Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14685 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

S.N., rappr. e dif. dall’avv. Marco Lanzilao,

marcolanzilao-ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo studio

dello stesso in Roma, viale Angelico n. 38, come da procura spillata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Roma 16.11.2018, n. 7235/2018,

– in R.G. 3299/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 19.2.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.W. impugna la sentenza App. Roma 16.11.2018, n. 7235/2018, in R.G. 3299/2018 che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 30.3.2018 reiettiva del ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. la corte, richiamando le considerazioni del primo giudice e i limiti della stessa carente produzione degli atti di primo grado, non versati nel processo dalla difesa del richiedente, giunto dal (OMISSIS), ha così: a) escluso che, già dalla stessa prospettazione, risultassero persecuzioni, nonchè pericoli di danno grave, stante il carattere comunque privato della vicenda; b) negato che nel Paese e nella zona di eventuale rimpatrio ricorresse una situazione di conflitto armato, secondo le fonti consultate; c) negato il diritto alla protezione umanitaria, per insufficiente prova della vulnerabilità, al pari dell’integrazione sociale per come raggiunta e non sufficientemente dimostrata, circostanze inidonee a permettere la contestualizzazione dell’impedimento nel Paese d’origine dell’esercizio dei diritti fondamentali;

3. il ricorso descrive cinque motivi di censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la sentenza ove ha ritenuto privo di specificità l’atto di appello, in punto di critica alla valutazione – operata dal primo giudice – del narrato e della situazione generale del Paese del richiedente; con il secondo e il quarto motivo si contesta, anche come vizio di motivazione, la mancata valutazione della condizione di pericolosità e violenza generalizzata in (OMISSIS), mediante una analisi più approfondita delle fonti e, con il terzo motivo, delle dichiarazioni del ricorrente, non acquisite d’ufficio, anche per violazione dell’art. 10 Cost. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; con il quinto motivo si contesta il diniego dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 19;

2. il primo motivo è inammissibile, laddove, censurando la parte di motivazione con cui la corte ha ritenuto carente di specificità l’atto di appello, omette di riportarne, almeno per tratti essenziali, sia i passaggi redazionali, sia la relazione di decisività di ciascuno di essi con le plurime statuizioni reiettive proprie della sentenza; la necessaria specificità del ricorso in cassazione, ex art. 366 c.p.c., è invero requisito che “non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione… sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione” (Cass. 1479/2018);

3. i motivi dal secondo al quarto, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la preliminare valutazione sulla natura privata della vicenda di allontanamento dal (OMISSIS) e sulla omessa prospettata individualizzazione di pericoli o gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dalla corte, non è avversata, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di pericoli o gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo del tutto generico – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione;

4. va invero ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, “non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione” (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019, nonchè Cass. 1532 e 1533 del 2020); la corte ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dalla commissione e dal tribunale, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso;

5. in realtà la sentenza ha motivatamente e in via preliminare dubitato dell’effettiva esposizione a rischi gravi cui sarebbe stato assoggettato il richiedente, dunque della sua potenziale ulteriore assoggettabilità ad altri rischi gravi, osservando il Collegio che “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie non positivamente integrata; così come è inammissibile il profilo di contestazione attinente all’omessa acquisizione del fascicolo di primo grado, non avendo operato il ricorrente alcuna attività almeno di menzione sintetica delle dichiarazioni ivi rese, sottolineandone la portata, così da permettere – in tesi – il riscontro di decisività della dedotta supposta omissione;

6. i motivi sono infatti ulteriormente inammissibili, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una pretesa generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato il Paese di provenienza e dalla quale, di per sè, scaturirebbero i rischi gravi per il ricorrente, invece ed al più attinto da vicende personali, non interessanti l’apparato investigativo o giudiziario e senza alcuna allegazione di coinvolgimento più diretto; in realtà, escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 la corte ha in particolare, nella sostanza, negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.;

7. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel quinto motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla corte, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale e oppositivo nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il rinvio alle difficoltà economiche connesse al rientro e, prima ancora, incertamente legate all’espatrio; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dalla corte, che ha escluso anche solo la avvenuta allegazione di idonei e decisivi fattori di comparazione; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass.9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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