Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14679 del 11/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 14679 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 364-2012 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresetentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO,
TRIOLO VINCENZO giusta mandato speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro
DI TURI DOMENICO;
– intimato avverso la sentenza n. 6418/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 21/12/2010, depositata il 22/12/2010;

Data pubblicazione: 11/06/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/04/2013 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato Antonietta Coretti difensore del ricorrente che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che

aderisce alla relazione.

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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione del seguente contenuto:
“Il consigliere relatore osserva quanto segue.
1. Di Turi Domenico operaio agricolo a tempo determinato, si
rivolse al giudice del lavoro di Bari per ottenere il ricalcolo dell’indennità
di disoccupazione agricola corrisposta in relazione alle giornate di lavoro
effettuate nell’anno 2000, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 16.4.97 n. 146, in
relazione alla retribuzione fissata dalla contrattazione integrativa collettiva
della provincia, anziché in base al salario medio convenzionale rilevato
nell’anno 1995 e non più incrementato.
2. Rigettata la domanda e proposto appello dall’assicurato, la Corte
d’appello di Bari (sentenza n. 6418 del 2010), ritenuto che non dovesse
trovare applicazione la decadenza annuale, essendo sottoposta la pretesa
soltanto al limite dell’ordinaria prescrizione decennale, accoglieva
l’impugnazione, con la condanna dell’INPS a riliquidare l’indennità di
disoccupazione corrisposta all’appellante per l’anno di riferimento,
ponendo a base del calcolo il salario fissato pro tempore dalla
contrattazione collettiva provinciale, compresa la c.d. quota di trattamento
di fine rapporto, oltre accessori.
3. Propone ricorso per cassazione l’INPS, prospettando tre motivi
di ricorso. L’intimato non ha svolto difese.
4. Con il primo motivo l’INPS prospetta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 47, comma 3, del dPR 30 aprile 1970, n. 639 e succ.
mod. (art, 360, n. 3, cpc). Deduce il ricorrente che, pur nella
consapevolezza dei principi affermati da Cass. n. 12720/2009, prendeva
atto della rimessione alle Sezioni Unite della questione dell’applicabilità
della decadenza di cui alla normativa richiamata. Assumeva, quindi, che a
proprio avviso doveva farsi applicazione della decadenza annuale prevista
per la proposizione dell’azione giudiziale.
5. Il motivo appare manifestamente infondato (cfr. Cass., n. 7245 del
2012).
6. Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile
1970 n. 639 stabiliva quanto segue: “Esauriti i ricorsi in via amministrativa,
può essere proposta l’azione dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt.
459 e ss. cod. proc. civ. L’azione giudiziaria può essere proposta entro il
termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del
ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza
del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di
controversie in materia di trattamenti pensionistici. L’azione giudiziaria può
essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date di cui al precedente
comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a carico
dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la
disoccupazione involontaria “.
7. Come è noto, i termini stabiliti dall’articolo di legge citato erano stati
ritenuti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 21 giugno 1990 n. 6245)
di decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a dire finalizzata unicamente
a delimitare l’efficacia temporale della condizione di procedibilità della
domanda giudiziaria, rappresentata dall’attivazione e dall’esaurimento del
procedimento amministrativo.
8. Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con

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modificazioni nella legge 1 ° giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte Cost., con
la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art. 47 D.P.R.
n.639/70, venne poi stabilito: “1 – I termini previsti dall ‘art. 47, commi
secondo e terzo del D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza
per I ‘esercizio del diritto alla prestazione previdenziale . la decadenza
determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni
previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di
mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono dall
‘insorgenza del diritto ai singoli ratei. 2 – Le disposizioni di cui al comma
precedente hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che
sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto “.
9. Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e
terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai seguenti: “Per le
controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può
essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di
comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi
dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della
predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per
l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla
data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in
materia di prestazioni della gestione di cui all ‘art. 24 della legge 9 marzo 1989
n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il
termine di un anno dalle date di cui al precedente comma”.
10.
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni
indicate “non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di
entrata i n vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data “.
11.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d), del D.L. 6
luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto al
citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le decadenze previste dai
commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di
accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al quarto comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett c) e d) si
applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto “.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurispru12.
denza consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo, sulla
base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, cfr., ad es., Cass. 20 gennaio 2010 n.
948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui interessa e fino alla citata
recente novella del 2011, nel senso della inapplicabilità della decadenza alle
domande di adeguamento di prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720
13.
del 29 maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza di cui al
D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo
1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n.
166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda

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giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come
avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o
in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una
componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia
quello della ordinaria prescrizione decennale”. Recentemente, peraltro, la
questione era stata nuovamente rimessa da un collegio della sezione lavoro, con
ordinanza interlocutoria depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni
unite di questa Corte, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non
apparirebbe giustificata dal tenore lettera-le e dalla considerazione delle finalità
della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di azione in materia di
prestazioni previdenziali. Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di
rimessione alle sezioni uni-te della Corte e la data dell’udienza avanti a queste
ultime, la citata novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L.
6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 1111’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della considerazione della
necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della questione le
sezioni unite, alla luce della valutazione della eventuale incidenza delle norme
di legge citate sulla interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, e14.
sprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata
efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale consolidatasi per effetto delle
recente pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma indirettamente la
corrispondenza di quest’ultima all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo
vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite
15.
della Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo stesso
legislatore convincono in definitiva il collegio della inapplicabilità dell’art. 47
del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate dell’art. 38
del D.L. n. 98 del 2011, al caso di richiesta di riliquidazione di prestazioni
previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Con il secondo motivo l’Istituto assume la violazione e
16.
falsa applicazione dell’art. 18, comma 18 del d.l. n. 98 del 2011 conv.
dalla legge n. 111 del 2011 (art. 360, n. 3, cpc). Ed infatti alla luce della
suddetta disposizione non poteva considerarsi il tfr come componente
della retribuzione.
Con il terzo motivo di impugnazione, l’INPS deduce
17.
violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 49, e 53 del CCNL operai
agricoli e florovivaisti del 10.7.98, in relazione all’art. 6, c. 4, lett. a) del
d.lgs. 2.9.97 n. 314 ed agli artt. 1362 segg. e 2120 c.c., nonché 4, c. 10 e
11, della 1. 29.5.82 n. 297; contesta la tesi della Corte d’appello che
l’emolumento denominato trattamento di fine rapporto (t.f.r.) corrisposto
agli operai agricoli a tempo determinato costituisca una componente della
retribuzione, come tale idonea a determinare la indennità di
disoccupazione, e non salario differito, escluso ai sensi del detto art. 6, c.
4, lettera a), sia dalla base imponibile dei contributi previdenziali, sia dalla
retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in agricoltura.
I suddetti due motivi di ricorso devono essere esaminati
18.
congiuntamente. Gli stessi appaiono manifestamente fondati

19.
Confermando quanto già ritenuto con la sentenza 9.5.07 n.
10546, secondo cui ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee
in agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla contrattazione
collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario medio
convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146 – non è comprensiva del
trattamento di fine rapporto, questa Corte ha ulteriormente affermato che
“sulla base del suddetto principio, la voce denominata quota di t.f.r. dai
contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal
computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà
espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della
disposizione di cui al d.l. 14.6.96 n. 318, art. 3, conv. dalla 1. 29.7.96, n.
402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, [la retribuzione dovuta in
base agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità
rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta
voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti,
non , è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte
dell’autonomia collettiva” (v. Cass. 5.1.11 n. 202, ord. n. 18516 del 2011 e
numerose altre conformi).
20.
Tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato dal
legislatore, il quale con norma interpretativa contenuta nell’art. 18, comma
18, del d.l. 6.07.11 n. 98, convertito dalla legge n. 111 del 2011, prevede
che “1 art. 4 del decreto legislativo 16 aprile 1997 n. 146, e l’articolo 01,
comma 5, del decreto- legge 10 gennaio 2006 n. 2, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso
che la retribuzione, utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in
favore degli operai agricoli a tempo determinato, non è comprensiva della
voce del trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla
contrattazione collettiva” (citata Cass., ord. n. 18516 del 2011).
21.
H ricorso è, dunque, manifestamente infondato con riguardo
al primo motivo, mentre è manifestamente fondato, con riguardo al
secondo ed al terzo motivo, e deve essere accolto in ordine agli stessi. Non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell art. 384, c. 1,
cpc può provvedersi nel merito e rigettarsi la domanda.
22.
Il Collegio condivide e fa proprie le osservazioni che precedono
e, pertanto, Corte rigetta il primo motivo di ricorso accoglie gli ulteriori due
motivi. Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e decidendo nel
merito rigetta la domanda quanto all’inclusione della quota di TFR nella base di
calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola. In ragione dell’articolato iter
legislativo e giurisprudenziale sussistono giusti motivi per compensare tra le
parti le spese dell’intero giudizio.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso accoglie gli ulteriori due
motivi. Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e decidendo nel
merito rigetta la domanda quanto all’inclusione della quota di TFR nella base di
calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola. Compensa tra le parti le spese
dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma il 18 aprile 2013.

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