Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14676 del 29/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 29/05/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 29/05/2019), n.14676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14461-2013 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LUNGOTEVERE RAFFAELLO SANZIO 9, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO LUCIANI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.G., rappresentato e difeso da sè stesso (ex art. 86

c.p.c.), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI PARIOLI 76,

presso lo studio dell’avvocato MARCELLO LIBERATI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 213/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/02/2013 R.G.N. 1001/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito

l’Avvocato MASSIMO LUCIANI;

udito l’Avvocato P.G..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 213 del 2013, ha accolto l’impugnazione proposta dall’avvocato P.G. nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (in seguito Cassa), avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dal medesimo avvocato tesa ad ottenere la condanna della Cassa al pagamento in proprio favore dell’indennità di maternità (in sostituzione della madre), a seguito dell’adozione di due bambini nati entrambi l’11 marzo 1998 ed entrati in casa familiare il 10.12.2008, in forza della pronuncia della Corte Costituzionale n. 385 del 2005 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72,nella parte in cui non prevedevano che al padre spettasse il diritto a percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità in caso di adozione.

2. La Corte territoriale ha respinto l’eccezione della Cassa relativa alla valenza meramente programmatica e non direttamente precettiva della sentenza della Corte costituzionale invocata, confermata dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 285 del 2010, ed ha altresì rilevato che la questione ulteriore, sollevata dalla Cassa, relativa alla determinazione degli importi sulla base del reddito di uno solo dei coniugi non meritava di essere ulteriormente approfondita con integrazioni istruttorie che avrebbero inevitabilmente comportato, pur senza che ve ne fosse l’intenzione, una sorta di discriminazione di genere.

3. Avverso tale sentenza la Cassa ricorre per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria. L’avvocato P. resiste con controricorso pure illustrato da memoria.

4. Il ricorso viene discusso in pubblica udienza a seguito della ordinanza che ha ciò disposto nel corso dell’adunanza camerale del 7 novembre 2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72, anche con riferimento agli effetti della sentenza n. 385 del 2005 della Corte Costituzionale, ritenuta dalla ricorrente priva di immediata efficacia precettiva in quanto additiva di principio, laddove, ad avviso della sentenza impugnata, la sentenza della Corte Costituzionale citata non necessita dell’intervento integrativo del legislatore per realizzare il principio di eguaglianza in essa affermato.

2. Con il secondo motivo di ricorso, subordinato rispetto al primo, si deduce la violazione e o falsa applicazione, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72 in relazione al fatto che la sentenza impugnata ha liquidato all’avvocato P. la somma di Euro 37.538,66, con ciò incorrendo in errore interpretativo.

3. In particolare, la Cassa ricorrente deduce che è stato stabilito che l’importo dovuto debba essere pari ai 5/12 dell’80% del reddito percepito nel secondo anno precedente, per ciascuno dei due figli adottivi, in palese violazione del disposto del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72 che non prevedono moltiplicazioni dell’indennità in questione. Peraltro, ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe pure affermato in modo erroneo che non vi era stata contestazione sul piano contabile e contributivo, laddove, sin dal primo grado la pretesa era stato contestata totalmente e, semmai, quella che non era stata specificamente contestata era stata l’entità dei redditi indicati dall’avvocato P..

4. Il primo motivo è infondato. Questa Corte di cassazione ha già affrontato la questione ora prospettata con la sentenza n. 10282 del 27 aprile 2018, i cui contenuti hanno trovato avallo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale con la sentenza n. 105 del 2018.

5. Si è in tale occasione affermato che ove l’accertamento dell’ulteriore presupposto della fruizione alternativa alla madre, richiesto per il riconoscimento del diritto all’indennità da parte del padre, non è compreso nel tema devoluto al giudizio, è evidente che la disamina della mera questione giuridica proposta con il motivo di ricorso per cassazione deve limitarsi alla sola verifica della legittimità dell’applicazione alla concreta fattispecie della norma risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 385 del 2005.

6. Tale pronuncia, preso atto che il D.Lgs. n. 151 del 2001, riconoscendo il diritto all’indennità genitoriale al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente ed escludendolo, viceversa, nei confronti di coloro che esercitino una libera professione, i quali non hanno la facoltà di avvalersi del congedo e dell’indennità in alternativa alla madre, ha affermato che ” tale discriminazione rappresenta un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore. Come si evince dalla ratio sottesa agli interventi normativi sopra ricordati nonchè dalla lettura delle motivazioni dei precedenti di questa Corte, gli istituti nati a salvaguardia della maternità, in particolare i congedi ed i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino “che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità” (sentenza Corte Cost. n. 179 del 1993).

7. Nell’ipotesi di affidamento e di adozione, ove l’astensione dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della madre ma mira in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino, “creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali entrambi protagonisti, nell’esercizio dei loro doveri e diritti, della buona riuscita del delicato compito” loro attribuito (sentenza n. 341 del 1991)- continua Corte Costituzionale n. 385 del 2005-al il fine di realizzare, in caso di adozione e affidamento, la garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, non riconoscere l’eventuale diritto del padre all’indennità costituirebbe un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali. Per questo occorre garantire “un’effettiva parità di trattamento fra i genitori nel preminente interesse del minore che risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se essi non avessero la possibilità di accordarsi per un’organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ammettendo anche il padre ad usufruire dell’indennità di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70 in alternativa alla madre. In caso contrario, nei nuclei familiari in cui il padre esercita una libera professione verrebbe negata ai coniugi “la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere” alle sue esigenze, scelta che, secondo la giurisprudenza menzionata di questa Corte, non può che essere rimessa in via esclusiva all’accordo dei genitori, “in spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio” (sentenza n. 179 del 1993).

8. La Corte Costituzionale ha, poi, evidenziato che il principio di uguaglianza implica che non possa non riconoscersi anche al professionista padre tale facoltà posto che la legge la riconosce ai padri che svolgano un’attività di lavoro dipendente e la non estensione di analoga facoltà ai liberi professionisti determina “una disparità di trattamento fra lavoratori che non appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti, fra le diverse figure (differenze che non riguardano, certo, il diritto a partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla madre), e non consente a questa categoria di padri-lavoratori di godere, alla pari delle altre, di quella protezione che l’ordinamento assicura in occasione della genitorialità, anche adottiva”.

9. Tale situazione di assenza di tutela, in difetto di effettiva giustificazione, è stata, quindi, ritenuta da Corte Costituzionale n. 385 del 2005 come discriminatoria con la consequenziale illegittimità costituzionale, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, artt. 70 e 72, nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l’indennità di maternità, attribuita solo a quest’ultima. Anche se, conclude Corte Cost. n. 385 del 2005, “nel rispetto dei principi sanciti da questa Corte, rimane comunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela”.

10.Trattasi, quindi, di pronuncia di accoglimento cui la tradizione dottrinale associa la qualificazione di “additiva di principio”. Tale tipo di pronuncia costituzionale, tuttavia, come rilevato da questa Corte di legittimità in fattispecie ove la disciplina applicabile è stata interessata da tale tipo di pronuncia (vd. Cass. n. 8097 del 2015 in ragione della tutela di diritti fondamentali e doveri di assistenza morale e materiale condizionante l’assetto della vita, in ipotesi di rettifica del sesso di persona coniugata) non elide la specificità degli effetti delle pronunce di accoglimento così come indicati nell’art. 136 Cost., comma 1. La regola relativa al mancato riconoscimento del diritto del padre adottivo, libero professionista, di fruire dell’indennità genitoriale obbligatoria in luogo della madre, ha cessato di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale (art. 136 Cost., comma 1).

11. Appare pertanto evidente che l’illegittimità costituzionale ha colpito la norma nella porzione mancante, da cui derivava la violazione dell’obbligo di parità di trattamento, posto che la Corte Costituzionale con la sentenza invocata ha espressamente indicato che il fine di garantire una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia unitamente al raggiungimento dell’effettiva parità di trattamento fra i genitori, nel preminente interesse del minore, risulterebbero gravemente compromessi ed incompleti se essi non avessero la possibilità di accordarsi per un’organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ed è per questo che deve ammettersi anche il padre ad usufruire dell’indennità di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70 in alternativa alla madre.

12. E’ sotto questo particolare aspetto della individuazione della regola da adottare per disciplinare tra i genitori “la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere” alle sue esigenze, in spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio, (sentenza n. 179 del 1993), che la Corte Costituzionale ha attribuito al futuro legislatore il compito “di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela”.

13.Ciò, però, non può eliminare che la sentenza costituzionale esplichi effetti laddove il solo effetto dichiarativo della medesima pronuncia, come nel caso di specie, consenta di per sè il riconoscimento del diritto dell’odierna parte intimata ad ottenere l’indennità genitoriale, in ragione di quel diritto alla parità di trattamento che ha determinato la decisione della Corte Costituzionale in oggetto.

14. La Corte ha ritenuto discriminatorio il mancato riconoscimento del diritto del padre adottivo a fruire dell’indennità in luogo della madre, rispetto alla analoga situazione del lavoratore dipendente, e già la dichiarazione di tale discriminazione ha determinato il primo l’effetto di eliminazione dalla norma dell’irrazionale disparità di trattamento; in via ulteriore, la Corte Costituzionale ha rilevato la ingiustificata disparità di trattamento con il lavoratore dipendente in punto di mancanza di una regola di concreta gestione, in accordo tra i genitori, del tempo da destinare ai congedi familiari a tutela del minore, e poichè tale mancanza risulta incompatibile con la protezione che la Costituzione riserva al minore, la Corte ha richiesto l’intervento integrativo del legislatore.

15. Deve, pertanto, ritenersi che, nei limiti fattuali e processuali sopra delineati in cui la tutela richiesta si realizza con la mera affermazione del diritto a fruire dell’indennità genitoriale, in assenza di contrasti tra genitori sulla concreta modulazione dei rispettivi diritti, la pronuncia sia auto applicativa e non meramente dichiarativa. Ne consegue che, fermo l’assunto secondo il quale con le pronunce additive di principio la Corte non immette direttamente nell’ordinamento una concreta regola positiva, nel rispetto della competenza legislativa del Parlamento, non può essere contestato che l’affermazione del diritto del padre adottivo libero professionista, in alternativa alla madre, a fruire dell’indennità di maternità ha natura imperativa e deve essere applicato con l’efficacia stabilita dall’art. 136 Cost..

16. In attesa dell’intervento del legislatore per gli aspetti richiesti dalla Corte Costituzionale, il giudice a quo è, comunque, tenuto ad individuare sul piano interpretativo la regola per il caso concreto che dia concreta vitalità al principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento. Corte Costituzionale n. 385 del 2005 ha indicato nettamente al giudice il nucleo di diritti da proteggere, per cui si impone un adeguamento necessario.

17. Il secondo motivo è fondato e va accolto.

18. In particolare, non può ritenersi che sull’esatta quantificazione dell’importo dovuto a titolo di indennità di paternità si sia creata una preclusione a causa della specifica mancata contestazione da parte della Cassa in ordine agli importi richiesti. Questa Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che laddove, come nel caso di specie, la quantificazione di un trattamento economico sia stabilito direttamente dalla legge, non può trovare applicazione il principio di non contestazione, in quanto espressione del principio dispositivo delle parti, rilevante solo ove non in contrasto con norme imperative di legge (Cass. n. 8070 del 2014).

19. Peraltro è appena il caso di notare che la questione sollevata con il motivo in esame non è questione che involge l’accertamento in concreto di fatti costitutivi del diritto ma bensì questione di diritto che, riguardando l’esatta interpretazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72 che prevedono il diritto all’indennità di maternità/paternità, tocca anche la sua misura in ragione all’adozione allo stesso momento di due figli. Anche per tale ragione, dunque, la questione è ammissibile e va esaminata.

20. Si tratta in sostanza di stabilire se, laddove l’adozione abbia riguardato contemporaneamente due minori, l’indennità di maternità/paternità debba essere corrisposta in misura doppia rispetto all’importo corrispondente all’80 per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dal libero professionista nel secondo anno precedente a quello dell’evento, che corrisponde alla regola prevista dal citato D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70.

21. Dall’esame complessivo di tale testo unico si evince un diverso atteggiamento del legislatore, nell’ipotesi di filiazione plurima, quanto al congedo di maternità (o paternità) e quanto ai congedi parentali.

22. In particolare, nel complesso delle disposizioni relative al congedo di maternità spettante alle lavoratrici subordinate ed a domicilio (artt. 22 e 61 D.Lgs. cit.), a quelle autonome (art. 66 D.Lgs. cit.), a quelle para subordinate (art. 64 D.Lgs. cit.), alle libere professioniste (art. 70 D.Lgs. cit.), nonchè ancora nelle disposizioni che prevedono l’autonomo congedo di paternità in favore del padre (art. 28 D.Lgs. cit., L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 354), non vi è alcun riferimento alla ipotesi che il parto o l’adozione siano plurimi, e le tutele anche economiche sono riferite esclusivamente all’evento parto o adozione in sè considerato, a prescindere da quanti siano i figli nati.

23. L’ipotesi del parto plurimo è invece oggetto di specifica previsione nel D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 41, laddove si afferma che ” In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall’art. 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre”; ancora, significativamente, l’art. 32 (Congedo parentale) riconosce che ” Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo”; pure si fa riferimento a ciascun minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 4, comma 1, nel D.Lgs. n. 151 del 2011, art. 33 a proposito del prolungamento del congedo; ugualmente il permesso per malattia è previsto per ciascun genitore, alternativamente, e per ciascun bambino (art. 47 D.Lgs. n. 151 cit.). Tali previsioni, per espressa volontà di legge (vd. art. 36 D.Lgs. cit.; art. 46 D.Lgs. cit.; 50 D.Lgs. cit.) sono estese anche all’ipotesi di adozione sia nazionale che internazionale.

24. Dal complessivo sistema sopra ricordato nelle linee essenziali, si evince che il legislatore ha ritenuto rilevante il numero dei figli nati dall’unico parto o adottati nello stesso momento, allorchè ha apprestato le tutele parentali, mentre quanto al congedo di maternità o paternità (tradizionalmente inteso come congedo obbligatorio) il disposto normativo non distingue la posizione dei figli da quelli dei genitori e la tutela complessiva, sia essa apprestata in termini di sospensione obbligatoria dell’attività (per i lavoratori dipendenti ed assimilati) che in termini economici (per tutti), non si presta ad essere moltiplicata in relazione al numero dei figli generati.

25. Ciò, verosimilmente, in ragione del fatto che nella fase di ingresso del figlio in famiglia, di maggior impatto anche organizzativo sulla vita del genitore, il legislatore ha ritenuto adeguata la tutela della sospensione del rapporto di lavoro e quella dell’erogazione di una indennità economica a compensazione della flessione del reddito derivante dalla sospensione dell’attività stessa, in modo da contenere la perdita economica. Dunque, seppure non si assicura il pieno mantenimento dei livelli precedenti viene attribuito un importo significativo, pari comunque all’ottanta per cento del reddito pregresso. E’evidente che sotto questo profilo il numero dei figli, seppure certamente rilevante ai fini della concessione di altre misure di sostegno familiare di cui è destinatario il figlio stesso in sè considerato, non assume autonomo rilievo.

26. Ciò è particolarmente evidente nell’area del lavoro subordinato ove, vigendo la regola del divieto di lavoro nel periodo dei due mesi precedenti il parto e nei tre mesi successivi e salva la flessibilità prevista all’interno dei cinque mesi complessivi dall’art. 16 D.Lgs. cit., va corrisposto un importo correlato (D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 23) a quello della retribuzione media globale giornaliera, e cioè all’importo che si ottiene dividendo per trenta l’importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo.

27. A fronte di tali considerazioni di carattere generale, va osservato che ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 71,comma 1, nei confronti delle libere professioniste vige la diversa regola per cui l’indennità di cui all’art. 70 è corrisposta, indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività professionale.

28. Dunque, a differenza delle ipotesi del lavoro dipendente, la professionista o il professionista che si trova nella condizione di fruire dell’indennità in parola può continuare la propria attività e, quindi, in teoria non subire alcuna flessione reddituale. Comunque, se la finalità dell’indennità è quella di compensare la eventuale flessione del reddito professionale derivante dalla nascita del figlio, è chiaro che non può certo giustificarsi un importo moltiplicato per il numero dei figli nati o adottati giacchè non può certo immaginarsi che se non vi fosse stato il parto o l’adozione il medesimo professionista avrebbe realizzato redditi moltiplicati a seconda del numero dei figli.

29. Anche la giurisprudenza Europea, opportunamente citata dalla Cassa ricorrente, (Corte giustizia UE, 16 settembre 2010, n. 149, sez. I) ha avuto modo di precisare, in relazione alla titolarità e la funzione del congedo parentale di cui alla clausola 2.1 dell’accordo quadro del 14 dicembre 1995 allegato alla direttiva 96/34/CE (poi abrogata e sostituita dalla recente direttiva 2010/18/UE dell’8 marzo 2010, che ha recepito l’accordo quadro del 19 giugno 2009), che va esclusa la possibilità di attribuire immediato rilievo giuridico alla maggiore gravosità degli oneri in caso di parto gemellare dal momento che non può ritenersi giuridicamente esistente un diritto autonomo del figlio a percepire l’indennità di maternità.

30. La Corte di giustizia ha pure posto in evidenza che va osservato il principio di parità di trattamento, con riferimento ai congedi parentali per parto gemellare ed ha demandato l’applicazione dell’indicato principio alla disciplina legislativa degli Stati membri ricordando che “il legislatore nazionale dispone di un ampio margine di manovra nel definire il regime di congedo parentale applicabile ai genitori di gemelli”.

31. La sentenza ha suggerito alcune soluzioni idonee a consentire una appropriata regolamentazione della fattispecie, quali una durata del congedo significativamente più lunga di quella prevista dall’accordo quadro, modalità più flessibili dell’organizzazione del lavoro, diritto di accesso a strutture di assistenza all’infanzia, eventuali aiuti economici.

32. Per tanto, considerando che il legislatore italiano ha ritenuto di fornire disciplina alla fattispecie di cui si discute attraverso la duplicazione del periodo di congedo parentale, come si ricava dalla lettura dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 32, anche sotto tale profilo, deve ritenersi insussistente il diritto a percepire l’indennità di paternità in misura doppia in ipotesi di parto gemellare o di adozione di gemelli.

33. La soluzione adottata dalla Corte territoriale non è, dunque, corretta e la sentenza, accolto il secondo motivo e rigettato il primo, va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che determinerà l’importo dovuto all’avvocato P. a titolo di indennità di paternità relativa all’adozione dei due figli minori, nati entrambi l’11 marzo 1998 ed entrati in casa familiare il 10.12.2008, secondo quanto previsto nel D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, in misura pari all’80 per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dal libero professionista nel secondo anno precedente a quello dell’ingresso in famiglia dei due minori, senza alcuna moltiplicazione dell’importo, in applicazione dei principi sopra esplicitati.

34. Il giudice del rinvio provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019

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