Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14683 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 09/07/2020), n.14683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Masssimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

A.R., rappr. e dif. dall’avv. Roberto Maiorana,

roberto.maiorana-avvocato.pe.it, elett. dom. presso lo studio dello

stesso in Roma, viale Angelico n. 38, come da procura spillata in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura dello Stato, dom. presso i suoi Uffici, in

Roma, via dei Portoghesi n. 12, ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Roma 7.6.2018, n. 3864/2018, in

R.G. 2767/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 19.2.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.R. impugna la sentenza App. Roma 7.6.2018, n. 3864/2018, in R.G. 2767/2017 che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 20.1.2017 reiettiva del ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la protezione internazionale e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. la corte, circoscrivendo l’appello del richiedente, giunto dal (OMISSIS), alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria, ne ha escluso il fondamento, ritenendo che: a) l’allontanamento era dovuto a ragioni familiari ed oltretutto coinvolgendo solo timori della madre, cui erano state prospettate “ripercussioni” a seguito della morte di alcune persone che avevano comprato da lei (commerciante di generi alimentari) del cibo; b) nel Paese di eventuale rimpatrio non ricorreva una situazione di conflitto armato; c) non spettava il diritto alla protezione umanitaria, per insufficiente prova della vulnerabilità, al pari dell’integrazione sociale per come raggiunta, circostanze inidonee a permettere la contestualizzazione dell’impedimento nel Paese d’origine dell’esercizio dei diritti fondamentali;

3. il ricorso descrive tre motivi di censura; ad esso resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta, come vizio di motivazione, la mancata disamina delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel complessivo procedimento; con il secondo motivo è censurata la mancata valutazione della condizione di pericolosità e violenza generalizzata in (OMISSIS), mediante una analisi più approfondita delle fonti; con il terzo motivo, anche per vizio di motivazione e violazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 19si contesta il diniego dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;

2. i primi due motivi, da affrontare unitariamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la preliminare valutazione sulla natura personale della vicenda, anche per come narrata e la generica e solo indiretta omessa prospettata individualizzazione dei gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dalla corte, non è avversata, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo del tutto generico – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione;

3. va invero ricordato, sul punto, che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019); la corte ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso;

4. in realtà la sentenza ha motivatamente e in via preliminare negato l’effettiva esposizione a rischi gravi cui sarebbe stato assoggettato il richiedente, dunque dubitando della sua potenziale ulteriore assoggettabilità ad altri rischi gravi, trattandosi di narrato interamente relativo a vicende della propria madre, osservando così il Collegio che “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie non positivamente integrata;

5.i motivi sono infatti ulteriormente inammissibili, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una pretesa generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato il Paese di provenienza; in realtà, escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 la corte ha in particolare, nella sostanza, negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit., citando specifiche fonti (siti consultati);

6. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine ripresa nel terzo motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, negata dalla corte, che ha escluso, per la insufficienza e genericità dei richiami offerti, la rilevanza più specifica di altri fattori; questi ultimi non hanno trovato alcun richiamo rituale nemmeno nel ricorso, tale non potendosi apprezzare il rinvio alle gravi difficoltà economiche ed occupazionali e all’aspettativa di vita connesse al rientro e, prima ancora, incertamente legate all’espatrio; si tratta di prospettazione tanto più necessaria a fronte della perentoria valutazione d’irrilevanza operata dalla corte, che ha escluso anche solo la avvenuta allegazione di idonei e decisivi fattori di comparazione; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile per genericità e perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna alle spese in ragione della soccombenza e liquidazione come da dispositivo; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass.9660/2019, 25862/2019).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 2.200, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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