Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14691 del 14/07/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14691 Anno 2015
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: FALASCHI MILENA

Scaglione — art. 6
TE — Valore della
controversia

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 23875/09) proposto da:
AVV.TO MARTINO RINALDO, rappresentato e difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c. ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvio Alessandra Amoresano in Roma, via della
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Farnesina n. 355;
– ricorrente –

contro
FINILEASING s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avvio Luigi Raucci del foro di Milano, in virtù di procura speciale apposta in calce al
a

controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to Carlo Carrieri in Roma, via
Luigi Rizzo n. 36;

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– controricorrente e ricorrente incidentale-

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Data pubblicazione: 14/07/2015

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1467 depositata il 22 maggio 2009 e
notificata il 14 luglio 2009.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 marzo 2015 dal

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio
Capasso, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi uno, tre e quattro per quanto di ragione,
assorbito il secondo motivo del ricorso principale; inammissibilità del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4 aprile 2001 la FINILEASING s.r.l. proponeva opposizione,
dinanzi al Tribunale di Milano, avverso i decreti ingiuntivi nn. 3448/01 e 3449/01 emessi dal
Presidente dello stesso ufficio in favore dell’Avv.to Rinaldo MARTINO per prestazioni
professionali rese con l’assistenza in due giudizi, deducendo l’assoluta incongruità dei compensi
liquidati, per cui ne chiedeva la determinazione giudiziale, da compensarsi con le somme dovute
dall’opposto a titolo di risarcimento dei danni causati in conseguenza di colpa professionale nella
gestione delle liti di cui ai decreti e altra contro il Condominio Brasile.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’ingiungente, il Tribunale adito, con sentenza del
29.12.2004, accoglieva l’opposizione e revocati i decreti ingiuntivi, disponeva il compenso
professionale dovuto dall’opposto per i titoli dedotti in giudizio sulla base dei criteri esposti in parte

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

motiva, rigettava le restanti domande, con compensazione delle spese di lite.
In virtù di rituale appello interposto dall’Avv.to MARTINO, con il quale denunciava diversi errori in
cui era incorso il giudice di prime cure, specificamente con riferimento alla somma portata nel
decreto ingiuntivo n. 3448/01, la Corte di appello di Milano, nella resistenza della società
appellata, la quale proponeva anche appello incidentale quanto alla responsabilità dell’appellante
.:

per carente, imperita o negligente attività svolta, accoglieva parzialmente l’appello principale,

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rigettato quello incidentale, e in riforma parziale della decisione di prime cure, condannava
l’appellata alla corresponsione, con riferimento al giudizio di cui al decreto ingiuntivo n. 3448/01,
della somma di £. 1.790.000 per onorari del procedimento ai sensi dell’art. 703 c.p.c., di £.

1.374.600 per spese; con riferimento al giudizio di cui al decreto ingiuntivo n. 3449/01,
dell’importo di £. 212.500 per onorari relativi a ‘ricerca documenti’, di £. 953.600 per anticipazioni
e spese, di E. 245.800 per spese di liquidazione della parcella, compensate anche le spese del
giudizio di impugnazione.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale — premesso che la disamina delle diverse
censure veniva riferita separando i pretesi crediti rispetto ai due decreti ingiuntivi oggetto di
opposizione – evidenziava che con riguardo al d.i. n. 3448/01 correttamente il giudice di prime
cure aveva determinato i compensi scegliendo lo scaglione tariffario fino a E. 500 milioni, tenuto
conto del valore della domanda (inibitoria di modificazione edilizia di un locale magazzino e
riduzione in pristino), non essendo un criterio in contraddizione con quelli enunciati nel codice di
rito, cui rinviava l’art. 6 della T.P., ma integrativo dei medesimi. Gli elementi a tal fine considerati
erano il valore dell’immobile oggetto della controversia (£. 270 milioni) e l’importo dei lavori di
ristrutturazione (circa E. 250 milioni) che sarebbero stati vanificati da un provvedimento di
riduzione in pristino dello stesso, effettuata una valutazione complessiva ed approssimativa dei
dati economici e non matematica, trattandosi pur sempre di criteri puramente indicativi. Né al
riguardo incidevano le domande della controparte Finileasing considerato che dall’atto di
compravendita risultava essere stato acquistato un immobile definito ‘magazzino sotterraneo di
due locali’ e d’altro canto tale destinazione non sarebbe stata in alcun modo compromessa
dall’accoglimento delle pretese del Condominio, per cui l’accoglimento non avrebbe inciso sul
valore dell’immobile indicato nel contratto, ma solo sul tentativo della proprietaria di incrementarlo
in conseguenza del mutamento di destinazione. Del tutto inconsistente veniva definita la pretesa

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467.500 per onorari relativi a ‘ricerca documenti’, di £. 993.000 per le anticipazioni e di E.

del . professionista di considerare il tenore del ricorso ex art. 700 c.p.c., che indicava in oltre un
miliardo di lire il valore delle obbligazioni assunte dalla Finileasing per le opere di ristrutturazione
e di cambio di destinazione d’uso dei locali de quibus non trattandosi di elementi certi ed oggettivi,

Né erano addotte specifiche ragioni dell’erroneità della determinazione di applicare i valori
intermedi tra i minimi e i massimi previsti, essendo stati dal giudicante esplicitati i consueti
parametri valutativi (natura della controversia, grado di difficoltà, risultati del giudizio). Non veniva,
inoltre, ritenuta una vera e propria contestazione quella concernente la liquidazione degli onorari
relativi al procedimento ex art. 703 c.p.c., di cui veniva corretto solo l’errore materiale di calcolo.
Dovevano, di converso, trovare accoglimento tutte le censure relative a specifiche voci, come
sopra riportate, in difetto di specifica contestazione della controparte.
Per quanto atteneva al di n. 3449/01, osservava la corte di merito che correttamente il giudice di
prime cure non aveva proceduto alla sommatoria di tutte le domande, dirette, riconvenzionali e
cautelari — come richiesto dall’appellante — e ciò in patente contrasto con la giurisprudenza di
legittimità, per la quale il valore della controversia andava fissato sul disputatum ovvero del
decisum in caso di accoglimento parziale della domanda, liquidata la parcella sulla base dello
scaglione compreso tra £. 100.000.001 e £. 200.000.000 (ben lontano dagli oltre £. 430.000.000
risultanti dalla sommatoria delle domande). Né poteva essere emessa pronuncia sulla domanda
riconvenzionale dell’appellante per assistenza prestata alla società appellata nella causa che
vedeva quest’ultima opposta al Condominio Brasile, stante la sua posizione sostanziale di attore.
Invece dovevano, anche per il suddetto d.i., trovare accoglimento tutte le censure relative a
specifiche voci, come sopra riportate, in difetto di specifica contestazione della controparte.
Infine non poteva trovare accoglimento l’appello incidentale non costituendo colpa professionale
la mancata eccezione di difetto di competenza del giudice adito ex art. 703 c.p.c., prontamente
rilevato dal giudice istruttore, essendo nella discrezionalità del difensore valutare l’opportunità — in

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oltre a non avere contenuto confessorio rispetto al professionista che ne patrocinava la difesa.

termini di economia di giudizio — di discutere il ricorso dinanzi allo stesso giudice investito della
cognizione della controversia principale. Né detta responsabilità poteva essere ricondotta alla
mancata comunicazione alla mandante della disponibilità di Edilnova di accettare la proposta

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione il
MARTINO, sulla base di quattro motivi, cui ha replicato con controricorso la F1N1LEASING,
contenente anche ricorso incidentale, affidato ad un motivo; anche parte ricorrente ha resistito al
ricorso incidentale con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 10
c.p.c. e dell’art. 6, commi 2 e 4, della Tariffa professionale, nonché vizio di motivazione, con
riferimento al capo della sentenza impugnata relativo alla determinazione del valore della
controversia di cui al decreto ingiuntivo n. 3448/01. Premesso che il d.i. atteneva all’attività svolta
dal ricorrente nel giudizio promosso avanti al Tribunale di Milano dal Condominio Manara nei suoi
confronti e che aveva comportato anche due procedimenti ex art. 700 c.p.c. instaurati in corso di
causa, si duole che la corte di merito nel determinare il valore della controversia abbia ritenuto di
trovare sostegno nella decisione a SS.UU. della Corte di legittimità n. 19014 del 2007, che di
converso atteneva a diversa fattispecie, non considerando che nel caso de quo trattasi di
liquidazione degli onorari spettanti al difensore da parte della sua stessa cliente, quasi totalmente
vittoriosa, laddove l’art. 6, comma 4, della T.P. prevede che nella liquidazione deve aversi
riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti, perciò anche delle
domande riconvenzionali, come quella formulata dalla Finileasing. Prosegue il ricorrente che
l’accoglimento delle domande del Condominio Manara avrebbe comportato per la società da lui
assistita una perdita economica ben superiore al valore indicato nello scaglione utilizzato a

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transattiva formulata dal giudice, in mancanza di un danno.

parametro per la liquidazione delle sue competenze di £. 500.000.000, dichiarato nel ricorso ex
art. 700 c.p.c. dalla stessa società in misura superiore al miliardo di valore. L’illustrazione del
mezzo è conclusa dalla formulazione del seguente quesito di diritto: «- se il valore effettivo della

debba essere determinato avendo riguardo al valore della domanda proposta dall’attore nel
momento iniziale della lite (calcolato secondo il disposto dell’art. 10 c.p.c.) e tenendo conto dei
diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti ai sensi dei commi 2 e 4 dell’art. 6 della
tariffa forense; – se la Corte di appello non abbia errato nel determinare il valore della controversia
de qua ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente facendo riferimento solamento a
due elementi economici (e precisamente al valore dell’immobile di £. 270.000.000 ed al costo dei
lavori di ristrutturazione per £. 250.000.000), omettendo invece di considerare sia numerosi altri
elementi economici (certi nell’an i ma valutabili anche nel quantum) quali quelli retro indicati da 1 a
5 alle pagine 47 e 48 e sia le domande riconvenzionali proposte dalla stessa Finileasing in
comparsa di risposta e nelle conclusioni finali per complessive £. 87.923.172; – se una
valutazione monetaria seppur complessiva ed approssimata dei precitati elementi economici non
avesse consentito di riportare il valore della causa nello scaglio da £. 500.000.001 a £.
1.000.000.000, dal momento che era stato disatteso dal giudice di primo grado e ricondotto nello
scaglione inferiore per difetto di una sola lira; – se una volta ricondotto il valore della causa nello
scaglione applicato nella procedura monitoria, non debba essere ritenuta erronea la disposta

causa, ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all’avvocato nei confronti del cliente, non

revoca del decreto ingiuntivo e non debba essere pertanto riformata la sentenza impugnata con
la conferma del decreto ingiuntivo opposto e con la ritenuta caducazione delle prime 4 voci di
spese attribuite dalla Corte di appello all’Avv. Martino in parziale riforma della sentenza di primo
grado”.
La censura non merita accoglimento rispetto a nessuno dei profili dedotti.

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Secondo la più recente giurisprudenza di questa corte, sulla base di una lettura del D.M. 8 aprile
2004, n. 127, art. 6, comma 2, adeguatamente coordinata con quella del quarto comma (per il
quale nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo

dalle parti), si è affermato e consolidato il principio, di generale applicazione (v. in particolare
Cass. 8 febbraio 2012 n. 1805; Cass. 31 maggio 2010 n. 13229; Cass. 11 luglio 2006 n. 15685),
secondo il quale, nei rapporti tra avvocato e cliente (diversamente che ai fini della liquidazione
delle spese a carico della parte soccombente, nei quali, ai sensi del comma 1, il valore della lite si
determina secondo i criteri codicistici, salva l’adozione di quello del decisum, nelle cause di
pagamento e risarcimento di danni), sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli
onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta
sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito.
Tale interpretazione, aderente al criterio finalistico, secondo cui il dato letterale va
opportunamente coordinato con la ricerca dell’intenzione del legislatore (art. 12 preleggi, comma
1, u.p.), deve ritenersi preferibile, siccome più aderente all’esigenza cui il combinato disposto
delle due norme tariffarie risulta palesemente improntato, vale a dire all’osservanza di quel
“principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera
professionale effettivamente prestata”, che le Sezioni Unite di questa corte (sent. 11 settembre
u

2001 n. 19014) hanno ritenuto appunto desumibile dall’interpretazione sistematica delle
disposizioni in questione.
La portata generale di tale principio informatore della materia risulterebbe palesemente frustrata
dalla accezione ermeneutica proposta nel motivo di ricorso, che prospettando la mera
:

sommatoria di tutte le domande introdotte nel giudizio di opposizione da entrambe le parti,
escluderebbe ogni possibilità, da parte del giudice, di porre rimedio a quelle situazioni, ricorrenti
nella pratica giudiziaria, caratterizzate dall’evidente

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sproporzione tra pretese economiche

della controversia deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti

manifestamente esorbitanti ed il valore effettivo del bene o della prestazione controversi. è da
ritenersi, pertanto, che nel richiamo al “valore presunto a norma del codice di procedura civile”, la
disposizione tariffaria abbia semplicemente inteso riferirsi a tutte le regole dettate dal codice di

cause relative a somme di danaro o beni mobili, per la determinazione del valore della
controversia, attribuendo al giudice una generale facoltà discrezionale, ove ravvisi la suesposta
manifesta sproporzione tra il formale petitum e l’effettivo valore della controversia, desumibile dai
sostanziali interessi in contrasto, di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della
prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia (Cass. n. 7807 del
2013; ma anche Cass. n. 23809 del 2012 e Cass. n. 1805 del 2012).
Detto principio ha trovato corretta applicazione da parte del giudice a quo nella liquidazione degli
onorari spettanti al ricorrente, avendo fatto riferimento al complessivo valore delle questioni
sottoposte all’esame del giudice e, quindi, allo scaglione della tariffa professionale relativa alle
controversie di valore pari a quello cosi determinato, e non anche a quello, concernente le cause
di valore superiore, rapportato alla diversa e maggiore entità dell’intera vicenda, poiché l’attività
da remunerare, ossia l’opera intellettuale prestata, ha avuto ad oggetto detta parte del rapporto
controverso, seppure dedotto sotto diverse ottiche, anche in riferimento all’entità del risultato
pratico conseguito all’esito dalle parti. Nè è ravvisabile la denunziata contraddizione tra
l’espresso richiamo all’obbligatoria applicazione della tariffa professionale ed il ricorso a criteri

rito, ivi compresa quella ex artt. 10 e 14, correlata all’indicazione del quantum nella domanda nelle

equitativi di valutazione rapportati alle caratteristiche dell’opera prestata – entità qualitativa e
quantitativa – ove, come nella specie, tali criteri abbiano avuto ad oggetto non l’individuazione del
parametro di riferimento, precostituito ex lege e correttamente applicato, ma la determinazione in
concreto della misura del compenso. Entro siffatto ambito, invero, può legittimamente esprimersi
il potere discrezionale di liquidazione attribuito al giudice, che può aver luogo, secondo principi
ormai pacifici in materia, con il prudente apprezzamento di pertinenti elementi di giudizio quali

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l’oggetto ed il valore della controversia, la natura e l’importanza della controversia, la valutazione
in fatto e in diritto della vicenda, il tempo e l’impegno resi necessari dall’uno e dall’altra, i risultati
del giudizio ed i vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti. Esattamente ciò che ha fatto la

risulta fondatamente censurabile sotto alcuno dei prospettati profili.
Del resto per i principi generali richiamati da questa Corte (v. Cass.20 gennaio 2003 n. 731 e
Cass. 27 gennaio 2003 n. 1202) la domanda riconvenzionale – non essendo proposta contro il
medesimo soggetto convenuto – non si cumula con la domanda principale dell’attore al fine di
determinare il valore della causa, ma può determinare l’applicazione dello scaglione di valore
superiore, se essa autonomamente supera il valore della domanda principale poiché la
proposizione di una domanda riconvenzionale amplia comunque il thema decidendum, con
conseguente esigenza di una maggior attività difensiva, pur non potendosi far luogo al cumulo
delle domande per la determinazione del valore della controversia, ai fini della liquidazione
dell’onorario, ma si deve valutare opportunamente l’attività in concreto svolta dall’avvocato nella
trattazione anche delle domande riconvenzionali, utilizzando il parametro correttivo del valore
effettivo della controversia (valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti), quando esso
risulti manifestamente diverso da quello presunto codicistico, ovvero il criterio suppletivo del
valore indeterminabile, quando non è possibile determinarlo in applicazione del c.p.c (di recente
v. Cass. 25 febbraio 2014 nn. 20302 e 4488).

Corte di appello di Milano con l’impugnato prowedimento che, per quanto sin qui rilevato, non

Per completezza argomentativa va, infine, osservato che la strumentalità del procedimento
cautelare rispetto al giudizio di cognizione comporta la correlazione tra il ricorso ex art. 700 c.p.c.
e la domanda di merito, rendendo necessario, nell’apprezzamento del valore dell’oggetto del
ricorso, tenere conto della pretesa di merito. A questo criterio la corte territoriale si è attenuta,
avendo, con motivazione sufficiente ed esente da vizi, accertato il valore, previa individuazione
dei criteri sopra illustrati, della natura della causa, in base alla specifica richiesta formulata in via

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di urgenza circa l’unità immobiliare posta a fondamento della domanda della misura cautelare,
nonché della domanda di merito proposta.
Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione o falsa applicazione —

commi 1, 2 e 3,6, commi 2 e 4 della Tariffa professionale di cui al D.M. n. 585 del 1994 e al D.M.
n. 127 del 2004, oltre a vizio di motivazione per avere la corte di merito liquidato gli onerari nella
misura mediana tra i minimi ed i massimi dello scaglione applicato, senza tenere in alcun conto
della reale consistenza della controversia che non si limitava ad una anonima vertenza sul
mutamento di destinazione d’uso di entità immobiliari. A conclusione del mezzo viene posto il
seguente quesito di diritto: “- se nella liquidazione degli onorari a carico del cliente non si debba
tener conto della natura e del valore della controversia, dell’importanza e del numero delle
questioni trattate, dell’attività svolta dall’avvocato davanti al giudice, nonché dei risultati del
giudizio e dei vantaggi anche non patrimoniali conseguiti nonché del valore effettivo della
controversia costituito dal valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti ai sensi dei commi 1, 2
e 3 dell’art. 5 e dei commi 2 e 4 dell’art. 6 della tariffa forense; – se la Corte di appello non abbia
errato nel confermare i predetti capi della sentenza di primo grado per le ragioni tutte retro
esposte; – se la sentenza impugnata non debba essere pertanto riformata per violazione dei
principi di ragionevolezza e di proporzionalità nonché di adeguatezza del compenso
all’importanza dell’opera prestata e al decoro della professione per aver da un lato riconosciuto
che il valore della causa corrispondeva al valore massimo dello scaglione applicato (benché non
corrispondente a quello reale che era quello immediatamente superiore) e per aver da un altro
lato liquidato gli onorari a carico del cliente nella misura corrispondente alla media matematica fra
i massimi e i minimi di detto scaglione già erroneamente ridotto; – se, nel negato caso di mancato
accoglimento del precedente motivo di impugnazione, la misura del compenso spettante al

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sempre con riferimento alla causa di cui al d.i. n. 3448/01 — dell’art. 2233 c.c. e degli artt. 5,

difensore della Finileasing non debba corrispondere quantomeno ai massimi dello scaglione
(seppure erratamente) applicato nel caso di specie’:

Il motivo prima che infondato appare inammissibile, atteso che la valutazione dell’importanza

rimessa puramente e semplicemente a questa corte, se non risulti specificamente dedotto in
quale violazione sarebbe incorso il giudice del merito nella determinazione del quantum. Siffatta
deduzione non è stata proposta nella fattispecie (cfr Cass. n. 875 del 2012 e Cass. n. 15814 del
2008). Infatti il ricorrente non ha dedotto nè provato in che termini le sue difese avevano
comportato una riduzione del quantum esborsato della sua assistita.

Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione — in
relazione alla causa di cui al d.i. n. 3449/01 — dell’art. 2233 c.c., degli artt. 10 e 14 c.p.c, nonché
dell’art. 6, commi 2 e 4 della tariffa forense di cui al D.M. n. 585 del 1994 e del D.M. n. 127 del
2004, nonché vizio di motivazione, per avere la corte di merito fatto applicazione nella
controversia de qua dello scaglione ricompreso fra £. 100.000.001 e £. 200.000.000 nonostante
la domanda attorea proposta dalla Edil Nuova s.n.c. nei confronti della Finileasing ammontasse a
£. 296.000.000 (di cui £. 105.000.000 per differenza ancora dovuta su fatture emesse per lavori
eseguiti e £. 191.000.000 a titolo di danni) e la convenuta avesse svolto domanda
riconvenzionale per £. 134.395.913, confondendo i criteri previsti dall’art. 6 della tariffa forense
con quelli stabiliti dagli artt. 10 e 14 c.p.c. e così condividendo il ragionamento del primo giudice
secondo cui le domande non si sommavano tra di loro. Prosegue il ricorrente principale che del
resto i giudici del merito non avevano neanche tenuto conto che la sola domanda attorea
comunque ammontava a £. 296.000.000. Aggiunge che il ridimensionamento del credito preteso
a £. 24.558.270 era stato determinato dall’attività professionale da lui svolta in qualità di difensore
della Finileasing. A corollario del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “- se il

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della causa ai fini considerati costituisce valutazione di merito, che dunque non può essere

valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari a carico della cliente, non debba essere
determinato in base alle norme di procedura civile dettate dall’art. 10 in genere e dall’art. 14 per
le cause relative a somme di denaro o beni immobili, avendo riguardo all’oggetto della domanda;

effettivo della controversia, per la cui determinazione deve tenersi conto del valore dei diversi
interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti (fra cui vanno annoverati anche quelli tutelati con
le domande riconvenzionali proposte dalla Finileasing) in conformità ai commi 2 e 4 dell’art. 6
della tariffa professionale; – se la Corte di appello non abbia errato nel determinare il valore della
controversia de qua ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente: -per avere utilizzato
a tal fine i criteri applicabili per la liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente -per
avere equiparato detti criteri che sono invece diversi per la liquidazione degli onorari a carico del
soccombente od a carico del cliente -per avere fatto ricorso al criterio del decisum (seppur
contemperato col principio di adeguatezza e di proporzionalità) in luogo del criterio del
disputatum (ossia di quanto richiesto dall’attore nell’atto di citazione e di quanto aggiunto dal
convenuto nella comparsa di risposta con le domande riconvenzionali) -per avere determinato
così fra £. 50 e £. 100 milioni il valore della controversia (applicabile ai fini della liquidazione degli
onorari a carico del soccombente), mentre per la liquidazione degli onorari a carico della cliente il
valore della controversia ammontava a £. 430.395.913 (sicchè lo scaglione di valore fra £. 100 e
£. 200 milioni applicato nelle specifiche pro forma era inferiore a quello reale e non poteva
pertanto essere modificato in pejus con l’aggravante della revoca del decreto ingiuntivo opposto)
-per avere infine reso la misura del compenso spettante all’Avv. Martino inadeguata
all’importanza dell’opera e al decoro della professione in violazione dell’art 2233 c.c.; – se, una
volta ricondotto il valore della causa nello scaglione applicato nella procedura monitoria, non
debba essere ritenuta erronea la disposta revoca del decreto ingiuntivo opposto e non debba
essere pertanto riformata la decisione impugnata con la conferma del decreto ingiuntivo opposto

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– se nella liquidazione degli onorari a carico del cliente non possa aversi riguardo anche al valore

e con la ritenuta caducazione, per assorbimento nell’importo ingiunto delle ultimi tre voci di spesa
attribuite dalla Corte di appello all’Avv. Rinaldo Martino in parziale riforma della sentenza di primo
grado”.

E’ pur vero che in tema di liquidazione del compenso dovuto dal cliente al difensore in
corrispettivo dell’attività di patrocinio da costui prestatagli è da ritenere che, di massima, la
determinazione di detto compenso debba essere operata avendo riguardo al valore della
controversia nella quale la remuneranda opera del professionista è stata espletata, individuando
sulla base dei criteri stabiliti negli artt. 10 e ss. del codice di rito (cfr., in tal senso già Cass. n. 732
del 23 gennaio 1995 e Cass. n. 3996 del 2010), giacchè nel quadro dei rapporti fra il cliente e il
difensore deve valere la regola, dettata dall’art. 2233, comma 2, c.c. per la quale la misura del
compenso deve essere adeguata all’importanza dell’attività richiesta al professionista e da questo
espletata.

Precisato quanto sopra e ribadita la non cumulabilità delle contrapposte domande formulate dalle
parti (cfr Cass. n. 1202 del 2003 cit.), in diritto, è noto che il giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo ex art. 645 c.p.c. (dalla ormai risalente sentenza a SS.UU. 7 luglio 1993 n. 7448) è
ricostruito come ordinario giudizio di cognizione in cui l’opposto è attore in senso sostanziale e

Ve.

l’opponente è convenuto in senso sostanziale, per cui avendo nella specie il ricorrente prestato il
patrocinio in favore della resistente in giudizio che la vedeva intimata dal Condominio per il
pagamento della somma di £. 296.000.000 (cifra pretesa in monitorio), ha tenuto conto anche del
valore delle domande riconvenzionali (cfr. Cass. 3 luglio 1991 n. 7275), formulate dalla
Finileasing (già Edilnova) con la proposizione dell’opposizione, ai soli fini dei principi di effettività

e proporzionalità cui sono, nel loro complesso, improntate le regole di cui il D.M. 5 ottobre 1994,
n. 585, art. 5, e art. 6, commi 2 e 4. Con !a conseguenza che per l’individuazione dello scaglione

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Anche detta doglianza non può trovare ingresso.

tariffario applicabile assume decisiva rilevanza il criterio dell’effettivo valore della controversia,
desumibile dal decisum (Cass. n. 226 del 2011; Casa. n. 3996 del 2010 cit.; Cass. n. 3560 del
o

da

quello

comunque

definito

(Casa.

n.

17354

del

2002).

-.:

Risulta, peraltro, che nella specie l’attività in concreto svolta dall’avvocato ha comportato la

condanna finale della società assistita al pagamento di sole £. 24.558.270, e ciò è stato
essenzialmente valorizzato in riferimento alla natura della controversia ed al numero ed
importanza delle questioni trattate.

Pertanto, correttamente i giudici di appello hanno desunto il valore della controversia dalla
portata della domanda attorea, stante la riscontrata sussistenza di una esposizione debitoria ben
minore dell’intimata, frutto delle difese svolte dal ricorrente.

Il quarto ed ultimo motivo del ricorso principale — con il quale il MARTINO lamenta la
violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. nella formulazione riformata dall’art. 18 legge n.
353 del 1990, oltre a vizio di motivazione, per non avere la corte di merito esaminato la sua
domanda riconvenzionale pure tempestivamente introdotta con la comparsa di risposta — pone il
seguente quesito di diritto: “Se nel caso di specie la dichiarazione di inammissibilità della
domanda riconvenzionale che è stata proposta dall’Avv. Martino (ai fini della liquidazione del
compenso spettante gli per l’attività difensiva svolta nella causa Finileasing Cond. Brasile nella
determinata misura di £. 5.353.645) in conseguenza della domanda riconvenzionale formulata da
Finileasing nell’atto di citazione in opposizione e diretta ad ottenere il risarcimento dei danni
asseritamente subiti per colpa professionale del proprio difensore, non costituisca violazione
dell’art. 183 c.p.c. nella formulazione vigente al tempo della causa e se pertanto la sentenza
impugnata non debba essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano,
affinché provveda alla liquidazione di spese, competenze ed onorari spettanti all’Avv. Martino in
relazione alla causa Flnileasing/Cond. Brasile”.

14

1990)

Il motivo è fondato.
Come questa Corte regolatrice ha avuto più volte modo di affermare, nell’ordinario giudizio di
cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo solo l’opponente, nella

l’opposto che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse
da quelle fatte valere con l’ingiunzione. A tale principio deve peraltro logicamente derogarsi
quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a
trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, non potendo in tal caso negarsi al
medesimo il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte mediante la
(eventuale) proposizione di una reconventio reconventionis (v. Cass. 4 ottobre 2013 n. 22754;
Cass. 29 settembre 2006 n. 21245; Cass. 7 febbraio 2006 n. 2529; Cass. 17 settembre 2004 n.
18767; Cass. 18 giugno 2004 n. 11415; Cass. 20 novembre 2002 n. 16331; Cass. 29 luglio 2002
n. 11180; Cass. 9 ottobre 2000 n. 13445. Contra, per l’assolutamente minoritario orientamento
secondo cui nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo solo l’opponente, sostanzialmente
convenuto, può proporre domande riconvenzionali, mentre l’opposto, sostanzialmente attore, non
può proporre domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, sicché non viola gli artt.
112 e 277 c.p.c. Il giudice che non pronunci su una domanda riconvenzionale proposta
dall’opposto, perché essa è inammissibile, v. peraltro Cass. 25 marzo 1999 n. 2820; Cass. 29
novembre 2002 n. 16957).
Tale principio, che merita di essere anche nel caso confermato, risulta invero disatteso
nell’impugnata sentenza, laddove pur sussistendo evidente interdipendenza fra la domanda
riconvenzionale della resistente e quella del ricorrente, avendo ad oggetto il medesimo giudizio
possessorio ex art. 703 c.p.c. (proposto dal Condominio Manara), ha erroneamente equiparato le
sorti della domanda riconvenzionale e della reconventio reconventionis.

15

sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, e non anche

Venendo all’esame del ricorso incidentale, le considerazioni svolte con riferimento al terzo
ed quarto motivo del ricorso principale quanto alla natura del giudizio di opposizione, comportano
la fondatezza dell’unico motivo — corredato da idoneo quesito di diritto (“1) Se la Corte di appello

rappresentando essa la condizione per l’esame della domanda subordinata; Il) se la Corte di

appello dovesse pronunciarsi sulla domanda proposta dalla Finileasing di dichiarazione della
responsabilità professionale dell’avv. Martino nel procedimento Finileasing/Condominio Brasile,
anziché esimersi dallo statuire in merito; 111) se pertanto la sentenza debba essere cessata con
rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per valutare la cessazione della materia
del contendere fra l’avv. Martino e la Finileasing in merito alle competenze professionali relative
al procedimento Finileasing abbia già pagato tali competenze, per decidere circa la domanda di
responsabilità professionale dell’avv. Martino’) – con il quale la Finileasing denuncia la violazione

o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per non avere la corte di
merito provveduto in ordine alla sua domanda riconvenzionale di responsabilità professionale
nella difesa della medesima società nel giudizio introdotto dal Condominio Brasile, che seppure
proposta in via subordinata, era condizionata alla mancata cessazione della materia del
contendere, per cui in ipotesi di accoglimento del quarto motivo del ricorso principale, rivivrebbe.
S’impone pertanto l’accoglimento del quarto motivo del ricorso principale, rigettati i restanti, e
dell’unico motivo di ricorso incidentale e la conseguente cassazione in relazione dell’impugnata
sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano che del suindicato principio
farà applicazione, procedendo all’esame delle domande in questione erroneamente ritenuta
inammissibili, e provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cessazione.
t

P.Q.PA.
,

16

dovesse pronunciarsi sulla circostanza della cessazione della materia del contendere,

La Corte, rigetta í primi tre motivi del ricorso principale, accolto il quarto ed il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese al giudizio
di Cassazione, a diversa Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2” Sezione Civile, 1112 marzo 2015.

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