Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14679 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 26/05/2021), n.14679

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2259/2020 proposto da:

M.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENRICO VARALI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2215/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/05/2019 R.G.N. 523/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/01/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 2215 del 2019, ha respinto il gravame proposto da M.S., cittadino del Bangladesh, avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente, in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato il suo paese di origine perchè, nel 2011, suo fratello aveva provocato lesioni alla fidanzata che era andata sposa ad un altro, sicchè egli sarebbe stato ricercato dalla polizia per il solo fatto di essere fratello dell’aggressore; successivamente, innanzi al Tribunale, aveva precisato che era andato via dal Bangladesh nel (OMISSIS) perchè il fratello aveva ferito con l’acido la sua ragazza che non voleva più sposarlo; a seguito della denuncia del padre della ragazzo, presentata anche nei suoi confronti perchè la ragazza aveva affermato che aveva aiutato il fratello, fu emesso il (OMISSIS) un mandato di arresto nei suoi confronti; il richiedente aveva, poi, detto di essere riuscito ad evitare la cattura con l’aiuto di alcune persone (un portiere dello stabile che lo aveva avvisato che la polizia lo cercava) e di essere fuggito per il timore di essere arrestato nell'(OMISSIS).

3. A fondamento della decisione la Corte ha rilevato che, in relazione ad una vicenda di natura personale ormai remota, la versione fornita era generica, priva del minimo riscontro concreto ed inverosimile quanto alle modalità in cui si assumeva che si fosse svolta (coinvolgimento per un reato pacificamente commesso dal fratello e arresto evitato per la sola dichiarazione del portiere); ha escluso, dalle fonti consultate, che nel paese di provenienza vi fosse una situazione di violenza generalizzata o indiscriminata tale da comportare una minaccia grave ed individuale in caso di rientro; ha sottolineato la mancanza di qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, per la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

4. Avverso il suddetto provvedimento della Corte di appello M.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360, nn. 4 e 5, in reazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la Corte di appello omesso di considerare un fatto decisivo per la causa costituito dal mandato di arresto prodotto dal ricorrente sin dall’audizione innanzi alla Commissione e per avere, di conseguenza, assunto un giudizio di non credibilità del racconto sulla base di proprie considerazioni apodittiche, disancorate dagli elementi di prova offerti e in violazione dei criteri legali di valutazione della prova.

3. Con il secondo motivo ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, si censura la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, in quanto la Corte di appello non aveva esaminato la richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria in relazione alla condizione di vulnerabilità e alla condizione di vita del ricorrente introdotte in giudizio e per avere omesso di considerare un documento decisivo per la causa, adottando sul punto una motivazione apparente e perplessa, laddove si è fatto riferimento ad una mancata allegazione nonostante la produzione in giudizio di copiosa documentazione.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera ed immotivata opinione del giudice, essendo piuttosto il risultato complesso di una procedimentalizzazione della decisione, da compiersi alla strega dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” senza dar rilievo esclusivo e determinate a mere discordanze o contraddizioni in aspetti secondari o isolati del racconto; detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti, dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. n. 14674 del 2020; Cass. n. 9811 del 2020).

6. Nella fattispecie, la Corte di merito si è attenuta a tali principi, seguendo correttamente l’iter di valutazione della credibilità, senza omettere alcun passaggio, e considerando in sostanza lo sforzo del richiedente teso a circostanziare la domanda, gli elementi in suo possesso, la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni nonchè la data di presentazione della domanda di protezione internazionale (Cass. n. 11925 del 2020; Cass. n. 21142 del 2019), con un giudizio di fatto congruamente motivato e, pertanto, incensurabile in questa sede.

7. Infatti, a fronte di una vicenda di natura prevalentemente personale (non specificamente impugnata), la Corte è giunta al mancato convincimento di non veridicità attraverso un controllo delle dichiarazioni del richiedente – non suffragate da prove – non soltanto secondo i parametri di coerenza interna ed esterna, ma anche attraverso una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda.

8. L’accertata inattendibilità rende, conseguentemente, inammissibili le censure (di cui agli altri motivi) riguardanti le richieste di concessione dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), (Cass. n. 8819 del 2020; Cass. n. 2954 del 2020).

9. Inammissibile è anche la doglianza circa l’omesso esame del mandato di arresto che la Corte ha esaminato ritenendo, in pratica, che lo stesso non fosse da mettere in relazione alla vicenda così come narrata.

10. Anche il secondo motivo è inammissibile.

11. La Corte territoriale, con una motivazione dalla quale è possibile desumere la ratio decidendi (e che pertanto resiste alla denunciata doglianza circa la nullità del provvedimento ex art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, cfr. Cass. n. 3819 del 2020 per tutte) ha specificato che mancava qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, per ravvisare i presupposti per la concessione della protezione umanitaria D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 3.

12. Le censure prospettate con il motivo si presentano generiche perchè il mero richiamo alla circostanza dell’omessa valutazione della documentazione attestante il percorso lavorativo e di integrazione sociale (con la unica indicazione degli allegati e non del loro contenuto) non è sufficiente in questa sede per sindacare correttamente il vizio denunciato, in assenza di precise indicazioni sul grado e sulla tipologia della eventuale integrazione sociale raggiunta nonchè sulla ipotizzabile compromissione dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio.

13. Anche in ordine al rischio che esso richiedente avrebbe corso in caso di rientro in patria (essere cioè condotto in carcere sulla base di una accusa falsa), a fronte delle argomentazioni dei giudici di seconde cure circa la non credibilità del racconto e della qualificazione della vicenda, come sopra precisata, non sono stati offerti elementi utili per contrastare l’assunto decisione della Corte di merito su tale specifico punto.

14. Alla stregua di quanto esposto deve essere, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

15. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza ei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

 

 

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