Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14676 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5128/2019 proposto da:

B.E.S.M., elettivamente domiciliato in Roma

Via Machiavelli, 25 presso lo studio dell’avvocato Sanchez De Las

Heras Emilio che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 28/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto del 28 dicembre 2018, respinge il ricorso proposto da B.E.S.M., cittadina della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessata escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la richiedente alla Commissione territoriale ha raccontato di essere stata vittima di una rapina con accoltellamento e successivamente di un’estorsione e che, poichè i tentativi di estorsione continuavano, ha deciso di lasciare il proprio Paese dove sono rimasti il marito e tre figli;

b) in sede giudiziaria ha riferito invece di una rapina solo tentata;

c) dalla vicenda narrata non risultano correlazioni tra l’espatrio e possibili persecuzioni personali quali richieste per lo status di rifugiato;

d) deve anche essere negata la protezione sussidiaria posto che non sono stati offerti elementi dai quali possa desumersi che la ricorrente in caso di rimpatrio possa risultare esposta al rischio concreto di subire un “danno grave”, del tipo indicato nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) (l’esposizione dello straniero al rischio di morte, tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante), visto che il racconto, relativo a vicende di delinquenza comune, è apparso vago, incoerente e contraddittorio, con aspetti di scarsa verosimiglianza ad esempio sul comportamento dei criminali limitato a semplici richieste estorsive telefoniche (arginate con fermezza dalla ricorrente) e sull’assenza di intimidazioni nei confronti dei familiari della richiedente, negli ultimi anni;

e) con riferimento all’ipotesi di cui al medesimo art. 14, lett. c, va rilevato che dalle notizie raccolte da fonti internazionali affidabili e aggiornate risulta che anche dopo l’accordo del 24 novembre 2016 tra il governo e le FARC (Forze armate rivoluzionarie di Colombia), le comunità native e (OMISSIS) sono rimaste esposte a rischi di subire violenze, ma non segnalano una situazione di “conflitto armato interno” generalizzato e tale esporre la richiedente ad un concreto pericolo nei termini indicati dall’art. 14, lett. c), cit.;

f) infine, non può essere accordata neppure a protezione umanitaria perchè non sono state allegate o documentate dalla ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari avendo l’interessata riferito che in (OMISSIS) conduceva una vita decorosa con marito e figli e non rappresentando un’occupazione lavorativa in Italia un elemento sufficiente per escluderne il rimpatrio in assenza di allegazioni in merito a condizioni di povertà irrimediabile o di impossibilità di soddisfare esigenze primarie di sopravvivenza in patria con violazione dei diritti fondamentali della ricorrente stessa;

3. il ricorso di B.E.S.M., illustrato da memoria, domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso è articolato in quattro motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, rappresentati dalla scomparsa della sorella della richiedente (nell’ambito della tragica piaga dei desaparecidos, che affligge la (OMISSIS) fin dagli anni ‘70) e dall’assassinio di due cugini della richiedente da parte di bande criminali, fatti che hanno spinto la donna a lasciare il marito e tre figli in (OMISSIS) nel terrore di sparire come la sorella o di essere brutalmente assassinata come i cugini;

1.1.1. questi fatti sono stati riferiti dall’interessata alla Commissione territoriale e in sede giudiziaria superando il timore di parlarne, ma il Tribunale, nel decreto impugnato, non ne ha tenuto conto e si è invece soffermato sulla descrizione della rapina subita dalla richiedente, rilevando una discordanza esistente tra la versione narrata alla Commissione (ove di menzionava un episodio di rapina ai propri danni) e quella resa in Tribunale (ove si parlava di una tentata rapina) e aggiungendo che la ricorrente aveva arginato con fermezza le “semplici richieste telefoniche” fatte dai medesimi criminali dopo la rapina, senza neppure considerare che tali richieste ancorchè arginate non potevano considerarsi di per sè indicative della desistenza della banda criminale;

1.1.2. si aggiunge che il Tribunale non ha neppure tenuto conto della situazione di conflitto armato interno che tuttora è una realtà per milioni di (OMISSIS), nonostante l’accordo di pace firmato tra il governo e le FARC (Forze armate rivoluzionarie di Colombia);

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 rilevandosi che, per quanto affermato nel primo motivo, il Tribunale non ha correttamente applicato le norme relative al riconoscimento dello status di rifugiato;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 per la mancata concessione della protezione sussidiaria, basata su una erronea configurazione del “danno grave”, che ha portato il Tribunale ad escludere, nella specie, la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria richiamato art. 14, ex lett. c del tutto erroneamente per quanto detto nei precedenti motivi;

1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riguardo al rigetto della protezione umanitaria, che invece avrebbe dovuto essere in estremo subordine, concessa in considerazione della sproporzione tra le condizioni di vita esistenti in (OMISSIS) e quelle esistenti in Italia nonchè di un contratto di lavoro a tempo indeterminato come collaboratrice domestica stipulato dalla ricorrente;

2. l’esame dei motivi di censura – da effettuare congiuntamente, per ragioni logico-giuridiche – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

3. in linea generale si tratta di censure con le quali, nella sostanza, si esprime un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal Tribunale, che come tale è di per sè inammissibile, rimanendo oggi censurabile l’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice del merito solo come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente e qui applicabile;

3.1. in particolare, in base al testo dell’indicata disposizione successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – qui applicabile ratione temporis – il vizio di motivazione è denunciabile in sede di legittimità solo quando riguardi una ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito la cui erroneità determini una motivazione del tutto omessa (in tutto o in parte), ovvero affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);

3.2. tali ultime evenienze qui non si verificano nè vengono ritualmente denunciate neppure nel primo motivo – in cui si richiama l’art. 360 c.p.c., n. 5 – in quanto in esso si sostiene che la ricorrente avrebbe deciso di espatriare a causa della scomparsa della sorella (nell’ambito della tragica piaga dei desaparecidos, che affligge la (OMISSIS) fin dagli anni ‘70) e dell’assassinio di due suoi cugini da parte di bande criminali e si sostiene che il Tribunale non avrebbe tenuto conto di questi fatti;

3.3. infatti, la censura risulta prospettata senza tenere conti dei costanti indirizzi di questa Corte secondo cui:

a) nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020);

b) pertanto, qualora una determinata questione giuridica implichi un accertamento in fatto e non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, deve denunciare l’omesso esame del fatto su (Ndr: testo originale non comprensibile) indicando in conformità con il principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito, lo abbia già dedotto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (tra le tante: Cass. 29 gennaio 2003, n. 1273; Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 23 settembre 2016, n. 18719; Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038);

4. ne consegue che dalle argomentazioni dei primi tre motivi non risulta attinta la ratio decidendi idonea da sola a sorreggere il rigetto della protezione internazionale, rappresentata dalla qualificazione delle vicende narrate come vicende di delinquenza comune, inserite in un racconto vago, incoerente e contraddittorio, in quanto tali argomentazioni inammissibilmente hanno ad oggetto altri temi, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale sul punto;

4.1. tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le censure, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

5. lo stesso inconveniente si riscontra con riferimento al quarto motivo, con il quale si impugna il rigetto della protezione umanitaria, ponendosi l’accento, anche nella memoria depositata ex art. 380-bis.1 c.p.c., sulla generica sproporzione tra le condizioni di vita esistenti in (OMISSIS) e quelle esistenti in Italia nonchè su un contratto di lavoro a tempo indeterminato come collaboratrice domestica stipulato dalla ricorrente;

5.1. anche tali censure, infatti, non contestano utilmente le rationes decidendi del disposto rigetto, rappresentate dalla mancata allegazione di particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari ovvero di una stabile integrazione in Italia per la quale il Tribunale, in conformità con la costante giurisprudenza di questa Corte, ha considerato non sufficiente un’occupazione lavorativa in Italia, in assenza di allegazioni in merito a condizioni di povertà irrimediabile o di impossibilità di soddisfare esigenze primarie di sopravvivenza in patria con violazione dei diritti fondamentali della ricorrente stessa;

5.2. di conseguenza, anche in questo caso l’anzidetta omessa impugnazione rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure sul punto, essendo le statuizioni non censurate divenute definitive;

Conclusioni.

6. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

7. nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;

8. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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