Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14690 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

D.A.B., rappr. e dif. dall’avv. Marco Lanzilao,

marcolanzilao.ordineavvocatiroma.org., elett. dom. presso lo studio

dello stesso in Roma, viale Angelico n. 38, come da procura spillata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr e dif. ex

lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliato;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Roma 16.7.2018, n. 4950/2018,

in R.G. 4007/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 19.2.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. D.A.B. impugna la sentenza App. Roma 16.7.2018, n. 4950/2018, in R.G. 4007/2017 che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 11.5.2017 reiettiva del ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. la corte ha così: a) rilevato, in condivisione degli enunciati del giudice di primo grado, la scarsa credibilità del narrato (ritornato in (OMISSIS) a distanza di un decennio dalle ragioni politiche di espatrio), nonchè l’estraneità di quanto comunque riferito alla qualificazione dei danni gravi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; b) negato la sussistenza di un conflitto generalizzato nel Paese di provenienza; c) negato il diritto alla protezione umanitaria, stante l’insufficiente integrazione sociale e comunque la mancata prova di uno stato di vulnerabilità;

3. il ricorso descrive quattro motivi di censura; ad esso resiste il Ministero che si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta l’omesso esame delle condizioni di pericolosità e violenza generalizzata in (OMISSIS) e la non consultazione delle fonti informative; con il secondo motivo la critica è rivolta all’errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente per la valutazione delle sue condizioni personali e l’omesso esame d’ufficio del timore espresso rispetto al sistema Paese; con il terzo motivo si avversa la mancata concessione della protezione sussidiaria, in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di provenienza, stante l’insicurezza anche individuale in (OMISSIS) e la mancata indicazione delle fonti consultate; con il quarto motivo si contesta, anche come vizio di motivazione, la mancata valutazione della condizione di persecuzione e pericolo, oltre che la ridotta aspettativa di vita e così l’errato diniego dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 19;

2. i primi tre motivi, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la preliminare complessa valutazione sulla non credibilità del narrato e sulla omessa prospettata individualizzazione di pericoli o gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dalla corte, non è avversata in modo specifico, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di pericoli o gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo del tutto generico – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione;

3. va invero ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, “non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione” (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); la corte ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso;

4. si ripete invero che “il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso decreto legislativo, con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine” (Cass. 15794/2019), situazione comunque esaminata dalla corte, con indicazione delle fonti consultate;

5. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quarto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla corte, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il rinvio alle difficoltà economiche e alle aspettative di vita connesse al rientro e, prima ancora, incertamente legate all’espatrio; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dalla corte; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

6. tanto più che, si aggiunge, l’intrinseca inattendibilità del racconto, affermata dai giudici di merito, costituisce, altresì, motivo sufficiente per negare anche la protezione umanitaria (cfr. Cass. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. 27438 del 2016), posto che la ritenuta non credibilità del narrato “rende comunque impossibile una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 1088/2020);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass.9660/2019, 25862/2019).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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