Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14695 del 13/06/2017

Cassazione civile, sez. I, 13/06/2017, (ud. 09/05/2017, dep.13/06/2017),  n. 14695

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19494/2011 proposto da:

V.L., cod. fisc. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, alla via Carlo Poma n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Paolo

Gelli che lo rappresenta e difende giusta procura speciale apposta a

margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

CONSORZIO GAIA s.p.a., in amministrazione straordinaria, cod. fisc.

(OMISSIS), in persona del commissario straordinario e legale

rappresentante pro tempore, Dott. L.A., con sede in

(OMISSIS), ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Gerolamo

Belloni n. 88, presso lo studio dell’Avvocato Daniela Del Bo che la

rappresenta e difende giusta procura speciale apposta in calce al

controricorso.

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale proposto da:

CONSORZIO GAIA s.p.a., come sopra rappresentata e difesa;

– ricorrente incidentale –

nei confronti di:

V.L., come sopra rappresentato e difeso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso il decreto n. 997/2011 del TRIBUNALE DI VELLETRI, depositato

il 07/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ricorso depositato il 23 dicembre 2008, V.L. premettendo di aver chiesto l’ammissione al passivo della Consorzio Gaia s.p.a., in amministrazione straordinaria giusta sentenza del 13 agosto 2007 del Tribunale di Velletri, per la complessiva somma di Euro 1.392.608,32, al lordo delle imposte e ritenute di legge, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, e rivalutazione, relativa: 1) al pagamento dell’importo di Euro 1.380.000,000 a titolo di indennizzo come previsto dalla lettera O) del contratto di lavoro a tempo indeterminato tra gli stessi intercorso; 2) al pagamento dell’importo di Euro 12.608,32 per mancata corresponsione di parte della retribuzione così come dovuta per legge e per contratto, sia collettivo applicabile che individuale, e maturata in pendenza del rapporto di lavoro, ma che tale sua domanda non era stata accolta – proponeva opposizione allo stato passivo della suddetta procedura invocando l’ammissione ivi in prededuzione o, in subordine in via privilegiata, per il riportato credito pari ad Euro 1.392.608,32, al lordo delle imposte e ritenute di legge, oltre interessi.

Deduceva di essere stato assunto il 3 aprile 2006, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con la qualifica di dirigente della Consorzio Gaia s.p.a.; che ne era stato nominato, dal c.d.a., amministratore delegato, fino al momento in cui, a seguito delle dimissioni presentate dal presidente del consiglio di amministrazione e da cinque consiglieri il 14 luglio 2006, il consiglio stesso era decaduto come previsto dall’art. 17, comma 4, dello statuto ed al suo posto era subentrato il collegio sindacale nella gestione ordinaria della società; di avere contestato a quest’ultima, con lettera ricevuta il 20 luglio 2006, prot. n. 6198, l’inadempimento previsto dalla clausola di cui alla lettera O) del contratto stipulato al momento dell’assunzione e di avere reclamato, in ragione di ciò, il pagamento di tutte le indennità ivi previste; che la società, di contro, non aveva eccepito alcunchè in ordine al contestatole inadempimento, provvedendo ad adeguare la retribuzione dovutagli nella misura prevista dall’articolo predetto; che era stato nuovamente nominato amministratore delegato dal c.d.a. il 20 settembre 2006, ed in tale occasione era stato richiamato il contenuto del contratto di assunzione del 30 marzo 2006 e precisata, a suo dire, la permanenza dei “diritti dallo stesso fin qui acquisiti conseguenti alla violazione di quanto ivi previsto alla lettera N) e con gli effetti di cui alla lettera O) determinati dalle note vicende societarie”; che, con nota del 9 novembre 2006, prot. n. 3685, la Consorzio Gaia s.p.a. gli aveva richiesto di formalizzare la scelta in ordine al diritto, da lui maturato, di cui alla lettera O), secondo capoverso, ovverosia circa la possibilità di recedere dal contratto ed incassare l’indennizzo pari a tre volte l’ammontare dello stipendio globalmente percepito; di avere esercitato la facoltà riservatagli di recedere dal contratto senza, peraltro, ricevere le somme complessivamente dovute e pari ad Euro 1.380.000,00 (Euro 460.000,00 all’anno); di avere ottenuto dal Giudice del Lavoro decreto ingiuntivo per un totale di complessivi Euro 1.392.608,02.

2. Costituendosi in giudizio, la Consorzio Gaia s.p.a. preliminarmente deduceva che il menzionato decreto ingiuntivo era stato tempestivamente opposto innanzi al Giudice del Lavoro e che il giudizio relativo era stato dichiarato “temporaneamente improcedibile”, così come altro giudizio instaurato dal V. finalizzato ad ottenere l’annullamento dell’atto di risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

Precisava, poi, che la retribuzione quale dirigente ed il compenso quale amministratore delegato erano stati puntualizzati alle lettere E) ed F) della lettera di assunzione, e che il V. era cessato formalmente dalla carica di amministratore delegato per poco più di dieci giorni, essendo stato nuovamente nominato a seguito della ricostituzione del consiglio di amministrazione in data 21 luglio 2006.

Contestava, pertanto, integralmente l’avversa domanda ed eccepiva: 1) la nullità della complessiva previsione contrattuale derivante dalle citate clausole di cui alle lettere N) ed O) del contratto nella parte in cui la Consorzio Gaia s.p.a. si era impegnata a mantenere il V. nella carica di amministratore per tutto il periodo di durata del rapporto di lavoro, stipulato a tempo indeterminato, in aperta violazione delle prerogative del consiglio di amministrazione e dei suoi singoli componenti, vincolati a tempo indeterminato alla nomina dell’amministratore delegato nella persona dell’opponente; 2) l’infondatezza dell’inadempimento addebitatole e l’inefficacia di clausole penali a suo carico; 3) il concorso di colpa della controparte nel procrastinare il termine di accettazione della nuova carica di amministratore delegato solo in data 20 settembre 2006.

Chiedeva, quindi, respingersi la proposta opposizione, condannandosi, in via riconvenzionale, il V. alla restituzione, in proprio favore, della somma da lui indebitamente percepita pari ad Euro 78.560,63, non essendogli dovute le maggiorazioni per il mancato raggiungimento del 120% degli obiettivi come convenzionalmente pattuito.

3. Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, disponeva l’ammissione al passivo, in via privilegiata, del V. limitatamente all’importo, rimasto incontroverso, di Euro 12.608,32, oltre interessi legali ex art. D.Lgs. n. 231 del 2002, a titolo di differenze retributive non corrisposte in costanza di rapporto lavorativo, rigettando tutte le ulteriori domande.

In particolare, il Giudice a quo rilevava, per quanto qui ancora di interesse, che “…le clausole di cui agli artt. N) ed O) devono… ritenersi nulle ex artt. 1418 c.c. e segg….. ricavandosi dalla lettura delle stesse una interpretazione della volontà negoziale volta a derogare al contenuto di norme di legge e dello statuto in alcun modo derogabili, e cioè a quelle norme che conferiscono al CDA il potere di nomina dell’Amministratore Delegato, escludendo la possibilità del permanere della carica oltre una certa durata ed in assenza dei presupposti esistenti al momento della nomina (cfr. artt. 2380 c.c. e segg. ..)…”, e che, “Nella denegata ipotesi di validità delle suddette clausole, volendosi accedere alla interpretazione di parte opponente, secondo la quale la volontà negoziale manifestatasi tra le parti in alcun modo contemplava la violazione delle prerogative del Consiglio di Amministrazione e dei suoi singoli componenti ma soltanto la regolamentazione delle condizioni economiche del contratto di lavoro subordinato liberamente concordate tra le parti, deve ritenersi che in alcun modo il Consorzio Gaia abbia disatteso agli obblighi assunti di mantenere la retribuzione dovuta al V. nella misura pari a quella pattuita, a prescindere dal venire meno dell’incarico di Amministratore Delegato. Ed invero, la parte opponente espressamente ha dichiarato che la Società Gaia, a fronte della richiesta di pagamento delle retribuzioni pattuite inviatale dal V. con propria lettera del 19 luglio 2006, non eccepiva alcunchè provvedendo spontaneamente, con nota del 18 luglio 2006, ad adeguare la retribuzione del V. ai sensi dell’art. O) del suddetto contratto di assunzione… La circostanza sopra enunciata conferma l’adempimento del Consorzio Gaia alle clausole contrattuali oggetto di giudizio e non già il contrario…”.

4. Avverso tale decisione il V. ha proposto tempestivo ricorso, affidato a sei motivi, resistito dalla Consorzio Gaia s.p.a. in amministrazione straordinaria, la quale ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale ed incidentale condizionato, con un motivo ciascuno, resistiti dal V. con controricorso. La Consorzio Gaia s.p.a. ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

5. Va pregiudizialmente evidenziato che, con la memoria da ultimo indicata, la suddetta società ha evidenziato che uno dei propri originari difensori – il prof. Avv. Giulio Prosperetti – ha rinunciato al mandato a seguito di cancellazione dall’albo per la sua elezione a Giudice della Corte costituzionale.

Nessun riflesso ha tale evento sul presente procedimento, atteso che la medesima società risulta essersi costituita, in questa sede, con il patrocinio anche dell’Avv. Daniela Del Bo e che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, in ipotesi di pluralità di difensori, è sufficiente che uno degli avvocati, munito di procura speciale e che abbia sottoscritto l’atto, sia iscritto nell’apposito albo (cfr. Cass. n. 17292 del 2015; Cass. n. 9363 del 2013).

6. Con il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1346, 1362, 1367, 1369, 1418, 2381, 2383 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, si assume che, per come strutturata, la motivazione dell’impugnato decreto si pone in radicale contrasto con le norme suddette, oltre tutto procedendo ad una loro interpretazione ed applicazione affatto erronea derivata da una altrettanto erronea e distorta lettura ermeneutica del contratto. Contrariamente a quanto opinato dal tribunale, le clausole N) ed O) del contratto di lavoro subordinato inter partes (debitamente trascritte in ricorso), ove interpretate alla stregua dei vincolanti parametri di cui al codice civile, non sarebbero state assolutamente tese a derogare alle norme di legge e di statuto attributive al consiglio di amministrazione del potere di nomina dell’amministratore delegato, nè, d’altra parte, a tanto avrebbero potuto procedere, non fosse altro in ragione della natura esclusivamente contrattuale delle previsioni citate, volte esclusivamente a regolamentare, sul piano patrimoniale e stipendiale, il singolo rapporto di lavoro subordinato del V.. A ben vedere, la volontà delle parti – per come emergente dal senso delle espressioni impiegate, pienamente armonizzantisi con la natura negoziale dell’atto e da interpretare, oltre tutto, in modo da garantirne la salvezza ed un qualche effetto giuridico concreto – era soltanto quella di individuare a priori, come è proprio d’altronde di ogni rapporto di lavoro subordinato, che in tale aspetto ha, come noto, uno dei suoi caratteri distintivi, il trattamento economico che sarebbe spettato al V. quale dirigente della società, cui in aggiunta erano conferite le funzioni di amministratore delegato. In buona sostanza, con le clausole de quibus, la Consorzio Gaia s.p.a., allo scopo di avvalersi delle elevate ed indubbie capacità professionali del ricorrente quale dirigente, individuava, nell’esercizio dell’autonomia negoziale garantita dall’art. 1322 c.c., un compenso annuo che non poteva essere inferiore allo stipendio di dirigente, pattuito alla lettera E) del contratto in Euro 200.000,00, integrato dalle ulteriori spettanze connesse alla funzione di amministratore delegato. Sempre nell’esercizio della propria autonomia, la società, peraltro, aveva preveduto nel contratto, segnatamente alla più volte citata lettera O), che, qualunque sorte avesse avuto la posizione del V. quale amministratore delegato e, dunque, anche se tale posizione gli fosse stata tolta, il compenso spettantegli quale lavoratore subordinato sarebbe comunque stato pari a quello dovutogli quale dirigente con aggiuntive funzioni di amministratore delegato. Diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, quindi, nessuna invasione nei poteri del consiglio di amministrazione era stata perpetrata con il contratto in esame, atteso che intenzione delle parti non era quella di rendere indeterminatamente ferma la qualifica di amministratore delegato, ma, esclusivamente, quella di pattuire l’effettivo compenso da corrispondere in ogni caso al V., dirigente della società, che svolgesse, o meno, anche le funzioni di amministratore delegato.

7. Con il secondo motivo, rubricato “Insufficiente ed illogica motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione dell’art. 112 c.p.c, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, si censura il decreto de quo perchè asseritamente affetto da manifesta insufficienza ed illogicità della motivazione su un fatto controverso e decisivo, integrato dalla reale natura delle clausole contrattuali di cui alle più volte citate lettere N) ed O) e dai loro effetti pratici nella fattispecie, per come realmente avuti di mira dalle parti nell’esplicazione della loro autonomia negoziale. In particolare, muovendosi dal rilievo che, nella memoria illustrativa datata 1 aprile 2011, nel replicare all’eccezione di nullità sollevata dal Consorzio Gaia, l’odierno ricorrente aveva rilevato che “…appare incontestabile che le parti hanno pattuito a favore del V. non già la garanzia del conferimento della nomina di amministratore delegato a tempo indeterminato, ma la garanzia che, nel caso in cui il V. non fosse stato mantenuto nella predetta posizione di amministratore delegato, già conferitagli dal consiglio di amministrazione nella seduta del 21 marzo 2006, lo stesso avrebbe percepito per intero, per tutta la durata del rapporto di lavoro subordinato, la retribuzione fissa e variabile contrattualmente pattuita in relazione all’assunzione della predetta carica…”, si sostiene che, in parte qua, la decisione impugnata è gravemente carente di adeguata motivazione e nient’affatto completa per quanto concerne l’esame delle difese formulate dalla parte, sulle quali, anzi, non ha assolutamente espresso una posizione, atteso che non dedica alcuna attenzione, nè critica, alle argomentazioni difensive svolte dal V. per chiarire l’esatta portata delle clausole contrattuali in parola ed il loro (limitato) effetto patrimoniale. Invero, il ragionamento che il decreto impugnato ha utilizzato per escludere, a sostegno del rigetto dell’opposizione, qualsiasi rilievo all’argomento dedotto dall’odierno ricorrente appare del tutto insufficiente, per omessa considerazione di un dato fondamentale per il giudizio, cioè l’esatta natura delle richiamate previsioni contrattuali che, lungi dal voler rendere sempiterna la qualifica di amministratore delegato in capo al ricorrente, hanno semplicemente fissato, per libera scelta delle parti ex art. 1322 c.c., la regolamentazione delle condizioni economiche dello specifico contratto di lavoro subordinato.

8. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, si assume, in ordine alla ritenuta assenza di inadempimento imputabile alla Consorzio Gaia s.p.a., che ciò di cui si era inteso dolersi era l’omessa corresponsione delle somme spettanti per il recesso ai sensi della lettera O), seconda parte, del contratto, ossia tre volte la retribuzione annua globale. Rispetto a questo specifico petitum, sorretto da una altrettanto specifica causa petendi, del tutto inconferente sarebbe la decisione del tribunale, che, invero, non ha pronunziato sulla domanda avanzata, trincerandosi dietro la spontanea corresponsione, in corso di rapporto e, quindi, prima del recesso, delle somme dovute quale corrispettivo del lavoro subordinato prestato dal ricorrente. Il punto su cui si controverteva, dunque, ossia il fatto rilevante per il giudizio, era non già la rivendicazione di spettanze retributive, ovvero l’allegazione di un inadempimento del Consorzio Gaia nel versare il corrispettivo del lavoro, bensì, come è reso palese dal corpus del ricorso in opposizione, il contestato inadempimento all’obbligo ex contractu di versare, a fronte del recesso esercitato dal ricorrente, le somme prevedute in tal caso dalla lettera O) seconda parte.

9. Con il quarto motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente ed illogica motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, si assume che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, il V. aveva esercitato, peraltro su sollecitazione della controparte contenuta nella nota del 9 novembre 2006, la facoltà di scelta attribuitagli dalla lettera O) del contratto solo con la propria missiva del 24 novembre 2006.

10. Con il quinto motivo, recante “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, si afferma che la motivazione del decreto impugnato sarebbe assolutamente carente oltre che in grave contrasto con le norme suddette. Invero, inammissibilmente non si è ivi data la minima rilevanza e considerazione al fatto che il V., che mai, prima della citata comunicazione del 24 novembre 2006, aveva esercitato alcuna scelta ex lettera O) del contratto, era stato indotto dal Consorzio Gaia ad esercitare il diritto di recesso dal rapporto di lavoro, peraltro solo a fronte del riconoscimento di quello specifico trattamento (tre volte il compenso annuo globale) correlato al recesso. In una siffatta condotta del Consorzio andava, allora, ravvisata una grave violazione del canone della buona fede, cionondimeno affatto stigmatizzata dal giudice a quo. Infatti, dopo aver sollecitato il ricorrente a recedere ed averne ottenuto la manifestazione di volontà in tal senso, il Consorzio aveva inteso sottrarsi alle proprie obbligazioni, pacificamente esistenti ex contractu, senza che, però, tale condotta fosse stata sanzionata adeguatamente ed, anzi, nemmeno scrutinata da parte di quel giudice, che si era limitato alla mera presa d’atto che il primo aveva di sua iniziativa corrisposto il compenso maggiorato al ricorrente dopo la decadenza dalla qualifica di amministratore delegato, quasi che detta evenienza di per sè fosse sufficiente a giustificare l’inadempimento alla corresponsione del corrispettivo del recesso, oggetto dell’opposizione avanzata.

11. Con il sesto motivo, infine, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”, si censura il decreto impugnato per l’omessa considerazione, ai fini del positivo scrutinio della pretesa avanzata dal V., della circostanza che il consiglio di amministrazione gli aveva proposto, nella riunione del 17 novembre 2006, di versargli l’importo oggetto dell’odierna opposizione allo stato passivo non quale corrispettivo del recesso, ma quale incentivo all’esodo, ossia non più quale indennizzo contrattuale, così da ottenere notevoli risparmi contributivi: tale evenienza, benchè mai stata contestata dal Consorzio Gaia, così da doversi considerare, ex art. 115 c.p.c., quale fatto acquisito al processo e da valutare ai fini della decisione, era, invece, stata totalmente obliterata dal tribunale.

12. Rileva la Corte che, come riconosciuto anche dal ricorrente (cfr. pag. 12 del ricorso), il decreto oggi impugnato reca due rationes decidendi, ciascuna delle quali idonea a giustificare la decisione adottata: il Tribunale di Velletri, infatti, dapprima ha affermato che “…le clausole di cui agli artt. N) ed O) devono… ritenersi nulle ex artt. 1418 c.c. e segg.,… ricavandosi dalla lettura delle stesse una interpretazione della volontà negoziale volta a derogare al contenuto di norme di legge e dello statuto in alcun modo derogabili, e cioè a quelle norme che conferiscono al CDA il potere di nomina dell’amministratore delegato, escludendo la possibilità del permanere della carica oltre una certa durata ed in assenza dei presupposti esistenti al momento della nomina (cfr. artt. 2380 c.c. e segg. c.c…)…”, per poi successivamente aggiungere che “…Nella denegata ipotesi di validità delle suddette clausole, volendosi accedere alla interpretazione di parte opponente, secondo la quale la volontà negoziale manifestatasi tra le parti in nessun modo contemplava la violazione delle prerogative del consiglio di amministrazione e dei suoi singoli componenti ma soltanto la regolamentazione delle condizioni economiche del contratto di lavoro subordinato liberamente concordate tra le parti, deve ritenersi che in nessun modo il Consorzio Gaia abbia disatteso agli obblighi assunti di mantenere la retribuzione dovuta a V.L. nella misura pari a quella pattuita, a prescindere dal venire meno dell’incarico di Amministratore Delegato. Ed invero, la parte opponente espressamente ha dichiarato che la Società Gaia, a fronte della richiesta di pagamento delle retribuzioni pattuite inviatale dal V. con propria lettera del 19 luglio 2006, non eccepiva alcunchè provvedendo spontaneamente, con nota del 18 agosto 2006, ad adeguare la retribuzione del V. ai sensi dell’art. O) del suddetto contratto di assunzione… La circostanza sopra enunciata conferma l’adempimento del Consorzio Gaia alle clausole contrattuali oggetto di giudizio e non già il contrario…”.

Il ricorrente ha censurato entrambe le riportate rationes, riferendosi alla ritenuta nullità delle clausole del contratto di lavoro inter partes il primo ed il secondo motivo, ed alla sancita insussistenza di inadempimento imputabile al Consorzio Gaia i motivi dal terzo al sesto.

13. Ciò posto, i primi due motivi, esaminabili congiuntamente perchè strettamente connessi, investendo direttamente il risultato interpretativo cui è giunto il tribunale nel decreto impugnato con specifico riferimento alle clausole rinvenibili alle lettere E), F), N) ed O) del contratto inter partes, non appaiono meritevoli di accoglimento.

In particolare, il giudice a quo ha evidenziato: 1) che il contratto di assunzione sottoscritto tra le parti prevedeva, alla lettera E), la retribuzione annua dovuta al V. nella misura pari ad Euro 200.000,00, al lordo delle trattenute di legge e di contratto, comprensiva del superminimo e di ogni altro elemento retributivo derivante dalla contrattazione collettiva, ed inoltre l’ulteriore compenso annuo pari ad Euro 80.000,00 lordi dovuto per la sua funzione di amministratore delegato; 2) che la lettera F) prevedeva, invece, ad integrazione della retribuzione annua sopra indicata, in relazione al suo incarico di amministratore delegato, un bonus annuale di Euro 100.000,00 lordi in relazione al conseguimento degli obiettivi annuali di cui al piano industriale. Il bonus veniva condizionato al raggiungimento di almeno il 50% degli obiettivi, con una ulteriore maggiorazione, in caso di superamento del 120% degli obiettivi, pari ad un importo forfetario lordo di Euro 80.000,00; 3) che il contratto di assunzione era assistito dalle garanzie contrattuali previste in favore del dirigente, espressamente sancite dalle clausole ivi rinvenibili alle lettere N) ed O). La prima stabiliva che “La società, in aggiunta a quanto precede, Le garantisce di mantenerLa nella posizione di Amministratore Delegato con le deleghe di cui all’allegato A) per tutta la durata del rapporto di lavoro con il compenso non inferiore ad Euro 280.000,00 lordi annui ai sensi di quanto precede”. La seconda testualmente sanciva che “Qualora la Società dovesse essere inadempiente a quanto sopra stabilito al punto N) che precede, Le garantiamo, anche per i nostri eventuali aventi causa a qualunque titolo, che la sua retribuzione annua lorda di cui al punto E), n. 1, lett. A e/o quella diversa che dovesse risultare a seguito di aumenti dovuti per CCNL e/o per accordi individuali successivamente intervenuti, ferme restando le altre condizioni economiche e normative qui previste, sarà integrata con effetto immediato dell’intero importo di cui al punto E), n. 1, lett. B) e di cui al punto F) che precedono. In alternativa a quanto precede, Lei avrà la facoltà, esercitabile entro sei mesi dall’evento, di risolvere il rapporto di lavoro, e la Società, ad integrazione delle competenze ed indennità tutte di fine rapporto ivi compreso il periodo di preavviso contrattualmente maturato, si impegna a corrisponderle incondizionatamente un indennizzo pari a tre volte l’ammontare dello stipendio annuo globale (100% della parte fissa oltre al 100% della parte variabile)”.

Fermo quanto precede, deve immediatamente ricordarsi, che l’interpretazione del contratto, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del significato del contratto in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sè (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo del contratto, nella parte in questione).

Peraltro, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, n. 10891 del 2016), altresì evidenziandosi che il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 c.c. – secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno – va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti. Ne consegue che detto criterio – sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’art. 1362 c.c., comma 1 – condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto (cfr. Cass. n. 28357 del 2011).

Nella specie, il Tribunale di Velletri ha giustificato la decisione impugnata assumendo che delle riportate clausole contrattuali, ed in particolare di quelle di cui alle lettere N) ed O), erano prospettabili due interpretazioni, entrambe idonee ad escludere l’accoglimento della pretesa del V..

Per quanto qui di specifico interesse, in relazione ai motivi in esame, quel giudice ha affermato che quelle clausole “…devono… ritenersi nulle ex artt. 1418 c.c. e segg. …. ricavandosi dalla lettura delle stesse una interpretazione della volontà negoziale volta a derogare al contenuto di norme di legge e dello statuto in alcun modo derogabili, e cioè a quelle norme che conferiscono al CDA il potere di nomina dell’amministratore delegato, escludendo la possibilità del permanere della carica oltre una certa durata ed in assenza dei presupposti esistenti al momento della nomina (cfr. artt. 2380 c.c. e segg….)…”.

Ad avviso di questa Corte, trattasi di un’interpretazione congrua ed affatto plausibile alla stregua del chiarissimo tenore letterale delle suddette pattuizioni, alla quale il ricorrente oppone (inammissibilmente, in quanto surrogantesi ad attività che è riservata al giudice del merito) la propria, senza, tuttavia, individuare, in modo chiaro ed esplicito nella motivazione del riportato provvedimento gli affermati vizi di violazione di legge e di insufficiente e/o illogica motivazione.

E’, invero, pacifico che la norma (art. 2383 c.c.) che riserva all’assemblea la nomina e la revoca degli amministratori è inderogabile, in quanto di ordine pubblico per la sua incidenza su interessi generali della collettività (cfr. Cass. 17 aprile 1990, n. 3181), ed è parimenti incontroverso che le deliberazioni dell’assemblea debbono essere prese inderogabilmente con l’osservanza del metodo collegiale (cfr. Cass. 14 dicembre 1995, n. 12820), sicchè non può ammettersi che, attraverso singole clausole contrattuali, possa giungersi, di fatto, a svuotare la portata di tali principi.

Proprio a questo risultato, invece, condurrebbe il combinato disposto delle suddette clausole di cui alle lettere N) ed O), ed in particolare la prima (in forza della quale il Consorzio Gaia si impegnava a mantenere il V. “nella posizione di Amministratore delegato per tutta la durata del rapporto di lavoro”, quindi a tempo indeterminato, non rinvenendosi nel contratto di lavoro de quo alcuna espressa apposizione di un termine), si pone in contrasto: 1) con l’art. 2381 c.c., comma 3, che impone al consiglio di amministrazione di determinare i limiti della delega e, quindi, anche la sua durata che, in mancanza di determinazione, deve ritenersi coincidente con quella dell’incarico gestorio; 2) con l’art. 2383 c.c., comma 2, per cui gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi; 3) con i citati artt. 2381 e 2383 c.c., che attribuiscono al consiglio di amministrazione ed all’assemblea, rispettivamente, il potere di conferimento delle deleghe e di nomina degli amministratori, mentre quella clausola pretende di vincolare a tempo indeterminato la società, e quindi l’Assemblea, il c.d.a. e la volontà dei rispettivi futuri componenti.

Il tenore testuale delle clausole sopra richiamate consente senz’altro l’interpretazione fornitane dal giudice a quo, ricordandosi, peraltro, che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, essa non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili: non è, pertanto, consentito, in questa sede al V. – che pretende di interpretare il richiamato assetto contrattuale come una pattuizione a contenuto meramente patrimoniale in ordine al trattamento retributivo da riconoscergli quale dirigente, “svolgesse, o meno, anche le funzioni di amministratore delegato” (cfr. pag. 18 del ricorso) – di dolersi del fatto che sia stata privilegiata la prima delle riportate interpretazioni (cfr. le già richiamate Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, n. 10891 del 2016).

Deve infine ricordarsi, per quanto più specificamente attinente al secondo motivo, che, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr. Cass. 22509 del 2014).

14. I motivi terzo, quarto, quinto e sesto del ricorso del V. investono la seconda, autonoma ratio decidendi posta dal Tribunale di Velletri a fondamento del decreto oggi impugnato, e cioè, come sintetizzato dal ricorrente, la ritenuta assenza di inadempimento imputabile alla Società Consorzio Gaia s.p.a..

Tali motivi sono inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse.

Infatti, va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr., ex aliis, Cass. 18.4.2017, n. 9752; Cass. 14.2.2012, n. 2108; Cass. 24.5.2006, n. 12372; Cass. 16.8.2006, n. 18170; Cass. 29.9.2005, n. 19161).

15. Venendosi all’esame dei ricorsi incidentale ed incidentale condizionato proposti dalla Società Consorzio Gaia s.p.a., rileva pregiudizialmente la Corte, quanto a quest’ultimo, che lo stesso, benchè certamente ammissibile, recando comunque una specifica censura nei confronti del decreto impugnato, proprio perchè espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento del ricorso principale deve considerarsi assorbito (cfr. Cass. nn. 3223 del 2017, 4787 del 2007).

16. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, rubricato “Insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 36, 112 e 115 c.p.c., nonchè del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99”, la Consorzio Gaia s.p.a. censura il decreto impugnato nella parte in cui ha respinto la propria domanda riconvenzionale – volta ad ottenere la condanna del V. alla restituzione, in suo favore, della somma di Euro 78.560,03, indebitamente percepita non essendogli dovute le maggiorazioni per il mancato raggiungimento del 120% degli obbiettivi come convenzionalmente pattuito – perchè “totalmente sfornita in atti (della prova) in ordine alla proposizione della domanda in sede di verifica da parte del giudice delegato oltre che per la mancata prova in atti dell’indebito pagamento”. Si assume, in particolare: 1) che ove il Tribunale di Velletri avesse inteso una improponibilità della domanda riconvenzionale in sede di giudizio di opposizione, allora avrebbe dovuto ritenere la propria istanza inammissibile o improcedibile, non già rigettarla; il) che nessun problema di prova poteva porsi, nè si pone, rispetto alle somme pretese in restituzione, trattandosi di quelle riguardanti il trattamento retributivo erroneamente adeguato ai sensi delle clausole di cui si è detto in precedenza e corrisposto al ricorrente come espressamente riconosciuto da quest’ultimo anche nel suo odierno ricorso.

La menzionata censura non merita accoglimento, rivelandosi sostanzialmente corretta la prima (carenza in atti della prova della proposizione della domanda in sede di verifica da parte del giudice delegato) delle due rationes decidendi utilizzate dal giudice a quo, atteso che, come già ritenuto da questa Corte, la L. Fall., art. 99 (cui rinvia il combinato disposto della L. n. 39 del 2004, art. 4-ter e del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 53, per la disciplina della formazione dello stato passivo nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza), nel testo, qui applicabile ratione temporis, novellato dapprima dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e successivamente dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso inequivocabilmente impugnatorio, esclude l’ammissibilità ivi di domande nuove, non proposte nel grado precedente (cfr. Cass. n. 6900 del 2010; in senso sostanzialmente analogo, vedi anche Cass. nn. 8929 del 2012, 9341 del 2012, 1857 del 2015).

A ciò va aggiunto che l’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (cfr. Cass. n. 15353 del 2010).

17. In conclusione, vanno rigettati il ricorso principale e quello incidentale, con assorbimento di quello incidentale condizionato, potendosi, altresì, procedere alla compensazione delle spese del giudizio di legittimità attesa la reciproca soccombenza.

PQM

 

rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dichiarando assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa tre le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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