimento dell’opera professionale; che correttamente il primo giudice aveva valutato come non attendibili le deposizioni testimoniali.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Trieste è stata chiesta dalla s.n.c. Nuova Ferramenta Eredi Teia Elio con ricorso – affidato a quattro motivi – notificato agli eredi dell’avvocato C. presso il procuratore domiciliatario del “de cuius” costituito nel giudizio di secondo grado.

Ha resistito con controricorso C.A. – nella dichiarata qualità di coerede del defunto F.C. – eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per l’invalidità e l’inefficacia della sua notifica effettuata in violazione degli artt. 328 e 330 c.p.c.. Il C. ha anche depositato memoria.

La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza 14/5/2009 n. 11176, “rilevato che con riferimento alla legittimità della notifica del ricorso come eseguita dal ricorrente vengono in considerazione tre diversi orientamenti giurisprudenziali sin qui espressi da questa Corte”, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle sezioni unite al fine della composizione del rilevato contrasto.

Il Primo Presidente ha quindi disposto l’assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’ordinanza a seguito della quale la causa è stata assegnata a queste sezioni unite richiama nei seguenti termini la giurisprudenza di questa Corte:

– Primo orientamento.

La previsione di cui all’art. 330 c.p.c., comma 2 (possibilità di notifica dell’impugnazione collettivamente ed impersonalmente agli eredi in uno dei luoghi indicati nel comma 1) si estende anche ai casi di morte della parte vittoriosa prima della notifica della sentenza da impugnare o di mancanza di notifica della stessa. La notifica se effettuata presso il domicilio del defunto – e non presso il difensore costituito in appello – è nulla ma sanabile per effetto della costituzione di uno dei coeredi.

– Secondo orientamento.

La notifica impersonale e collettiva agli eredi è consentita, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 2 solo in caso di morte della parte successiva alla notifica della sentenza (con la conseguenza, per alcune pronunzie, di sanatoria a seguito di costituzione dell’intimato).

– Terzo orientamento.

La notifica impersonale e collettiva agli eredi è consentita in tutti i casi di morte della parte dopo l’udienza di discussione e a prescindere dalla notifica della sentenza, ma non in forza dell’art. 330 c.p.c., comma 2 bensì dell’art. 286 c.p.c. e art. 328 c.p.c., comma 2 sicchè va eseguita nell’ultimo domicilio del defunto.

Il quadro normativo di riferimento è il seguente:

– art. 286 c.p.c. in base al quale la notifica della sentenza nel caso di decesso della parte dopo la chiusura della discussione può essere effettuata collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto (tale notifica può essere effettuata anche personalmente ai singoli eredi);

– art. 328 c.p.c. che si limita a disciplinare la decorrenza dei termini per l’impugnazione nel caso di morte della parte, senza occuparsi del destinatario;

– art. 330 c.p.c. secondo cui la notifica dell’impugnazione, nel caso di morte della parte dopo la notifica della sentenza, va effettuata agli eredi collettivamente ed impersonalmente nei luoghi indicati nel comma 1 (presso il presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio). La notifica va effettuata personalmente agli eredi nel caso di mancata dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla sentenza se l’impugnazione è ancora ammessa.

Va innanzitutto osservato che la Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto tra le sezioni semplici in tema di impugnazione proposta dopo la morte della parte, con la sentenza 16/12/2009 n. 26279 hanno affermato il seguente principio: l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non vi è luogo all’applicazione dell’art. 291 c.p.c..

Le Sezioni Unite sono pervenute a tale conclusione dopo aver riportato e analizzato i precedenti (in parte contrastanti) orientamenti giurisprudenziali e dopo aver, all’esito dell’esame di detti precedenti, affermato tra l’altro che:

– l’irrilevanza dell’evento morte non dichiarato nè notificato opera solo con riferimento alla fase in cui si verifica; il successivo grado del giudizio si deve quindi instaurare tra i soggetti effettivamente legittimati;

– l’art. 286 c.p.c. attiene alla notificazione non dell’atto di impugnazione ma della sentenza, notificazione che può essere effettuata collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto o agli eredi singolarmente e personalmente;

– l’atto di impugnazione deve in ogni caso essere indirizzato agli eredi indipendentemente dal momento nel quale il decesso della parte è avvenuto.

Dai detti principi discende logicamente la conferma di quello affermato da queste sezioni unite con la sentenza 19/12/1996 n. 11394 – e, poi, in parte, con la sentenza 28/7/2005 n. 15822 – secondo cui la perdita della capacità di stare in giudizio, anche quando non sia dichiarata in giudizio dal procuratore costituito, ovvero si verifichi dopo che la causa sia stata trattenuta in decisione, fa venir meno la legittimazione della parte originaria per il successivo grado di giudizio; ne consegue che legittimata attivamente e passivamente alla notifica della sentenza e alla proposizione del gravame è soltanto la persona in capo alla quale, per effetto di uno degli eventi di cui all’art. 299 c.p.c., si è trasferita la capacità di stare in giudizio. In particolare venuto meno il rapporto di mandato tra la parte deceduta ed il legale – non essendo ipotizzabile alcuna ultrattività di detto mandato al di fuori del grado in cui è stato conferito – la notificazione si può ritenere effettuata da procuratore munito di potere di rappresentanza tecnica solo se è stata fatta dal detto legale su mandato degli eredi della parte deceduta succeduti nel giudizio.

Pertanto in caso di morte della parte, avvenuta dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e prima della notifica della stessa, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, questa va instaurata e deve svolgersi da e contro i soggetti che siano parti sostanziali attualmente interessate alla controversia ed al processo.

Va altresì aggiunto che la questione relativa ai limiti della possibilità della notifica dell’atto di impugnazione collettiva ed impersonale agli eredi non ha formato oggetto di particolare e significativa attenzione da parte della dottrina.

Detta questione è stata risolta nel secondo orientamento giurisprudenziale richiamato nell’ordinanza di rimessione – e sopra riportato – nel senso dell’eccezionalità di tale modalità di notifica consentita solo nell’ipotesi disciplinata dal dell’art. 330 c.p.c., ossia nel caso in cui la morte della parte sia avvenuta dopo la notificazione della sentenza (sentenze 4/4/2001 n. 4990; 13/6/2000 n. 8046; 9/8/1996 n. 7311; 1/10/1994 n. 7953; 27/12/1991 n. 13931).

Perno principale di detto orientamento giurisprudenziale è costituito dal rilievo che nel giudizio di impugnazione la vocatio in ius deve essere rivolta al soggetto, specificamente individuato, al quale compete di partecipare al giudizio stesso per cui, trattandosi di una pluralità di soggetti, l’atto di impugnativa deve essere diretto a ciascuno di essi individualmente e separatamente.

Il primo (e maggioritario oltre che sorretto da diffuse ed analitiche argomentazioni) orientamento giurisprudenziale sopra indicato e riportato nella citata ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite ritiene invece che la possibilità di notifica dell’atto di impugnazione agli eredi in forma collettiva ed impersonale prevista dall’art. 330 c.p.c., comma 2 – in uno dei luoghi di cui al comma 1 – deve estendersi anche nell’ipotesi di molte della parte prima della notifica della sentenza da impugnare: la notifica, ove venga effettuata presso il domicilio del defunto, è nulla ma sanabile per effetto della costituzione di uno dei coeredi (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 1/1/1975 n. 55; 5/7/1976 n. 2497; 4/8/1977 n. 3505; 19/1/1991 n. 525).

Vanno in particolare richiamate le seguenti sentenze:

– 20/2/1967 n. 427 secondo cui l’applicazione dell’art. 330 c.p.c., comma 2 va estesa “anche nel caso in cui la morte della parte si sia verificata successivamente alla pubblicazione di sentenza non notificata: trattasi peraltro di interpretazione estensiva non già analogica della norma di rito”;

– 15/9/1970 n. 1444 per la quale “è valida, a norma dell’art. 330 c.p.c., primo cpv. in relazione all’art. 330 c.p.c., comma 2, la notifica dell’impugnazione eseguita agli eredi della parte vittoriosa collettivamente ed impersonalmente nei luoghi previsti dal citato art. 330 anche se l’evento della morte di questa si sia verificato prima della notifica della sentenza impugnata”. Secondo la detta sentenza la ratio della norma è quella di “agevolare l’esercizio dell’impugnazione attraverso quella forma di notifica appunto impersonale e collettiva”;

– 28/7/1975 n. 2916 con la quale si è affermato il principio secondo cui nonostante l’apparente restrizione letterale del disposto di cui all’art. 330 cod. proc. civ., comma 2 alla sola ipotesi di decesso avvenuto dopo la notificazione della sentenza che si intende impugnare, la facoltà di notificazione collettiva ed impersonale agli eredi della parte defunta sussiste e deve intendersi pure ammessa, per identità della ratio e per difetto di un esplicito divieto, anche nel caso in cui l’evento della morte colpisca la parte originaria prima della notificazione della sentenza che si intende impugnare e quando la notificazione della sentenza non sia stata mai effettuata, ed anche quando, essendo mancata la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio ad opera della parte poi defunta (per essere questa rimasta contumace) la notificazione dell’impugnazione avrebbe dovuto, necessariamente, essere effettuata nell’ultimo suo domicilio reale (identico principio è stato affermato con la successiva sentenza 26/5/1999 n. 5113);

– 9/7/1992 n. 8347 contenente una vasta e complessa motivazione in base alla quale al quesito in esame è stata data risposta nel senso della possibilità di notifica collettiva ed impersonale agli eredi della parte deceduta presso il procuratore costituito di detta parte posto che “il riferimento, presente nel comma 2, alla avvenuta notificazione della sentenza trova attendibile spiegazione nel fatto che il comma 1, cui il secondo rinvia, considera anzitutto il domicilio eletto o la residenza dichiarata nell’atto di notificazione della sentenza, e cioè luoghi che presuppongono avvenuta tale notificazione, senza tuttavia che questa assuma carattere di indefettibilità, anche nel caso di altre localizzazioni che sono ugualmente previste dal comma 1 e che non la presuppongono (come appunto la localizzazione presso il procuratore costituito nel precedente grado). Una diversa interpretazione (che escluda l’applicabilità del citato comma 2 quando la parte vittoriosa sia deceduta senza avere notificato la sentenza) non solo non appare confortata da plausibili ragioni sistematiche, ma contrasta con il risultato desumibile da una più complessiva lettura, che tenga conto anche dell’art. 328 c.p.c.”;

– 6/2/2007 n. 2598 con la quale è stato dedicato all’argomento considerevole spazio e estesa trattazione contenente articolata e complessa motivazione utilizzando per l’interpretazione delle norme coinvolte il criterio letterale (espressione “defunta dopo la notifica della sentenza”) e quello logico e teleologico (esclusiva funzione della norma di favorire l’esercizio del diritto di impugnazione, esentando la parte che deve esercitarlo dall’effettuare ricerche per individuare gli eredi) con la conseguente affermazione che la notifica impersonale e collettiva agli eredi della parte defunta è consentita tanto nel caso in cui il decesso della parte sia avvenuto dopo la notificazione della sentenza, quanto nel caso in cui sia avvenuto prima.

Va rilevato che gli argomenti sviluppati nella sentenza da ultimo citata sono stati in parte richiamati e ribaditi nella sentenza 4/7/2007 n. 15123 – alla quale ha fatto riferimento l’ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite ravvisando in tale pronuncia un terzo orientamento giurisprudenziale – con il mutamento relativo al luogo di notifica agli eredi della parte defunta dopo l’udienza di discussione e a prescindere dalla notifica della sentenza (sempre collettivamente e impersonalmente e sempre rimanendo salva la possibilità della notifica personale ai singoli eredi), luogo non più individuato in uno di quelli di cui all’art. 330 c.p.c., comma 1 ma in quello del domicilio del defunto e ciò in virtù dell’applicazione dell’art. 286 c.p.c., comma 1, (che richiama l’art. 303 c.p.c., comma 2) e art. 328 c.p.c. (norme alle quali aveva fatto riferimento la precedente sentenza 9/7/1992 n. 8347 sopra riportata e quella successiva n. 11394/96 dello stesso estensore).

Con la detta sentenza è stato affermato il seguente principio di diritto: Le due previsioni dell’art. 286 c.p.c. e art. 328 c.p.c., comma 2, per un’evidente e-sigenza di parità di trattamento fra chi vuole provocare il decorso del termine breve di impugnazione attraverso la notificazione della sentenza e chi deve esercitare l’impugnazione, implicano che la regola della possibilità della notificazione agli eredi collettivamente ed impersonalmente debba valere anche per chi esercita il diritto di impugnazione. Ne consegue che, in caso di morte della parte dopo la chiusura dell’istruzione e, quindi, anche quando la parte muoia dopo la pubblicazione della sentenza, l’impugnazione, anche in assenza di notificazione della sentenza, può essere notificata oltre che personalmente agli eredi, anche agli eredi collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto, restando escluso che tale possibilità sia incompatibile con il fatto che un’espressa previsione per il caso di morte della parte sia dettata dall’art. 330 c.p.c., comma 2 poichè questa norma ha solo la funzione di porre una disciplina particolare per il solo caso in cui la sentenza sia notificata e la morte avvenga dopo di essa. Tale particolarità concerne il profilo del luogo di notificazione che si identifica nei luoghi risultanti dal comma 1 della norma ed appare giustificata dalla circostanza che l’impugnazione in tal caso viene esercitata in relazione ad un’attività, quella di notificazione della sentenza, eseguita da poco tempo dalla parte defunta, onde, se essa all’atto della stessa aveva dichiarato la residenza od eletto domicilio oppure, non avendolo fatto, era difesa da procuratore presso il quale era domiciliata, appare giustificato che la notificazione collettiva ed impersonale possa farsi in quei luoghi, piuttosto che nell’ultimo domicilio del defunto stesso.

La sentenza è pervenuta alle riportate conclusioni all’esito di un ben delineato percorso logico-argomentativo – coerente ed ineccepibile – seguito alla luce di molteplici, accurati e rigorosi argomenti basati essenzialmente su un’interpretazione coordinata della lettera e della ratio degli artt. 286, 328 e 330 c.p.c..

In particolare è opportuno riportare alcuni importanti snodi centrali della motivazione della sentenza in esame da condividere e da far propri.

… ritiene il Collegio … di intendere restrittivamente l’art. 330 c.p.c., comma 2 cioè come relativo al solo caso di decesso della parte dopo la notificazione della sentenza.

… Rispetto a tale disciplina generale il caso dell’art. 330 c.p.c., comma 2, costituisce non tanto un’eccezione, bensì una previsione del tutto aggiuntiva.

… Vi è, poi, il già ricordato art. 328 c.p.c., il quale, per il caso in cui la morte della parte si sia verificata dopo la notificazione della sentenza (eseguita che sia dal defunto o dalla controparte) e, quindi, penda il termine breve, di cui all’art. 325 c.p.c., dispone nella sostanza ch’esso diventi irrilevante, salvo che venga effettuata una nuova notificazione (comma 1). Nel comma 2, la norma prevede, poi, che tale nuova notificazione possa essere fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto e faccia decorrere un nuovo termine breve. Anche tale previsione, là dove consente la notificazione agli eredi collettivamente ed impersonalmente con il verbo “può”, una volta messa in relazione con la previsione generale della necessità della rinnovazione ai fini del decorso di un nuovo termine breve, consente di ritenere che la possibilità che ne è oggetto si aggiunga ad una regola di rinnovazione che sarebbe sempre riferibile agli eredi del defunto, seppure nominatim.

… Interessa … sottolineare che le due previsioni dell’art. 286 c.p.c., e art. 328 c.p.c., comma 2, per un’evidente esigenza di parità di trattamento fra chi vuole provocare il decorso del termine breve di impugnazione attraverso la notificazione della sentenza e chi deve esercitare l’impugnazione, implicano che la regola della possibilità della notificazione agli eredi collettivamente ed impersonalmente debba valere anche per chi esercita il diritto di impugnazione. Costui, se deve notificare agli eredi della parte defunta, può certamente notificare individuandoli singulatim, ma deve avere la possibilità di notificare collettivamente ed impersonalmente nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto. Ed infatti, se è giustificata la grave conseguenza del decorso del termine breve e, quindi, del possibile passaggio in giudicato della sentenza per effetto di una notifica impersonale e collettiva, purchè effettuata in quel luogo, altrettanto giustificato è che, proprio per evitare quella conseguenza, il diritto di impugnazione possa essere esercitato verso gli eredi impersonalmente e collettivamente.

… Raggiunta tale conclusione, se ne può trarre un’implicazione ai fini dell’esatto ambito di applicazione della norma dell’art. 330 c.p.c., comma 2. Essa è nel senso che questa norma detta una disciplina particolare per il solo caso in cui la sentenza sia notificata e la morte avvenga dopo di essa. La particolarità concerne il profilo del luogo, atteso che qui non si fa riferimento all’ultimo domicilio del defunto, ma ai luoghi risultanti dal comma 1 della norma. La differenza risiede, evidentemente nella circostanza che l’impugnazione viene esercitala in relazione ad un’attività, quella di notificazione della sentenza, eseguita da poco tempo dalla parte defunta, onde, se essa all’atto della stessa aveva dichiarato la residenza od eletto domicilio oppure, non avendolo fatto, era difesa da procuratore presso il quale era domiciliata, appare giustificato che la notificazione collettiva ed impersonale possa farsi in quei luoghi, piuttosto che nell’ultimo domicilio.

Ritengono queste Sezioni Unite che debba essere seguito l’indirizzo segnato dalla detta sentenza 15123/2007 sorretta da convincente motivazione (in parte riportata) con la quale l’esegesi delle norme coinvolte è stata condotta coordinando il dato letterale con quello teleologico mediante una lettura globale e sistematica della normativa di riferimento tenendo conto delle esigenze fondamentali:

di agevolare e rendere più sollecito il diritto di impugnativa; di tutelare il diritto di difesa; di garantire il rispetto del principio del contraddittorio; di contemperare – in modo corretto e coerente – i contrapposti interessi in gioco.

Va in proposito evidenziato che la citazione collettiva ed impersonale, rispetto a quella personale di ciascun erede, comporta una evidente facilitazione per l’impugnante consentendogli di proseguire nel giudizio senza individuare personalmente gli eredi della parte defunta: spetta a chi ha la qualità di erede renderla palese costituendosi nel giudizio instaurato dall’impugnante.

Va precisato che tale facilitazione è giustificata logicamente dalla esigenza di evitare all’impugnante di effettuare lunghe e complesse indagini volte all’esatta individuazione degli eredi.

Peraltro l’individuazione del luogo di notifica nell’ultimo domicilio del defunto – che coincide con il luogo di apertura della successione – fornisce adeguata assicurazione in ordine alla probabilità che gli eredi vengano a conoscenza della proposta impugnazione: ciò impedisce una possibile lesione del diritto di difesa dei successori della parte deceduta i quali potrebbero non essere a conoscenza delle notificazioni effettuate al procuratore del de cuius e, quindi, potrebbero risentire gli effetti di una decisione ad essi pregiudizievole ove non informati dal procuratore della effettuata impugnazione.

Va infine segnalato che questa Corte con la recente sentenza 15/5/2009 n. 11315 ha affermato che qualora la parte non abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio per il giudizio, essendo rimasta contumace o essendosi costituita personalmente senza dichiarare la residenza o eleggere domicilio, la notificazione dell’impugnazione va effettuata personalmente, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., u.c., e quindi, in caso di decesso, la notifica agli eredi non può essere effettuata collettivamente ed impersonalmente, ma va eseguita “nominatim”, ai sensi dell’art. 137 e ss. cod. proc. civ., indipendentemente dall’avvenuta notifica della sentenza e dalla circostanza che la morte della parte si sia verificata prima o dopo tale notifica.

Il riportato principio – come risulta evidente – non si pone in contrasto con quello affermato con la più volte citata sentenza 15123/2007 che non si riferisce alla fattispecie nella quale la parte defunta sia rimasta contumace in primo grado con conseguente necessità di notifica dell’atto di appello personalmente ai singoli eredi.

Occorre a questo punto occuparsi della problematica relativa alla possibilità di sanatoria del vizio della notifica ed al riguardo va notato che la giurisprudenza di legittimità è essenzialmente e prevalentemente nel senso della possibilità della sanatoria ex tunc quando il vizio riguarda il luogo di notificazione e della esclusione di tale possibilità quando il vizio si riferisce all’individuazione del soggetto passivo dell’impugnazione con conseguente violazione del principio del contraddittorio e difetto della vocatio in ius.

In alcune pronunzie si è affermato che è nulla ed insanabile la notifica dell’impugnazione effettuata personalmente e collettivamente e non singolarmente.

Nella specie non è ravvisabile alcuna delle ipotesi di nullità insanabile trattandosi di notifica che, effettuata collettivamente ed impersonalmente agli eredi della parte defunta, il Collegio – avendo prestato adesione al terzo orientamento giurisprudenziale richiamato nell’ordinanza di rimessione e di cui alla sentenza 15123/2007 – ritiene errata solo con riferimento al luogo della notifica (presso uno dei luoghi di cui all’art. 330 c.p.c., comma 1 e non presso il domicilio del defunto) con sanatoria della conseguente nullità a seguito della costituzione dell’erede della parte defunta.

I quesiti che la fattispecie in esame pone vanno pertanto risolti enunciando il seguente principio con il quale viene tenuto fermo e ribadito quello sopra riportato ed affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza 16/12/2009 n. 26279:

l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa) deve essere rivolto agli eredi indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; detta notifica – che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi – può anche essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale purchè entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza (comprensivo dell’eventuale periodo di sospensione feriale): a) nell’ultimo domicilio della parte defunta;

b) ovvero, nel solo caso di notifica della sentenza ad opera della parte deceduta dopo la notifica, nei luoghi di cui all’art. 330 c.p.c., comma 1.

In definitiva in base a quanto precede può concludersi che: a) la notifica del ricorso effettuata impersonalmente e collettivamente agli eredi del defunto avvocato C.F. (parte vittoriosa del giudizio di appello) presso il procuratore domiciliatario del de cuius costituito nel giudizio di secondo grado è nulla in quanto non eseguita nel domicilio del defunto; b) la detta nullità è stata sanata dalla costituzione dell’erede della parte defunta C.A..

Può quindi passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso la s.n.c. Nuova Ferramenta Eredi Teia Elio denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. e vizi di motivazione deducendo che le competenze dell’avvocato C. erano state prima calcolate secondo uno scaglione e, poi, con una seconda parcella, rideterminate secondo lo scaglione superiore. La corte di appello non ha compiuto alcun accertamento in merito alla sussistenza di idonee ragioni giustificative della maggior richiesta, nè ha indicato gli elementi posti a base della formulata supposizione in ordine ai motivi che avrebbero indotto il professionista ad inviare una prima notula più contenuta. Il giudice di appello, inoltre, non ha accertato e motivato la validità della nuova richiesta.

Il motivo è infondato ed in proposito è sufficiente il richiamo all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (sentenze 11/3/2008 n. 6454; 22/1/1997 n. 621) secondo cui – al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente e come correttamente affermato dalla corte di appello – qualora l’avvocato, dopo aver presentato al proprio cliente una parcella per il pagamento dei compensi spettantigli redatta in conformità ai minimi tabellari, richieda, successivamente, per le stesse attività un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella redatta sempre nel rispetto dei minimi tabellari, il giudice del merito, richiesto della liquidazione, salva l’ipotesi in cui la prima parcella abbia carattere vincolante in quanto conforme ad un pregresso ac-cordo o espressamente accettata dal cliente (ipotesi queste che nella specie non ricorrono), ben può valutare se esistono elementi – discrezionalmente apprezzabili – che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta, (ravvisabili anche nel venire meno di quei rapporti amichevoli che avevano indotto il professionista ad usare al cliente un trattamento di particolare favore) fermo restando il necessario apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, il quale, se adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

Al detto principio si è attenuta la corte di merito con la sentenza impugnata che sul punto è sorretta da congrua ed adeguata motivazione con la precisazione che la nuova notula era stata predisposta dal professionista “sempre nel rispetto della tariffa”.

Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 2727 e 2627 c.c. nonchè vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello ha affermato che le contestazioni mosse da essa società erano generiche e non scalfivano la presunzione di veridicità che assiste le dichiarazioni contenute nella parcella.

Dette affermazioni sono errate e non sufficientemente motivate, oltre che smentite da quanto emerge dalla documentazione acquisita e dall’istruttoria dalle quali si evince che le contestazioni mosse sin dal primo grado erano precise e puntuali in merito al valore della lite, alla effettiva esecuzione delle singole prestazioni, alla data di svolgimento ed alla inadeguatezza dell’assistenza prestata.

Il motivo è da disattendere.

La parcella dell’avvocato – come questa Corte ha avuto modo di precisare (sentenza 15/6/2001 n. 8160) – costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l’iscrizione all’albo del professionista è una garanzia della sua personalità; pertanto, le “poste” o “voci” in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice.

Nella specie la corte di appello ha posto in evidenza che – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – il giudice di primo grado aveva fornito specifica motivazione alle eccezioni al riguardo mosse dalla società opponente e che quest’ultima non aveva contrapposto alla motivazione del tribunale “argomentazioni specifiche … venendo meno all’onere di specificare i motivi dell’impugnazione”.

Con il motivo in esame la ricorrente si è limitata a sostenere di aver mosso in primo grado specifiche contestazioni in ordine alla parcella in questione, senza formulare alcuna critica alla ratio decidendi della sentenza di appello impugnata con la quale è stato ritenuto inammissibile il motivo di gravame per difetto di specificità. Va al riguardo anche notato che la ricorrente ha omesso di indicare e riportare le singole contestazioni mosse con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo in questione e poi ribadite e ripetute con l’atto di appello: tale omissione impedisce a questa Corte di procedere alla valutazione della fondatezza o meno di tali contestazioni e, in particolare, della specificità o meno dei motivi di gravame articolati con l’atto di appello avverso la pronuncia di primo grado.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. e vizi di motivazione sostenendo che, al contrario di quanto affermato dalla corte di appello, per il calcolo dei diritti e degli onorari deve essere applicata la tariffa in vigore al momento dell’esecuzione delle singole prestazioni professionali in considerazione del carattere non unitario dell’attività difensiva.

Il motivo è manifestamente infondato atteso che le censure ivi sviluppate si pongono in netto contrasto con il principio giurisprudenziale pacifico – al quale si è attenuta la corte di appello – secondo il quale, in caso di successione di tariffe professionali forensi, gli onorari di avvocato – tenuto conto del carattere unitario della prestazione difensiva – devono essere liquidati in riferimento alla normativa vigente nel momento in cui l’opera complessiva è stata condotta a termine, con l’esaurimento o con la cessazione dell’incarico professionale. Il carattere unitario della prestazione difensiva importa infatti che gli onorari di avvocato debbano essere liquidati in base alla tariffa vigente nel momento in cui la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 19/12/2008 n. 29880; 3/8/2007 n. 17059). Va inoltre rilevato che nella sentenza impugnata – con riferimento all’individuazione del momento cui far riferimento per la liquidazione delle spettanze professionali – non si fa alcun cenno ai diritti, ma solo agli onorari.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 116 e 244 c.p.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello ha ritenuto le deposizioni testimoniali di scarsa efficacia probatoria per aver i testi riferito dichiarazioni provenienti da terzi e fornito valutazioni. Al contrario i testi hanno riferito informazioni apprese all’epoca dei fatti ed hanno reso dichiarazioni suffragate da altre risultanze probatorie.

Anche questo motivo, al pari degli altri, non è meritevole di accoglimento risolvendosi essenzialmente, pur se titolato come violazione di legge e come vizi di motivazione, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa ed in una critica dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operata dal giudice del merito incensurabile in questa sede di legittimità perchè sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici e giuridici.

Inammissibilmente la ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze probatorie sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta.

Le doglianze relative alla valutazione delle risultanze istruttorie (deposizioni dei testi escussi) deve affermarsi che le stesse non sono meritevoli di accoglimento anche per la loro genericità, oltre che per la loro incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito.

Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo del lamentato errore di valutazione: solo così è consentito alla corte di cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si è formato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

In proposito va ribadito che per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità logica tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla vertenza, si da far ritenere che quella circostanza se fosse stata considerata avrebbe portato ad una decisione diversa.

Nella specie le censure mosse dalla ricorrente con il motivo in esame sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo delle prove testimoniali e documentali genericamente indicate in ricorso e non forniscono alcun dato valido per ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo di dette prove. Tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dalla ricorrente.

Il ricorso deve quindi essere rigettato con la conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.500,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

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