Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14696 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 26/05/2021), n.14696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5126-2019 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA

CIACCI, MANUELA MASSA, CLEMENTINA PULLI;

– ricorrente –

contro

G.R., G.S., in qualità di eredi di G.B.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PASQUALE STANISLAO MANCINI,

2, presso lo studio dell’avvocato MICHELANGELO CAPUA, rappresentati

e difesi dall’avvocato ESTER BAESSATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 246/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 02/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte di appello di Genova con la sentenza n. 246/2018 aveva rigettato l’appello proposto dall’Inps avverso la decisione con la quale il tribunale locale aveva dichiarato il diritto di G.R. alla indennità di accompagnamento con decorrenza dal 1/12/2014 e condannato l’Inps al pagamento della prestazione.

La Corte d’appello, premesso che la G. aveva adito il tribunale per ottenere il pagamento della suddetta prestazione il cui requisito sanitario era stato riconosciuto con provvedimento di omologa del 22.8.2016, aveva ritenuto corretta la sentenza impugnata quanto alla ritenuta non proponibilità della eccezione di decadenza successivamente alla emissione del decreto di omologa e, dunque, in sede di giudizio promosso per ottenere il pagamento della prestazione. Chiariva la corte territoriale che l’eccezione di decadenza, quale presupposto processuale dell’azione, doveva essere posta nella originaria fase dell’ATPO e, in caso di mancata o errata valutazione del giudice, avrebbe dovuto essere oggetto di contestazione e di introduzione del giudizio ex art. 445 bis c.p.c., comma 6. Riteneva pertanto tardiva l’eccezione e dunque corretta la decisione di condanna dell’Inps al pagamento della prestazione. Avverso detta decisione l’Inps proponeva ricorso affidato a un solo motivo, cui resisteva con controricorso l’Inps.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di Consiglio.

Entrambe le parti depositavano successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Con unico motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 445 bis c.p.c., comma 5; della L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, dell’art. 2697 c.c., Nullità della sentenza. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), per aver, la corte di appello, errato nel ritenere che la prestazione debba essere erogata pur in presenza di intervenuta decadenza. L’Inps sostiene che il procedimento di cui all’art. 445 bis c.p.c accerta solo il requisito sanitario e che pertanto le ulteriori condizioni, e tra queste la decadenza, possano essere eccepite, da parte dall’Istituto, pur a seguito di provvedimento che accerti il requisito sanitario.

Il tema in questione, relativo ai confini del procedimento ex art. 445 bis c.p.c nella sua prima fase ed agli effetti del decreto di omologa, ha già impegnato questa Corte con articolata decisione, a cui si intende dare seguito, secondo cui “Il decreto di omologa non racchiude una pronuncia dichiarativa del diritto al beneficio assistenziale o alla pretesa previdenziale e ciò in quanto il compendio di elementi costitutivi non viene in discussione nella fase sommaria, per essere avulso dal thema decidendum del giudizio sommario il vaglio di elementi extrasanitari neanche verificati, in sede amministrativa, prima della proposizione dell’accertamento tecnico preventivo (sulla diversa natura, definitiva e decisoria, della statuizione del decreto di omologa sulle spese, perchè incide sui diritti patrimoniali, si rinvia alla uniforme giurisprudenza di questa Corte, fin dalla sentenza n. 6084 del 2014).

Consegue all’essenza non dichiarativa del diritto alla pretesa, che proponibilità e procedibilità della domanda giudiziaria per il riconoscimento del diritto alla prestazione assistenziale o previdenziale non possano cristallizzarsi alla fase sommaria, con un’attitudine a divenire irretrattabili nell’azione previdenziale, introdotta o meno la questione, e svolta o meno la relativa eccezione, in sede sommarla, dall’ente previdenziale.

E’ bene ricordare che il procedimento sommario per la verifica delle condizioni sanitarie, che si conclude con la pronuncia del decreto di omologa, è volto a soddisfare la condizione di procedibilità di cui all’art. 445-bis c.p.c., comma 1, e consente alla parte di accedere, ai sensi dell’art. 442 c.p.c., al giudizio ordinario per l’accertamento del diritto alla prestazione (v. Cass. n. 16685 del 2018).

Il provvedimento conclusivo della fase sommaria, nella forma del decreto, non può incidere, con effetto di giudicato, sulla situazione soggettiva sostanziale dedotta in giudizio, proprio in considerazione della possibilità, per l’interessato, di promuovere il giudizio di merito e tale affermazione non risulta smentita dai precedenti di questi Corte (v., per tutti, Cass. n. 20847 del 2019) che, ricomprendendo nella dichiarazione di dissenso – che la parte deve formulare al fine di evitare l’emissione del decreto di omologa – anche gli aspetti preliminari oggetto della verifica giudiziale relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione, hanno affermato, in mancanza di contestazioni anche per profili diversi da quelli attinenti l’accertamento sanitario, la definitività del decreto di omologa, non contestabile, nè ricorribile ai sensi dell’art. 111 Cost..

La predicata definitività del decreto di omologa, come limite invalicabile per il giudice dell’omologa rispetto ad ogni contestazione attinente al requisito sanitario e alle altre condizioni dell’azione proposta (v., fra le altre, Cass. n. 11043 del 2020), attiene all’accertamento delle condizioni sanitarie, vincolante per l’ente previdenziale, e al contemperamento del procedimento sommarlo con la concreta utilità per il richiedente la prestazione, la quale potrebbe del tutto mancare se manifestamente carenti, con valutazione prima facie, altri presupposti della predetta prestazione al fine di evitare, come già ricordato, la proliferazione smodata del contenzioso sull’accertamento del requisito sanitario.

Ecco perchè questa Corte, agli effetti dell’ammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo, ha delineato l’ambito del sommario accertamento del giudice dell’omologa, spingendolo fino alla sommaria verifica dei presupposti della prestazione, previdenziale o assistenziale, in vista della quale il ricorrente domanda l’accertamento tecnico (v., in tal senso, Cass. n. 5338 del 2014 cit. e Cass. n. 9755 del 2019).

All’esito positivo di tale verifica e sussistenti, sulla base della prospettazione del ricorrente, i requisiti per dare ingresso all’accertamento tecnico, il giudice proseguirà nella procedura descritta dalla disposizione, dovendo altrimenti dichiarare il ricorso inammissibile, con pronuncia priva di incidenza con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale che non preclude l’ordinario giudizio di cognizione sul diritto vantato (v. i precedenti sin qui richiamati).

Scandito in tali termini il procedimento sommario non può affermarsi, come pretenderebbe la Corte territoriale, l’efficacia di giudicato sulle questioni extrasanitarie non sollevate nel procedimento sommario.

Del resto lo stesso Istituto previdenziale riconosce che avrebbe potuto contestare la mancata presentazione della domanda amministrativa sin dal giudizio sommarlo ma non averlo fatto non comporta, per quanto illustrato, che sulla questione processuale possa essersi formato un giudicato incidente sull’azione dichiarativa del diritto alla prestazione e di condanna alla relativa erogazione.

Va ricordato, infine, in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass., 5453 del 2017 e i precedenti ivi richiamati), che la mancanza della preventiva presentazione della domanda amministrativa, nei giudizi di previdenza e assistenza, è sempre rilevabile d’ufficio, a prescindere dal comportamento processuale tenuto dall’ente previdenziale convenuto, trattandosi di condizione di proponibilità della domanda giudiziaria e non già di elemento costitutivo della pretesa azionata in giudizio, e la mancanza del previo esperimento del procedimento amministrativo determina l’improponibilità della domanda giudiziaria, salvo l’effetto preclusivo di cui all’art. 324 c.p.c., non configurabile nel caso di specie per quanto esposto nei paragrafi che precedono” (Cass.n. 28417/2020).

Non essendosi la corte territoriale attenuta ai principi indicati, il ricorso dell’Inps deve essere accolto, cassata la sentenza e rinviata la causa alla corte di appello di Genova, diversa composizione, per la decisione, in ottemperanza ai principi posti, ed anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia la causa alla corte di appello di Genova, diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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