Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14683 del 18/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 18/07/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 18/07/2016), n.14683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Roma ha accolto l’appello proposto da Z.R. contro la sentenza n. 383/02/2011 della CTP di Roma che aveva già disatteso il ricorso del predetto contribuente avverso avviso di accertamento per IRPEF relativa all’anno 2000 (anche se nel frontespizio della pronuncia è menzionato l’anno 2003) con cui era stato imputato allo Z. (pro quota di partecipazione nella società “Zan.Car. srl”) il maggior reddito di capitale non dichiarato ed accertato in capo alla società, sulla scorta della presunzione di distribuzione ai soci, trattandosi di società con base azionaria familiare.

Il giudice dell’appello – dopo avere dato conto che il contribuente aveva insistito sul fatto di essere “uscito dalla società sin dal 2000” e di non essere quindi a conoscenza del PVC a base dell’accertamento – ha motivato la decisione nel senso che la censura di difetto di motivazione del provvedimento impositivo doveva trovare accoglimento in ragione del principio secondo cui la motivazione per relationem è legittima se assicura “l’effettiva conoscenza da parte del soggetto accertato dell’atto presupposto che entra a far parte integrante dell’accertamento”. Ha infatti affermato che deve ritenersi nullo per mancanza di idonea motivazione l’avviso di accertamento emesso nei confronti di un socio e fondato su quello emesso nei confronti della società ma portato a conoscenza nei confronti del socio stesso “nè mediante notifica….nè mediante allegazione in copia dello stesso avviso impugnato o trascrizione (anche per tratti salienti) nel corpo di quest’ultimo”. Con ulteriori argomentazioni la CTR ha pure accolto l’ulteriore eccezione di parte appellante relativa alla presuntiva distribuzioni degli utili accertati in capo alla società, in difetto di “prova dell’uscita del maggior reddito accertato dalla sfera patrimoniale della società”.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7) la parte ricorrente – dopo avere trascritto in atto il contenuto dell’avviso di accertamento qui impugnato – si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto che il PVC relativo alla verifica a carico della società avrebbe dovuto essere obbligatoriamente allegato all’avviso di accertamento inviato al socio, per quanto il menzionato art. 42, preveda come modalità alternativa a detta allegazione la riproduzione in atto del “contenuto essenziale” dell’atto richiamato, ciò a cui aveva debitamente assolto l’Agenzia evidenziando in atto che “a carico della Zan Car si è proceduto alla determinazione della base imponibile…accertando un maggior reddito di impresa pari ad Euro 110.501,00 corrispondente all’ammontare dei compensi per ristrutturazioni edilizie percepiti tramite bonifici e non dichiarati”.

Il motivo di ricorso principale appare manifestamente infondato.

Invero, la parte ricorrente – sotto l’apparente veste della violazione di legge – censura la concreta valutazione che il giudice del merito ha fatto dell’idoneità (o addirittura della corrispondenza) della trascrizione in atto del “contenuto essenziale” dell’avviso di accertamento valorizzato per relationem da quello qui impugnato. Ed invero, il giudicante ha ritenuto che il principio della effettiva conoscenza dell’atto presupposto sia stato in concreto violato nella specie di causa dalle modalità con le quali l’Agenzia ha ritenuto di realizzare il rapporto di “relazione”.

Di ciò il giudicante si è accertato facendo utilizzo dei poteri che gli competono, siccome l’avviso di accertamento non è atto processuale, bensì amministrativo, e quindi nel processo entra come “fatto” (comprensivo della motivazione non di meno che dei presupposti storici che ne costituiscono il sostrato) ed è perciò oggetto del vaglio discretivo che al giudice del merito compete in ordine alla concreta idoneità degli elementi che lo compongono.

Circa la spettanza al giudice del merito della potestà di apprezzare i requisiti di intelligibilità e determinatezza degli elementi contenutistici dell’avviso di accertamento (nell’ottica dell’idonea esercitabilità dei diritti di difesa da parte del contribuente) si vedano Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16836 del 24/07/2014; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2907 del 10/02/2010; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1906 del 29/01/2008.

Adde Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1906 del 2008, nella quale è stato perspicuamente chiarito che “la motivazione per relationem della decisione amministrativa tributaria è, sì, ammessa a condizione che l’atto richiamato sia allegato alla decisione notificata o che l’allegazione possa essere sostituita con la riproduzione del “contenuto essenziale dell’atto richiamato”, ma logica e natura delle cose esigono che, nell’un caso come nell’altro, siano chiari, non solo il contenuto, ma tutti gli elementi delle dichiarazioni richiamate che siano rilevanti per confezionare la motivazione della decisione”.

Del tutto correttamente, perciò, il giudice di appello si è pronunciato sulla adeguatezza della motivazione del provvedimento amministrativo con apprezzamento “in fatto” che non può essere qui oggetto di censura.

Poichè le ulteriori censure concernono diversa ed autonoma ratio decidendi della decisione impugnata e poichè la ratio decidendi già esaminata è da sè sola sufficiente a reggere la determinazione dispositiva del giudice del merito, resta frustraneo l’esame degli ulteriori motivi di ricorso.

Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.

Roma, 29 febbraio 2016.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2016

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