Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14682 del 18/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 18/07/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 18/07/2016), n.14682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17264/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

NOI PARRUCCHIERI SAS;

– intimata –

avverso la sentenza a 49/28/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI del 11/11/2013, depositata il 07/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo;

letti gli atti depositati;

osserva:

La CTR di Napoli ha respinto gli appelli dell’Agenzia – appelli (originariamente autonomi e poi riuniti) proposti contro le sentenze n. 448/11/2012 e 50/1/2013 della CTP di Napoli che aveva gia’ accolto i ricorsi di “Noi Parrucchieri sas” e G.N. (siccome socia nella anzidetta societa’) – ed ha cosi’ annullato gli avvisi di accertamento relativi rispettivamente ad IVA – IRAP e ad IRPEF (riguardo ai redditi del socio determinati “per trasparenza” rispetto ai ricavi societari) per l’anno 2005, avvisi adottati sulla scorta del criterio analitico – induttivo, in ragione della presunzione di antieconomicita’ della gestione dell’attivita’ di impresa.

La predetta CTR – dopo avere dato atto che l’Agenzia aveva valorizzato il risultato in perdita della gestione in una pluralita’ di anni, nonostante la presenza di un dipendente, come presunzione dell’esistenza di ricavi non dichiarati – ha argomentato nel senso che si tratta di presunzione “semplicissima di fatto, in relazione al criterio ordinario di normalita’”, criterio che deve pero’ essere calato e valutato nella concreta realta’, “non potendosi affatto derivare automaticamente da un risultato negativo una capacita’ contributiva evasa”. Il giudicante ha rilevato che si trattava di una attivita’ (di parruccheria) iniziata nel semestre antecedente a quello oggetto di accertamento che non era riuscita a raggiungere nel successivo triennio risultati apprezzabili, tanto da essere stata chiusa nell’anno 2008, sicche’ ha poi ritenuto che detti dati (alla luce proprio di quel criterio della normalita’ economica, che si traduce nell’esito infausto di una attivita’ inidonea a produrre i ricavi attesi) inducevano a deprivare di valenza presuntiva il semplice indizio del risultato negativo di gestione. La CTR ha poi esplicato le ragioni per le quali la presenza di un singolo dipendente non aveva efficacia di alterare il giudizio sull’efficacia induttiva del fatto considerato.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte contribuente non si e’ difesa.

Il ricorso – assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – puo’ essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; del D.L. n. 331 del 1973, art. 62 sexties, in combinato disposto con l’art. 2729 c.c.) la parte ricorrente (dopo avere posto in evidenza che nell’avviso di accertamento si era tenuto conto di “indizi” idonei a denunciare l’esistenza di un comportamento antieconomico) ha affermato che la legittimita’ della modalita’ induttiva dell’accertamento non poteva trovare ostacolo nella regolare tenuta delle scritture contabili, giacche l’Amministrazione – alla luce degli anzidetti indizi – aveva legittimamente ritenuto del tutto inattendibile la contabilita’ d’impresa ed aveva aliunde ricostruito il reddito, in ragione delle medie del settore di appartenenza. L’intero comportamento della societa’ contribuente risultava infatti “non giustificato da alcuna logica commerciale ed economica, in assenza di valide ragioni contrarie”, sicche’ aveva errato il giudicante a ritenere insufficiente a legittimare l’accertamento “quanto emerso in sede di verifica fiscale”.

Il motivo appare infondato e da disattendersi.

Benche’ sia sicuramente ammissibile e metodologicamente corretta la modalita’ accertativa prescelta dall’ufficio, gli esiti di detta modalita’ accertativa finiscono comunque per fondarsi su mere presunzioni semplici, a fronte delle quali non e’ pregiudicata la facolta’ della parte contribuente di offrire e dedurre (con ogni mezzo e contenuto) prova contraria a riguardo della sussistenza di condizioni che contraddicono gli elementi indiziari su cui l’accertamento si fonda.

Detta prova (argomentativa) contraria e’ stata congruamente e debitamente apprezzata dal giudice tributario di merito nell’esercizio del potere (a lui riservato) di valutare, selezionare e scegliere le fonti del proprio convincimento, sicche’ poi il predetto giudicante (senza censurare la scelta del metodo) ne ha consapevolmente disatteso gli esiti, ritenendo insufficienti i dati indiziari valorizzati dall’ufficio a fronte delle ragioni argomentative di parte contribuente. E cio’ in perfetta coerenza con gli indirizzi giurisprudenziali di legittimita’ correttamente applicabili alla specie di causa (diversamente da quelli incongruenti menzionati dalla parte ricorrente) nei quali si e’ messo in evidenza che e’ oggetto dell’onere di parte contribuente semplicemente fornire la spiegazione del perche’ l’assunto di “antieconomicita’” della condotta imprenditoriale non e’ coerente con la realta’ fattuale (in termini: Cass Sez. 5, Sentenza n. 6918 del 20/03/2013; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7871 del 18/05/2012; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10802 del 24/07/2002).

Le censure di violazione di legge proposte dalla parte pubblica non valgono percio’ a consentire di ritenere censurabile l’accertamento “sul fatto” operato dal giudice di appello.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, n. 2) la parte ricorrente si duole della violazione delle disposizioni concernenti l’esatto ambito dei poteri che competono al giudice tributario, siccome estesi al merito della pretesa tributaria e non limitata agli effetti caducatori dell’atto impositivo, tanto da non avere il giudicante proceduto alla formulazione del necessario “giudizio estimativo”.

Il motivo appare infondato e da disattendersi.

La parte ricorrente non si e’ affatto avveduta che il giudice di appello ha in realta’ provveduto sul “merito della pretesa tributaria” (ritenendola radicalmente infondata) senza essersi affatto limitato alla determinazione degli effetti caducatori dell’atto impositivo. Quest’ultimo e’ stato infatti dichiarato nullo per ragione degli esiti non convincenti ai quali il metodo deduttivo applicato dagli accertatori ha condotto e nulla affatto per ragioni formali legati a vizi dell’atto provvedimentale medesimo.

Il giudicante ha invero ritenuto “inapplicabile” alla realta’ aziendale in esame la presunzione di anrtieconomicita’, cio’ che elide ab imis la validita’ degli esiti dell’applicazione del metodo presuntivo (analitico-induttivo), all’utilizzo del quale il giudicante non avrebbe certo potuto sostituire una radicale riqualificazione della tipologia di accertamento, pena lo sconfinamento in settori che non gli competono e cioe’ quelli dell’amministrazione attiva.

Si conclude nel senso che le doglianze di parte ricorrente non consentono di ritenere che la decisione impugnata, sotto tutti i profili riguardata, sia meritevole di cassazione.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.

Roma, 29 febbraio 2016;

ritenuto inoltre:

che la relazione e’ stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, ne’ memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si e’ costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2016

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