Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14683 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. III, 05/07/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 05/07/2011), n.14683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20872/2009 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

G.G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 668/2008 del TRIBUNALE di POTENZA del 27.8.08,

depositata il 29/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIETTA

CARESTIA.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. Il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione contro G.G.M. avverso la sentenza del 29.8.2008, con la quale il Tribunale di Potenza ha dichiarato inammissibile l’appello da esso ricorrente proposto avverso la sentenza, con la quale il Giudice di pace di Bella:

a) in accoglimento della domanda proposta dall’intimato, l’aveva condannato al pagamento della somma di Euro 858,70, oltre interessi legali dalla domanda, quale corrispettivo per la consegna (nella qualità di dipendente del Comune di Muro Lucano) di una serie di certificati elettorali relativi alle elezioni politiche del 1996;

b) e nel contempo aveva dichiarato inammissibile per carenza di connessione con la domanda principale la domanda riconvenzionale svolta dallo stesso Ministero per l’accertamento della insussistenza di qualsiasi rapporto inter partes in relazione a consegna di certificati elettorali per qualsiasi consultazione (politica, europea, amministrativa, referendaria) che avesse interessato il territorio comunale di competenza dell’attore e per l’intero arco del rapporto di lavoro di messo comunale del medesimo.

Al ricorso la parte intimata non ha resistito.

2. – Il ricorso propone quattro motivi ed osserva l’art. 366 bis c.p.c..

Con il primo motivo il ricorrente deduce erronea declaratoria di inesistenza della costituzione del ministero in primo grado e della riconvenzionale ivi proposta e si duole che erroneamente sia stata ritenuta inesistente la sua costituzione in primo grado, in quanto avvenuta a mezzo posta. Il quesito di diritto proposto chiede alla Corte di accertare se la costituzione davanti al Giudice di pace tramite deposito a mezzo spedizione del fascicolo con raccomandata a.r. debba considerarsi inesistente, ovvero possa ritenersi valida, o al più affetta da nullità sanabile per mancata tempestiva eccezione da parte dell’interessato (art. 157 c.p.c.) ovvero per raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3).

Il secondo motivo deduce erronea declaratoria di inammissibilità dell’appello: violazione degli artt. 10 e 36 c.p.c., e art. 40 c.p.c., comma 6, art. 113 c.p.c., comma 2, e art. 339 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, sotto il profilo che il Giudice di pace, avendo considerato il ricorrente costituito, aveva deciso, sia pure con una pronuncia di inammissibilità per mancanza di connessione, sulla domanda riconvenzionale e, pertanto, essendo essa di valore indeterminato ed esulando dalla competenza per valore del Giudice di pace e non avendo questi applicato l’art. 40, comma 6, che avrebbe dovuto comportare la rimessione di tutta la controversia al tribunale, il mezzo di impugnazione esperibile, avuto riguardo alle statuizioni di cui alla sentenza n. 13917 del 2006 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e non potendo, d’altro canto, esso ricorrente autoriconoscersi contumace, non avrebbe potuto che essere l’appello, in quanto la riconvenzionale era soggetta a regola di decisione secondo diritto e la sua regola di decisione attraeva quella sulla domanda principale, stante la connessione.

Il terzo motivo deduce “difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, trattandosi di controversia in materia di pubblico impiego relativa a questioni attinenti al periodo anteriore al 1 luglio 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1. Vi si deduce che la domanda principale proposta dalla parte intimata, in quanto afferente a prestazioni effettuate prima del 30 giugno 1998, sarebbe soggetta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, sulla base del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte nella sentenza n. 6416 del 2005.

Il quarto motivo deduce omissione di pronuncia, in conseguenza dell’erronea dichiarazione di contumacia del Ministero dell’Interno, sul difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione:

violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sotto il profilo che, in ragione della ritenuta contumacia in primo grado del Ministero, non vi sarebbe stata pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva ai sensi della L. n. 202 del 1991, art. 4, che era stata invocata dalla parte intimata a sostegno della propria domanda. Il motivo viene sostenuto invocandosi l’interpretazione autentica di tale norma da parte della norma del D.L. n. 80 del 2004, art. 1 quinquies, convertito nella L. n. 140 del 2004 ed invocando i principi di cui a Cass. sez. un. n. 8091 del 2006 e 6409 del 2005, per come richiamati da Cass. sez. lav.

n. 25571 del 2006″.

3. – Ritiene questa Corte, condividendo in parte le conclusioni della relazione, che vadano rigettati i primi tre motivi di ricorso ed accolto il quarto.

Deve preliminarmente rilevarsi che sia il primo che il secondo motivo sono funzionali alla censura della correttezza della dichiarazione di inammissibilità dell’appello da parte del Tribunale. Ciò premesso, si deve ritenere che sia logicamente preliminare il secondo motivo, con cui si vuole in sostanza sostenere che – al contrario di quanto aveva ritenuto il Giudice di pace – esisteva una ragione di connessione fra la domanda principale e la riconvenzionale e che, essendo quest’ultima di competenza per valore eccedente non solo il limite equitativo, ma anche la stessa competenza per valore del Giudice di pace, e, pertanto, automaticamente soggetta a regola di decisione secondo diritto, ne sarebbe seguita l’estensione di tale regola anche alla domanda principale, di modo che l’intera controversia era rimasta soggetta a regola di decisione secondo diritto e come tale si sarebbe dovuta apprezzare dal Tribunale ai fini dell’ammissibilità dell’appello.

Effettivamente la ragione di connessione sussisteva, poichè il Ministero nel richiedere l’accertamento negativo di qualsiasi rapporto di debito per le notificazioni di certificati elettorali in relazione a qualsiasi consultazione elettorale aveva svolto una domanda di accertamento negativo del diritto al rimborso, che si presentava in rapporto di continenza con la pretesa oggetto della domanda principale, nel senso che nell’oggetto dell’accertamento negativo richiesto (relativo ad ogni consultazione elettorale) era compreso anche quello della pretesa di rimborso azionata con azione di condanna (e, quindi, di accertamento positivo) dal messo notificatore con specifico riferimento ad una determinata consultazione, cioè l’oggetto della domanda principale. Il rapporto di connessione risulta, dunque, negato erroneamente dal Giudice di Pace.

Ora, v’è da chiedersi se questa negazione avesse determinato, per espressa risoluzione della relativa questione da parte del Giudice di pace, il venir meno della regola di decisione unitaria connessa al cumulo della cause, di modo che sulla riconvenzionale la decisione del Giudice di pace dovesse intendesi resa secondo diritto e sulla domanda principale resa secondo equità. Questa conseguenza deve escludersi e deve ritenersi che la sentenza con cui il Giudice di pace neghi la connessione fra le due cause sia stata resa secondo una regola unitaria e, particolarmente, per essere la decisione secondo diritto la regola e quella secondo equità l’eccezione, secondo diritto.

Ne consegue che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere l’appello ammissibile già per il fatto che investiva la decisione su un cumulo di cause da intendersi decise secondo diritto. Una volta ritenuta l’ammissibilità dell’appello, può essere scrutinato il terzo motivo con cui si deduce il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e la sussistenza della giurisdizione del G.A..

Sennonchè tale questione è preclusa per essersi sul punto formato il giudicato implicito, con conseguente inammissibilità del motivo, poichè la sentenza del giudice di pace, che aveva deciso nel merito la causa e quindi aveva implicitamente affermato la sua giurisdizione sul punto non era stata impugnata, con conseguente giudicato implicito sulla questione della giurisdizione.

Infatti il principio secondo il quale il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo deve essere coniugato con il principio di economia processuale e di ragionevole durata. Conseguentemente, l’ordinamento non accorda tutela alle ipotesi giusta le quali la relativa eccezione di parte viene sollevata secundum eventum litis ovvero manifestata direttamente in sede di legittimità, senza che siffatta contestazione sia stata precedentemente dedotta, ostandovi il principio di acquiescenza, di leale collaborazione e di formazione del giudicato (Cass. civ., Sez. Unite, 09/10/2008, n. 24883).

4. Fondato è il quarto motivo di ricorso.

Infatti la L. 23 aprile 1976, n. 136, art. 17, così come modificato dalla L. 11 agosto 1991, n. 271, art. 11, al comma 1 statuisce che tutte le spese per l’organizzazione tecnica e l’attuazione delle elezioni politiche e dei referendum previsti dai titoli 1^ e 2^ della L. 25 maggio 1970, n. 352, sono a carico dello Stato. Tuttavia i comma 7 ed 8 dello stesso articolo statuiscono che gli oneri per il trattamento economico dei componenti dei seggi e per gli adempimenti di spettanza dei comuni quando le elezioni non riguardino esclusivamente i consigli comunali e circoscrizionali sono anticipati dai comuni e rimborsati dallo Stato, dalla ragione o dalla provincia, in base a documentato rendiconto, da presentarsi entro il termine di tre mesi dalla data delle consultazioni.

Lo Stato, le regioni o le province sono tenute ad erogare ai comuni, nel mese precedente le consultazioni, acconti pari al 90 per cento delle spese che si presume essi debbano anticipare. La L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, avente ad oggetto le notificazioni di atti delle pubbliche amministrazioni da parte dei messi Comunali, attiene, appunto, a detto rapporto tra Comune e le altre amministrazioni, cui è estraneo il messo comunale. Infatti i comma 1 e 2 di tale norma statuiscono che:

1. Le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge.

2. Al comune che vi provvede spetta da parte dell’amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreto dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze.

Il comma 4 statuisce che sono a carico dei comuni le spese per le notificazioni relative alla tenuta e revisione delle liste elettorali. Le spese per le notificazioni relative alle consultazioni elettorali e referendarie effettuate per conto dello Stato, della Regione e della provincia, sono a carico degli enti per i quali si tengono le elezioni e i referendum”.

Sulla base della suddetta normativa, quindi, per le notificazioni effettuate dai messi comunali su richiesta di altre amministrazioni, queste devono pagare al Comune le spese ed i diritti e non al messo comunale che vi ha provveduto materialmente.

Ciò comporta che legittimato passivo al pagamento dei diritti e delle spese per la notificazione dei certificati elettorali effettuata dal messo comunale è esclusivamente il Comune, salvo il rimborso di tali spese da parte dello Stato; ma ciò attiene al rapporto interno tra Stato e Comune.

Il Collegio ritiene, pertanto, che la sentenza vada cassata e, decidendo la causa nel merito, vada rigettata la domanda principale ed accolta la riconvenzionale, dichiarando insussistente alcun rapporto fra l’intimato ed il ricorrente relativamente alle dette prestazioni.

Quanto alle spese dell’intero svolgimento processuale, la Corte ritiene che ricorrano giusti motivi per la compensazione delle spese sia dei gradi di giudizio di merito, sia di questo giudizio di cassazione: i giusti motivi si ravvisano nell’incertezza della questione di giurisdizione.

P.Q.M.

Rigetta i primi tre motivi di ricorso ed accoglie il quarto. Cassa la sentenza impugnata quanto alla domanda principale dell’intimato e quanto alla domanda riconvenzionale del ricorrente, e, decidendo nel merito sulla domanda principale e sulla riconvenzionale, rigetta la prima ed accoglie la seconda, dichiarando insussistente alcun rapporto fra l’intimato ed il ricorrente relativamente alle dette prestazioni. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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