Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14692 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

W.L., rappr. e dif. dall’avv. Marco Lanzilao,

marcolanzilao.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio

dello stesso in Roma, viale Angelico n. 38, come da procura spillata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Roma 16.1.2019, n. 282/2019, in

R.G. 3028/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 19.2.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. W.L. impugna la sentenza App. Roma 16.1.2019, n. 282/2019, in R.G. 3028/2017, che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 13.4.2017 reiettiva del ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. la corte, premessa la mancanza di violazioni del contraddittorio avanti al tribunale, per essere stato il ricorrente sentito anche in quella sede e il ricorso alle fonti internazionali (sito del Ministero degli esteri), ha così: a) escluso che, anche in ragione della non credibilità e contraddittorietà del narrato, risultassero persecuzioni, nonchè pericoli di danno grave, in relazione ai denunciati ostacoli all’esercizio del culto (OMISSIS) asseritamente professato e combattuto dalle autorità della (OMISSIS) e confusamente riferito dalla parte (con mutamento della confessione avanti al tribunale, nel senso di seguire la (OMISSIS) e non più quella (OMISSIS)); b) osservato che il richiedente non avrebbe subito rischi di persecuzione o gravi danni, nè per causa religiosa, nè per orientamento politico, nè in conseguenza di supposto conflitto armato, circostanze mai esposte avanti alla Commissione; c) ritenuto l’inesistenza di impedimenti alla professione religiosa connessi al rientro in (OMISSIS); d) negato il diritto alla protezione umanitaria, per insufficiente prova di una particolare vulnerabilità;

3. il ricorso descrive quattro motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta l’errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente per la valutazione delle sue condizioni personali, contravvenendo i giudici nella sentenza al dovere di esaminare d’ufficio il timore espresso rispetto al sistema Paese; con il secondo motivo si enuncia l’errato esame della condizione di persecuzione religiosa in (OMISSIS), per la contraddizione tra le affermazioni generali riportate e i riflessi sul richiedente, non considerati; con il terzo motivo si avversa la mancata concessione della protezione sussidiaria, in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di provenienza, stante l’insicurezza individuale per i perseguitati religiosi in (OMISSIS); con il quarto motivo si contesta, anche come vizio di motivazione, la mancata valutazione della condizione di persecuzione e pericolo in (OMISSIS), per l’esercizio dei citati culti domestici e così l’errato diniego dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 19;

2. i primi tre motivi, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la preliminare complessa valutazione sulla non credibilità del richiedente e sulla omessa prospettata individualizzazione di pericoli o gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dalla corte, non è avversata in modo specifico, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di pericoli o gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo del tutto generico – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione;

3. va invero ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, “non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione” (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); la corte ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso;

4. va invero ricordato, sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019);

5. in realtà la sentenza ha motivatamente e in via pregiudiziale dubitato dell’effettiva esposizione a rischi gravi cui sarebbe stato assoggettato il richiedente, dunque della sua potenziale ulteriore assoggettabilità ad altri rischi gravi, osservando il Collegio che “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie non positivamente integrata;

6. i motivi sono infatti ulteriormente inammissibili, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una pretesa generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato il Paese di provenienza e dalla quale, di per sè, scaturirebbero i rischi gravi per il ricorrente, esclusi dalla corte – con apprezzamento di fatto insindacabile ed anche a volerne prospettare la non contraddittorietà – altresì per difetto di sicura pregressa attività nella professione di fede religiosa, non attendibilità delle circostanze di espatrio, genericità dei riferimenti e senza alcuna allegazione di coinvolgimento più diretto; escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 la corte ha in particolare, nella sostanza, negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.;

7. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quarto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla corte, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il rinvio alle difficoltà connesse al rientro e, prima ancora, incertamente legate all’espatrio; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dalla corte; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

8. invero, l’intrinseca inattendibilità del racconto del richiedente, affermata dai giudici di merito, costituisce, nella peculiare fattispecie, altresì motivo sufficiente per negare anche la protezione umanitaria (Cass. 16925/ 2018; Cass. 4455/2018, parag. 7; Cass. 27438/2016), essa rendendo comunque impossibile una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente (del tutto incerta e non creduta) con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 1088/2020), che nella specie – come detto – è stata giudicata irrilevante (perchè non allegata e provata) oltre che insufficiente di per sè a prestarsi ad unico elemento comparativo, in difetto di altri elementi di vulnerabilità;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass.9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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