Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1468 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 12390/2013 proposto da

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l. in Fallimento, (C.F. (OMISSIS)), in persona del

curatore, rapp.ta e difesa per procura a margine del controricorso

dall’avv. Giuseppe Lai, elettivamente domiciliata in Roma alla v.

Luigi Luciani n. 1 presso lo studio legale Daniele Manca-Bitti

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/5/12 depositata il 14 novembre 2012 della

Commissione tributaria regionale di Cagliari;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 10 ottobre 2019 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Immacolata Zeno che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Giovanni Mameli per delega dell’avv. Giuseppe Lai per la

controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 54/5/12 la Commissione tributaria regionale di Cagliari accoglieva l’appello proposto da (OMISSIS) s.r.l. annullando l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva proceduto alla verifica della dichiarazione relativa all’anno 2004, richiedendo maggiori imposte a titolo di Ires, Irap ed Iva sull’assunto dell’indeducibilità dei costi risultanti in fattura e recuperati alla tassazione, attesa la genericità della descrizione delle operazioni e l’omessa fatturazione di una prestazione di prestito personale e di affitto di macchinari nell’esercizio sottoposto a verifica.

Evidenziava la CTR che, quanto alla questione concernente la genericità delle fatture, era onere dell’Ufficio fornire e produrre attendibili riscontri indiziari tali da far ragionevolmente presumere l’inesistenza o la fittizietà delle operazioni fatturate, riscontri mancanti nel caso concreto, tanto più che il contribuente aveva provveduto, nel corso del giudizio di primo grado, a produrre documenti idonei a dimostrare che a monte delle fatture esistevano contratti regolari; evidenziava inoltre che tali documenti dovevano considerarsi pienamente utilizzabili, non risultando che in sede di verifica fosse stata rivolta al contribuente una specifica richiesta dei documenti successivamente prodotti in sede contenziosa, nè risultando opposto dal contribuente alcun rifiuto all’esibizione di tali documenti.

Quanto poi alla questione concernente l’omessa fatturazione della prestazione di servizi, osservava che poichè le prestazioni di servizi sono soggette ad Iva solo se rese verso corrispettivo e si considerano effettuate all’atto del relativo pagamento, da un attento esame dell’avviso di accertamento risultava che la società aveva correttamente rilevato un ricavo ai fini economici ed un credito ai fini patrimoniali, secondo la tecnica della contabilizzazione che sovrintende al completamento di una prestazione di servizi senza emissione di fattura, non rilevando in alcun modo che nemmeno nell’esercizio successivo fosse stata emessa la relativa fattura, in forza del principio dell’autonomia di ogni annualità di imposta.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste la curatela del Fallimento (OMISSIS) mediante controricorso. Quest’ultima ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto proprio la genericità delle fatture, prive delle indicazioni prescritte dal cit. art. 21, comma 6, aveva impedito all’Amministrazione finanziaria di effettuare i controlli sulla detraibilità dell’Iva e sulla deducibilità ai fini dell’imposizione diretta, risultando perciò violato dalla CTR il principio, posto a presidio del riparto dell’onere della prova, secondo il quale mentre all’amministrazione spetta dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa azionata fornendo la prova di elementi rivelatori di un maggior imponibile, al contribuente spetta provare l’esistenza di fatti che danno luogo ad oneri e costi deducibili, nonchè il requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR erroneamente considerato validi i documenti prodotti dal contribuente non in sede di verifica ma nel corso del giudizio di primo grado, in quanto proprio il verbale di constatazione indicava chiaramente che i funzionari verbalizzanti, dopo le presentazioni di rito e l’esibizione dell’ordine di accesso, invitavano la parte ad esibire tutti i libri ed i registri ed i documenti attinenti all’attività di impresa con l’avviso che, in mancanza, i documenti non prodotti in sede di verifica non sarebbero stati presi in considerazione in sede contenziosa.

3. Con il terzo motivo l’Agenzia si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, e dell’art. 1665 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto in tema di prestazione di servizi il momento del pagamento del corrispettivo non può essere “sine die” ma deve risultare da accordi contrattuali, in assenza dei quali trova applicazione l’art. 1665 c.c., che, in tema di appalto, stabilisce che l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo nel momento in cui l’opera viene accettata dal committente, sicchè, non risultando che nel caso concreto le parti avessero sollevato eccezioni sulla qualità e completezza delle prestazioni terminate nell’anno 2004, entro tale anno il corrispettivo doveva essere pagato ed emessa la fattura.

4. I primi due motivi vanno congiuntamente esaminati, in quanto connessi, e sono infondati.

4.1. Come correttamente premesso dalla ricorrente, in tema di deducibilità di costi risultanti da fatture generiche, effettivamente l’onere della prova va posto a carico del contribuente: come osserva Cass. n. 13882/2018 (in parte motiva), proprio in relazione ad un caso caratterizzato dalla genericità delle fatture in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, “l’Amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dalla Dir. n. 2006/112/CE, art. 219, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’I.v.a. l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere o no la detrazione richiesta (così Corte giust. UE, 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliarios e Turisticos SA v Autoridade Tribudria e Aduaneira)”.

4.2. Nondimeno, con riferimento al caso in esame, la CTR ha dato atto della circostanza che il contribuente aveva concretamente assolto il prescritto onere probatorio, fornendo una convincente dimostrazione dell’esistenza di contratti che, in riferimento a fatture ritenute succinte dall’Ufficio, evidenziavano puntualmente il contenuto dei lavori realizzati, il tempo ed il luogo dell’esecuzione della prestazione, il personale impiegato e le ore lavorate, consentendo pertanto di ritenere giustificati i costi ripresi a tassazione.

4.3. Riguardo a tale ultima circostanza, poi, la CTR ha considerato pienamente utilizzabili i documenti giustificativi prodotti dal contribuente solo nel corso del giudizio di primo grado, dovendosi perciò sottoporre a verifica, come sollecitato dal secondo motivo, la legittimità di tale soluzione.

Come condivisibilmente statuito da Cass. n. 16536/2010 “in tema di accertamento dell’IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, il quale esclude la possibilità di prendere in considerazione a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti (libri, scritture, registri, etc.) che non siano stati acquisiti durante gli accessi perchè il contribuente ha rifiutato di esibirli o perchè ha dichiarato di non possederli, o perchè li ha comunque sottratti al controllo, costituisce norma facente eccezione a regole generali, che non può essere applicata oltre i casi ed i tempi da essa considerati e deve essere interpretata, in coerenza ed alla luce dei principi affermati dagli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e di obbligare il contribuente alla effettuazione di pagamenti non dovuti e, quindi, nel senso che, per essere sanzionato con la perdita della facoltà di produrre i libri e le altre scritture, il contribuente stesso deve aver tenuto un comportamento diretto a sottrarsi alla prova e, dunque, capace di far fondatamente dubitare della genuinità di documenti che affiorino soltanto in seguito nel corso di giudizio”.

Nel caso in esame la CTR ha fatto corretta applicazione di tale principio, evidenziando che “non vi è prova in atti che in sede di verifica sia stata rivolta al contribuente specifica richiesta di esibizione di documenti successivamente prodotti in sede contenziosa, nè risulta altresì che il contribuente abbia opposto un rifiuto alla esibizione dei documenti stessi”.

La prospettazione dell’Agenzia, secondo la quale, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il verbale di constatazione conteneva l’invito ad esibire tutti i libri e registri ed i documenti attinenti all’attività di impresa, si contrappone in maniera del tutto assertiva a quanto accertato dalla CTR e rimane priva di concreto riscontro: non solo, infatti, la ricorrente omette di precisare se e quando abbia rappresentato tale circostanza nel corso del giudizio di appello, ma soprattutto omette di trascrivere analiticamente il contenuto del verbale, in modo da consentirne l’esame dell’effettivo contenuto (e dunque se realmente quest’ultimo contenesse l’invito rivolto alla parte di esibire i documenti in suo possesso).

5. Il motivo terzo motivo, con il quale l’Agenzia invoca l’applicazione dell’art. 1665 c.c. al fine di dimostrare l’avvenuto pagamento del corrispettivo delle prestazioni di servizi completate nel corso dell’anno 2004, è infondato.

5.1. Come correttamente rimarcato da Cass. n. 13209/2009 “le prestazioni di servizi sono soggette all’IVA, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 3, soltanto se rese verso corrispettivo, e si considerano effettuate all’atto del relativo pagamento, cosicchè prima di tale momento non sussiste alcun obbligo (ma solo la facoltà) di emettere fattura o di pagare l’imposta. Ne consegue che la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi non può prescindere, in mancanza di fatturazione o auto fatturazione spontanea, dall’accertamento che il pagamento del corrispettivo sia stato effettuato, non essendo sufficiente la dimostrazione della sussistenza materiale della prestazione”.

Nello stesso senso si è pronunciata Cass. 21870/2018, secondo cui “in tema di IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, disponendo che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, pone una presunzione assoluta di corrispondenza tra la data della sua percezione e la data di esecuzione della prestazione, cui il corrispettivo si riferisce: ne deriva che, ogni qual volta si debba individuare quando una determinata prestazione di servizi è stata effettuata, non rileva accertare la data nella quale storicamente la medesima sia stata eseguita, bensì (salvo il caso di precedente emissione di fattura) quella di percezione del relativo corrispettivo”.

La sentenza impugnata, escludendo l’obbligo di fatturazione in assenza della prova del pagamento del corrispettivo, ha fatto corretta applicazione di tali principi; nè in contrario può rilevare il richiamo all’art. 1665 c.c., u.c., (che in tema di appalto prevede l’insorgenza del diritto dell’appaltatore al pagamento quando l’opera è stata accettata dal committente), in quanto la circostanza che in capo all’appaltatore sia insorto il diritto al pagamento non implica affatto che l’esborso del corrispettivo sia anche concretamente avvenuto.

6. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso; le spese della presente fase di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; pone le spese della presente fase di legittimità a carico della ricorrente, liquidandole in Euro 13.300 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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