Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14686 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

D.S., rappr. e dif. dall’avv. Marco Lanzilao,

marcolanzilao.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio

dello stesso in Roma, viale Angelico n. 38, come da procura spillata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura dello Stato, dom. presso i relativi Uffici,

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Roma 2.10.2018, n. 6078/2018,

in R.G. 464/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 19.2.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. D.S. impugna la sentenza App. Roma 2.10.2018, n. 6078/2018, in R.G. 464/2017 che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 27.12.2016 reiettiva del ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. la corte, circoscrivendo l’appello del richiedente, giunto dalla (OMISSIS), alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria, ne ha escluso il fondamento, sul presupposto sia della scarsa credibilità del narrato, non verosimile per il timore rappresentato (di essere ucciso dal padre), inerente a conflitto familiare e, soprattutto, non censurato e ha così: a) escluso che, già dalla stessa prospettazione, risultassero pericoli di danno grave; b) negato che nel Paese di eventuale rimpatrio ricorresse una situazione di conflitto armato; c) negato il diritto alla protezione umanitaria, per insufficiente prova della vulnerabilità, al pari dell’integrazione sociale per come raggiunta, circostanze non allegate e dunque essendo il narrato inidoneo a permettere la contestualizzazione dell’impedimento nel Paese d’origine dell’esercizio dei diritti fondamentali;

3. il ricorso descrive quattro motivi di censura; il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta, anche come vizio di motivazione, la mancata valutazione della condizione di pericolosità e violenza generalizzata in (OMISSIS), mediante una analisi più approfondita delle fonti; con il secondo motivo è censurata l’erronea disamina delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel complessivo procedimento; con il terzo motivo, anche per vizio di motivazione e violazione dell’art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 si censura la mancata concessione della protezione sussidiaria, per le condizioni del Paese, non esaminate per le maggiori fonti internazionali; il quarto motivo contesta il diniego dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 19;

2. i primi tre motivi, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la preliminare valutazione sulla non attendibilità del narrato, in ogni caso la inerenza ad una vicenda privata e il difetto di censura sul punto, a sua volta non oggetto di specifico motivo d’impugnazione, con doverosa esplicitazione almeno riassuntiva delle difese dispiegate e in ipotesi disattese, costituiscono tutte circostanze integrative del primo, grave, limite del ricorso; così come sulla omessa prospettata individualizzazione dei gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dalla corte, non vi è stata censura puntuale, nè sono state allegate possibili specifiche circostanze di gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette infatti di riportare, e in quali termini, eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo del tutto generico – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione;

3. va invero ricordato, sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019);

4. inoltre, si ripete, l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); la corte ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dalla commissione e dal tribunale, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso;

5. in realtà la sentenza ha motivata mente e in via preliminare dubitato della verosimiglianza del narrato del richiedente ed al contempo dell’effettiva esposizione a rischi gravi cui sarebbe stato assoggettato, dunque della sua potenziale ulteriore assoggettabilità ad altri rischi gravi, osservando il Collegio che “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie non positivamente integrata;

6.i motivi sono infatti ulteriormente inammissibili, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una pretesa generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato il Paese di provenienza; in realtà, escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 la corte ha in particolare, nella sostanza, negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit., citando specifiche fonti (siti consultati);

7. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quarto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla corte, che ha escluso, per la genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il rinvio alle gravi difficoltà economiche e all’aspettativa di vita connesse al rientro e, prima ancora, incertamente legate all’espatrio; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dalla corte, che ha escluso anche solo la avvenuta allegazione di idonei e decisivi fattori di comparazione; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo le regole della soccombenza; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 2.200, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA