Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14675 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5127/2019 proposto da:

A.J., elettivamente domiciliato in Roma via Machiavelli, 25

presso lo studio dell’avvocato Emilio Sanchez De Las Heras che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato per legge in Roma Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 13/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto pubblicato il 13 dicembre 2018, respinge il ricorso proposto da A.J., cittadino della (OMISSIS) proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente sia davanti alla Commissione territoriale sia in sede giudiziaria ha dichiarato di essere originario di (OMISSIS) e che, dopo l’uccisione per motivi ereditari del padre e di due fratelli maggiori da parte dei familiari, aveva lasciato la sua città natale per andare a (OMISSIS) da uno zio dove i parenti del padre erano riusciti a rintracciarlo, sicchè si era trasferito nel (OMISSIS) ma tuttora temeva che per le suddette ragioni ereditarie la sua vita poteva essere in pericolo;

b) il ricorrente ha anche riferito di aver subito, come (OMISSIS), violenze da parte di (OMISSIS) e di essere stato sottoposto a torture nel suo passaggio in Libia, durato un anno e sei mesi, essendo stato trattenuto in un centro di detenzione;

c) è condivisibile la conclusione della Commissione territoriale circa l’insussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato;

d) non vi sono i presupposti neppure per la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e neanche per l’ipotesi di cui alla lett. b) cit. articolo, in quanto il ricorrente ha riferito di vicende familiari risalenti nel tempo e non corroborate da alcun riscontro, non rinvenibile neppure nelle fonti internazionali, trattandosi di questione di natura privata;

e) con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) va precisato che da fonti aggiornate e accreditate risulta che in (OMISSIS), pur riscontrandosi criticità, non sussistono nella zona di provenienza del richiedente un conflitto interno o una situazione di violenza generalizzata che consenta la concessione della misura ivi prevista;

f) la situazione è analoga nel (OMISSIS) ove il ricorrente ha detto di essersi trasferito;

g) infine, va respinta anche la domanda per la protezione umanitaria perchè non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari ovvero una stabile integrazione lavorativa in Italia e neanche è emersa una situazione di fragilità da riferire ai traumi subiti nei Paesi di transito della quale possa tenersi conto D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 3;

3. il ricorso di A.J. domanda la cassazione del suddetto decreto per due motivi; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso è articolato in due motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 contestandosi il diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, visto che il ricorrente è stato esposto a minacce gravi e individuali in tutta la sua vita sia nel Paese di origine, sia in (OMISSIS) e poi in Libia dove si è recato prima di giungere in Italia;

1.1.1. si sostiene che la situazione personale del richiedente non sarebbe stata valutata adeguatamente, al pari di quello di (OMISSIS), da cui proviene, anche se non si può dire che questo sia il suo Paese di origine perchè il ricorrente non ha posto radici in nessuno degli Stati in cui ha vissuto essendo sempre stato costretto a fuggire;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sostenendosi che il rifiuto della protezione umanitaria sia stato emesso con motivazione insufficiente visto che il ricorrente – alla ricerca di un futuro migliore e di una vita dignitosa – ha ampiamente specificato le ragioni per le quali tornando in patria correrebbe un serio pericolo per la vita, ha riferito anche dalle torture subite nel suo passaggio in Libia e del lavoro trovato in Italia;

2. l’esame delle censure porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

3. per quanto riguarda la protezione internazionale (primo motivo) alla suddetta conclusione si perviene per l’assorbente ragione che nel ricorso non viene contestata la statuizione del Tribunale secondo cui le vicende narrate, essendo di natura privata, sono estranee al sistema della protezione internazionale, statuizione che è conforme alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte secondo cui le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave soltanto ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, comunque con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b) (tra le altre: Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758);

3.1. ne deriva che la suindicata statuizione – basata su un accertamento di fatto non ritualmente contraddetto – è idonea di per sè a giustificare la contestata decisione di rigetto di ogni forma di protezione internazionale;

3.2. pertanto, la relativa omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le censure sul punto, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

4. analogamente, con riguardo alla protezione umanitaria (secondo motivo), non risultano contestate utilmente dal ricorrente le rationes decidendi del disposto rigetto, rappresentate dalla mancata allegazione di particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari ovvero di una stabile integrazione lavorativa in Italia o anche da una situazione di fragilità riferibile ai traumi subiti durante il soggiorno in Libia;

4.1. nel ricorso tali statuizioni non sono contestate e si fa generico riferimento alle atrocità subite dai reclusi nei centri di detenzione libici e alla volontà del ricorrente di poter svolgere un lavoro che gli consenta una vita dignitosa senza aggiungere altro di significativo;

4.2. di conseguenza, anche in questo caso l’anzidetta omessa impugnazione rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure sul punto, essendo le statuizioni non censurate divenute definitive;

Conclusioni.

5. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

6. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

7. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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