Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14692 del 19/07/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. III, 19/07/2016, (ud. 16/02/2016, dep. 19/07/2016), n.14692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24814/2013 proposto da:

F.A.K., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI BANCHI NUOVI 39, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE JANNETTI DEL GRANDE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO ONOFRI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

H.F.O., B.I., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94/8, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNA FIORE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ENRICO BERTELLI LEONESIO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII

269, presso lo studio dell’avvocato CARLO TESTORI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA GIEBELMANN

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

T.G., IMMOBILIARE VILLA PROJECT MANAGEMENT SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 983/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 21/08/2012, R.G.N. 1104/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato FRANCESCO ONOFRI;

udito l’Avvocato LEONESIO BERTELLI;

udito l’Avvocato CARLO TESTORI;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2000 F.A.K. convenne dinanzi al Tribunale di Brescia, sezione di Salò, H.F.O. e B.I., esponendo:

-) di essere coltivatrice diretta di un fondo agricolo sito a (OMISSIS);

-) che tale fondo confinava con quello di proprietà di Z.M.;

-) di essere, di conseguenza, titolare del diritto di prelazione legale di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 1;

-) che Z.M. aveva alienato il proprio fondo ai convenuti, in violazione del suddetto diritto di prelazione.

Chiese pertanto l’accertamento del “valido esercizio del suo diritto di riscatto”.

2. I convenuti si costituirono, chiesero il rigetto della domanda, e comunque chiamarono in causa la venditrice Z.M., chiedendone la condanna al risarcimento del danno, nel caso di accoglimento della domanda attorea. Anche Z.M. si costituì, chiamando a sua volta in causa gli intermediari per il tramite dei quali venne conclusa la vendita, ovvero T.G. e la società Immobiliare Villa Project Management s.r.l., ai quali chiese di essere manlevata, in caso di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dai convenuti.

3. Il Tribunale di Brescia con sentenza 3.7.2006 n. 142 accolse la domanda. La Corte d’appello di Brescia invece, accogliendo il gravame dei convenuti H. – B., con sentenza 21.8.2012 n. 983 riformò la sentenza di primo grado e rigettò la domanda di riscatto.

La Corte d’appello ritenne che il fondo oggetto del contendere non avesse “una propria autonomia colturale e produttiva”, ed era anzi privo di attitudine alla coltivazione, perchè costituiva una pertinenza dell’immobile abitativo al cui ornamento e servizio era destinato.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da F.A.K., con ricorso fondato su tre motivi.

Hanno resistito con separati controricorsi Z.M. da un lato, H.F.O. e B.I. dall’altro.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7); sia dal vizio di insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto il fondo oggetto di giudizio un giardino di pertinenza dell’abitazione dei convenuti H. – B.. Soggiunge che quel fondo aveva, per contro, una “propria ed indiscutibile vocazione agricola ed una sua oggettiva autonomia rispetto alla pur attigua abitazione”. Sostiene che, per giungere alla opposta conclusione, la Corte d’appello avrebbe “completamente ignorato il quadro istruttorio documentale emerso” nelle fasi di merito.

La Corte d’appello avrebbe, in particolare, trascurato di considerare i seguenti elementi:

(a) la destinazione urbanistica del fondo era di “zona boschiva e di rispetto ecologico”, ovvero “limonaia”, ai sensi rispettivamente degli artt. 43 e 22 delle Norme Tecniche di Attuazione del piano regolatore del Comune di Toscolano, mentre la destinazione urbanistica dell’attigua abitazione era quella di “centro storico”, ai sensi dell’art. 16 delle suddette Norme Tecniche di Attuazione;

(b) il fondo è censito nel catasto terreni, mentre l’immobile in quello fabbricati;

(c) il fondo e la vicina abitazione erano stati venduti con due atti diversi e per due prezzi molto diversi;

(d) la limonaia presente sul fondo era soggetta ad un vincolo propter rem di immodificabilità, debitamente trascritto;

(e) nessuno degli elementi valorizzati dalla Corte d’appello (tra cui mancanza di acqua, piccole dimensioni, collegamento con la casa) era davvero decisivo per escludere la vocazione agricola del fondo, nè questa era stata esclusa dal consulente tecnico nominato d’ufficio nella fase cautelare del giudizio di merito;

(f) infine, da nessun elemento risultava che il fondo fosse adibito a giardino della vicina abitazione B. – H., al contrario di quanto ritenuto dalla Corte d’appello.

1.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge, il motivo è infondato. Infatti nella illustrazione di esso si censura unicamente un apprezzamento di fatto, vale a dire l’accertamento dell’uso cui era destinato il fondo.

1.3. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione, il motivo è inammissibile.

Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio, ovvero quello anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134) può sussistere solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

Questo vizio tuttavia non può dirsi sussistente solo perchè il giudice non abbia preso in esame, nella motivazione della sentenza, alcune fonti di prova: infatti il giudice di merito, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Ove il giudice di merito faccia ciò, la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice del merito.

Da questi principi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito. Il sindacato della Corte è infatti limitato a valutare se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.

Nel caso di specie, il giudice di merito ha motivato la propria decisione tenendo conto della destinazione urbanistica dei fondi (p. 8 della sentenza d’appello); ha esaminato le peculiarità del fondo (modalità di accesso, forma e destinazione: pp. 8-9); e ne ha escluso la autonomia colturale e produttiva.

Si tratta, dunque, d’una motivazione non inesistente, non illogica e non contraddittoria.

Stabilire, poi, se essa sia anche l’unica consentita dalle prove raccolte è questione non prospettabile in questa sede.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Anche col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7); sia dal vizio di insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Censura come “illogici” ed “infondati” i tre argomenti posti dalla Corte d’appello a fondamento della decisione, ovvero:

-) per accedere al fondo si può passare solo dalla casa dei convenuti;

-) il fondo è recintato;

-) il fondo è di ridotte dimensioni.

Tali argomenti sarebbero illogici, spiega la ricorrente, in quanto un accesso si poteva sempre creare; che il fondo fosse recintato nulla rileva; la destinazione agricola prescinde dalle dimensioni del fondo.

2.2. Anche questo motivo di ricorso, come il precedente, è infondato nella parte in cui lamenta la violazione di legge; ed inammissibile nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione, per le medesime ragioni indicate al par. 1.3 della presente decisione.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7);

Deduce che le dimensioni del fondo da riscattare rilevano non di per sè, ma in aggiunta a quelle del fondo del prelazionario. Pertanto la Corte d’appello sarebbe incorsa in un errore di diritto, là dove ha ritenuto decisive, per escludere il diritto di prelazione e di riscatto, le “modeste dimensioni” del fondo da riscattare, senza tenere conto delle dimensioni del fondo di proprietà della retraente.

3.2. Il motivo è infondato, perchè ravvisa nella sentenza impugnata una ratio decidendi diversa da quella effettiva.

Le dimensioni del fondo, infatti, sono state uno soltanto degli argomenti usati dalla Corte d’appello per escludere l’autonomia colturale e produttiva del fondo in contestazione e per affermarne la qualificabilità in termini di pertinenza. Sicchè, anche a prescindere da qualsiasi qualificazione della relativa questione come giudizio di fatto (non censurabile in questa sede) o di diritto (censurabile in questa sede), la motivazione della sentenza impugnata resterebbe idonea a sorreggere la decisione quand’anche si espungesse dal suo contenuto il riferimento alle dimensioni del fondo.

Infine, v’è da rilevare come non appaiano decisivi i due precedenti di questa Corte invocati dalla ricorrente (ovvero Cass. 24..2012 n. 12893 e Cass. 22.4.2013 n. 9737), in quanto ambedue quei precedenti avevano ad oggetto vicende in cui – come correttamente rilevato dal Procuratore Generale – si controverteva sulla sussistenza del requisito della capacità lavorativa del retraente, non delle caratteristiche del fondo.

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

4.2. Il ricorso è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013.

E’ dunque obbligo di questa Corte dare atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento da parte del ricorrente del doppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Infatti, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

-) condanna F.A.K. alla rifusione in favore di H.F.O. e B.I., in solido, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 3.100, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

-) condanna F.A.K. alla rifusione in favore di Z.M. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 3.100, di cui Eurio 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di F.A.K. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA