Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14680 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 26/05/2021), n.14680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2260/2020 proposto da:

O.I., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI

VICENZA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici

domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2282/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/06/2019 R.G.N. 2926/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/01/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 2282 del 2019, ha respinto il gravame proposto da O.I., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente, in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato il suo paese di origine perchè, cresciuto in una famiglia molto numerosa, in cui aveva perso la madre nel (OMISSIS) a seguito di una lunga malattia per curare la quale erano state spese tutte le risorse della famiglia, dopo la morte improvvisa anche del padre, aveva deciso di trasferirsi a Benin City per cercarsi un lavoro e dopo circa cinque anni, aveva lasciato il paese di origine per venire in Italia spinto dalla necessità di trovare una occupazione.

3. A fondamento della decisione la Corte ha rilevato che la versione fornita, pur credibile, non aveva evidenziato la sussistenza dei presupposti utili ad ottenere il riconoscimento delle misure di protezione internazionale richieste in quanto la scelta di lasciare il proprio paese era stata determinata da ragioni essenzialmente economiche e non dettata dal timore subire persecuzioni o di essere sottoposto ad un danno grave; ha escluso, dalle fonti consultate, che nella regione di provenienza della Nigeria vi fosse una situazione di violenza generalizzata o indiscriminata tale da comportare una minaccia grave ed individuale in caso di rientro nel paese; ha precisato che la mera allegazione di avere acquisito un certo grado di integrazione sociale, peraltro non dimostrato nel caso in esame, non era sufficiente per ottenere la protezione umanitaria, così come non era sufficiente il fatto di avere subito violenze in Libia, quale paese di transito, essendosi ivi fermato solo per un breve periodo e non essendo stata evidenziata una situazione traumatica persistente di grave vulnerabilità effettiva, quale impedimento, nel proprio paese di origine, dell’esercizio di diritti umani e fondamentali.

4. Avverso il suddetto provvedimento della Corte di appello O.I. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, con violazione dei principi generali in materia di onere della prova vigenti in tale materia e dell’obbligo di cooperazione in materia istruttoria, previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8, come sostituito dal D.L. n. 13 del 2017, art. 35 bis, comma 9, per non avere la Corte di appello di Venezia fatto corretta applicazione, in sede di motivazione e di decisione, dei principi elaborati in sede giurisprudenziale relativi alla materia istruttoria e di quelli contenuti nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativi all’esame del richiedente asilo e alla valutazione del materiale probatorio utilizzabile, acquisendo di ufficio tutte le informazioni necessarie per integrare gli elementi non offerti dal ricorrente, il quale avrebbe potuto limitarsi a fornire degli indizi relativi alla veridicità del racconto in caso di impossibilità di procurarsi prove nel paese di origine; lamenta, altresì, che la Corte di merito, ritenendo che si trattasse di vicenda privata ed economica che esulava dai presupposti della protezione internazionale, non aveva deciso sulla base di informazioni precise e aggiornate relative alla situazione generale del paese di provenienza.

3. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame del decreto impugnato circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla richiesta contenuta nel ricorso di primo grado di concessione di un permesso per protezione sussidiaria o per motivi umanitari; deduce la possibile violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè la possibile violazione dell’art. 8 della CEDU, per avere la Corte territoriale escluso il fondato timore di persecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, nonchè del pericolo di un danno grave ex art. 14, lett. a) e b) del medesimo Decreto sulla base della mancanza di prove fornite circa la vicenda narrata e per non avere ravvisato una situazione di violenza indiscriminata in presenza di un conflitto armato (art. 14, lett. c) decreto citato); inoltre, si duole che la Corte territoriale aveva escluso una situazione di vulnerabilità personale di esso richiedente sulla base del preteso mancato assolvimento dell’onere della prova gravante sul richiedente, risultando, invece, questi lavorare stabilmente per una azienda di legname in provincia (OMISSIS) e in attesa di rinnovo del contratto di lavoro.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. Il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata, nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione.

6. Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che indica le fonti in concreto utilizzate – Freedom House, Freedom in the world 2018 Nigeria; Amnesty International Report 2017/18; Human Rights Watch 2018 ed altre accreditate, degli anni precedenti, specificamente menzionate in sentenza- ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, consentendo in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione, là dove il ricorrente contesta genericamente l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria del giudice territoriale.

7. La semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede (Cass. n. 26728/2019).

8. Anche il secondo motivo è inammissibile.

9. La censura relativa al diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), è assorbito dalle considerazioni di cui al primo motivo.

10. La doglianza in ordine alla mancata concessione dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) e al mancato esercizio dei poteri officiosi istruttori da parte del giudice si scontra con la assorbente argomentazione della Corte di merito secondo cui le vicende narrate e ritenute credibili, che caratterizzavano il richiedente quale migrante economico, erano estranee ai presupposti per conseguire le suddette tutele non avendo egli allegato atti discriminatori a proprio danno nè il rischio di essere esposto a danno grave per tali vicende private.

11. Non coglie nel segno neanche la censura in ordine all’omesso esame del profilo dell’avviato percorso di integrazione lavorativa del richiedente.

12. La Corte lagunare, infatti, ha precisato che la mera allegazione di avere acquisito un certo grado di integrazione sociale nel nostro paese non era sufficiente, occorrendo, invece, la prova della compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost., in caso di rimpatrio nel paese di origine, qui escluso secondo quanto si desumeva dalle COI richiamate.

13. A fronte di tale argomentazione, aderente all’orientamento di legittimità di cui alle sentenze n. 4455 del 2018 richiamata da Cass. Sez. Un. 29460/2019, il ricorrente non ha offerto elementi per contraddire le conclusioni della Corte territoriale limitandosi a richiamare la mera sua integrazione lavorativa che i giudici di seconde cure hanno comunque ritenuto elemento non idoneo e sufficiente.

14. Da ultimo, in ordine alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., deve osservarsi che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.

15. Alla stregua di quanto esposto deve essere, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

16. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

17. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

 

 

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