Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14692 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14692 Anno 2015
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 12079-2014 proposto da:
BERTI LORENZO C.F.BRTLNZ59B28H294E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avv. GENNARO
LUPO;
– ricorrente contro

2015
1081

ORDINE PSICOLOGI EMILIA ROMAGNA 2.I.92032490374 IN
PERSONA

DEL

PRESIDENTE

P.T.,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio
dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 14/07/2015

dall’avvocato FEDERICO GUALANDI;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 23/2014 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 17/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MANNA;
udito

l’Avvocato

Lupo

Gennaro

difensore

del

ricorrente che si riporta alle difese esposte ed in
atti;
udito l’Avv. Barone Anselmo con delega depositata in
udienza dell’Avv. Gualandi Federico difensore del
ricorrente che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, comunque infondato..

udienza del 08/04/2015 dal Consigliere Dott. FELICE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Dalla sola pronuncia impugnata si apprende che “con la sentenza n.
2457/13 (…) il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso presentato dal dott.
Lorenzo Berti contro la delibera dell’Ordine degli psicologi della Regione

sospensione per mesi sei per violazione dell’art. 28 del Codice deontologico”.
Proposto appello dal Berti, la Corte distrettuale bolognese confermava la
decisione di prime cure.
Osservava la Corte territoriale che era pacifico e incontroverso che
l’illecito disciplinare ascritto al Berti consisteva nel non aver evitato, in
violazione della precitata norma deontologica, commistioni tra il ruolo
professionale e la vita privata, tali da interferire con quest’ultima o comunque
arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Nel particolare, le
stesse argomentazioni difensive dell’appellante, che aveva qualificato come
riservato e segreto il suo rapporto con la dr.ssa Guerra, sua paziente,
confermavano l’oggettività del fatto, vale a dire l’esistenza tra i due di una
relazione sia professionale sia affettiva. Pertanto, a prescindere da ogni
questione di fatto sul carattere successivo o diacronico dell’una e dell’altra,
l’indistinguibile commistione tra i due ruoli assunti dal Berti era stata
talmente evidente che lo stesso appellante aveva candidamente ammesso che
ancora nel 2006 il suo rapporto con la collega “non era terapeutico ma
[comunque] legato alla sfera professionale e, forse, alla sfera sentimentale”.
Affermazione, questa, che fugava ogni possibile dubbio non solo sulla

confusione dei ruoli assunti, ma anche sulla totale assenza di una vera e
propria soluzione di continuità nel passaggio dall’uno all’altro.
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Emilia Romagna con cui è stata inflitta la sanzione disciplinare della

Osservava, poi, che era ampiamente giustificata la misura della sanzione
irrogata, consistente nella sospensione dall’esercizio della professione per
mesi sei; che erano inesistenti le lamentate violazioni del procedimento
disciplinare, essendo stato posto il Berti nelle condizioni di espletare con

meramente facoltativa; che del tutto infondata era la doglianza relativa
all’acquisizione probatoria nella fase “dibattimentale” svoltasi innanzi alla
Commissione deontologica, giacché quest’ultima aveva operato su delega
conferita dal Consiglio dell’Ordine, rimasto titolare della potestà decisoria in
materia disciplinare; e che l’eccepita prescrizione dell’illecito disciplinare era
da escludersi perché l’appellante aveva sostanzialmente ammesso la
permanenza del fatto fino al 2006.
Per la cassazione di tale sentenza Lorenzo Betti propone ricorso, affidato a
sette motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.
Resiste con controricorso il Consiglio dell’Ordine degli psicologi della
Regione Emilia Romagna.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso è inammissibile per assoluta mancanza del requisito della
sommaria esposizione dei fatti di causa, previsto dall’art. 366, primo comma
n. 3 c.p.c.
Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per
cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del
contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non
può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il
ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di
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pienezza il proprio diritto di difesa; che l’audizione nella fase preliminare era

riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso
l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso
per cassazione (Cass. S.U. n. 11308/14).
Né il requisito in oggetto può essere desunto da altre fonti o da altri atti del

contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”,
sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato
e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione
(Cass. n. 16315/07); così come neppure esso può essere desunto per
estrapolazione dall’illustrazione dei motivi (Cass. nn. 784/14 e 21260/14).
1.1. – Nella specie, il ricorso, subito dopo l’intestazione e l’indicazione del
provvedimento impugnato e degli estremi della parte ricorrente, contiene
l’enucleazione dei motivi di doglianza, senza la benché minima esposizione
del procedimento disciplinare e dei fatti che vi hanno dato origine. Sicché
l’unico documento da cui è possibile trarre le premesse di carattere storico
della controversia è costituito dalla stessa e dalla sola sentenza impugnata.
2. – Pertanto, per i superiori principi va dichiarata l’inammissibilità del
ricorso, restando conseguentemente assorbito l’esame dei motivi di censura.
3. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della
parte ricorrente.
4. – Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma l-quater D.P.R. n.
115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, per il raddoppio del
pagamento del contributo unificato versato a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
P. Q. M.
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processo, ivi compresa la sentenza impugnata, essendo indispensabile che dal

..t

,

..

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente
alle spese, che liquida in C 3.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese
forfe-ttarie e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1,

versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, 1’8.4.2015.

comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il

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