Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14674 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1138/2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma Via del Casale

Strozzi, 31 presso lo studio dell’avvocato Laura Barberio che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato per legge in Roma Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto depositato il 22 novembre 2018, respinge il ricorso proposto da S.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha raccontato di aver lasciato il proprio Paese perchè, dopo che era rimasto orfano dei genitori a causa di un incidente stradale, era andato a vivere dallo zio paterno, insieme con suo fratello e sua sorella, ma lo zio lo maltrattava, impedendogli di frequentare la scuola ed obbligandolo a lavorare nei campi in condizioni schiavistiche; nel corso del viaggio, dopo aver attraversato vari Paesi era arrivato in Libia dove era rimasto per due anni e quindi si era imbarcato per l’Italia;

b) il ricorrente ha precisato di non voler tornare in (OMISSIS) per paura dello zio e delle sue minacce e violenze, ma si tratta di un “timore soggettivo”;

c) la vicenda narrata davanti alla Commissione e confermata in sede giudiziaria non è descritta in modo circostanziato e presenta delle incongruenze; il timore manifestato appare soggettivo, in quanto è illogico e incoerente ipotizzare che lo zio preferisca ucciderlo anzichè conservare un giovane lavoratore per i campi; inoltre desta perplessità anche che il richiedente non si sia rivolto alle Autorità per chiedere protezione;

c) comunque, nella vicenda raccontata non si rinvengono gli estremi per la concessione dello status di rifugiato;

d) neppure può essere concessa la protezione sussidiaria, in quanto non sono stati offerti elementi volti a consentire con attendibilità e coerenza la sussistenza di situazioni di potenziale persecuzione come richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

e) con riferimento all’ipotesi di cui al medesimo art. 14, lett. c va rilevato che dalle notizie raccolte da fonti internazionali affidabili aggiornate si desume che attualmente in (OMISSIS) si registra una forte instabilità dovuta al cambiamento di regime in atto, ma pur fra tante criticità derivanti dal momento di transizione da una ferocissima dittatura alla democrazia può escludersi l’esistenza di una situazione di conflitto armato o assimilabile;

f) infine, non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari che consentano di accordare la protezione umanitaria, nè risulta iniziato un significativo percorso di integrazione nel contesto del Paese ospitante;

3. il ricorso di S.M. domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato;

4. il ricorrente ha anche depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., ma tardivamente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso è articolato in quattro motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge, con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente e al mancato svolgimento, da parte del giudice, del previsto ruolo attivo nell’istruttoria della domanda onde integrare le allegazioni e le prove offerte dall’interessato;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e di numerose ulteriori disposizioni normative con riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e, in particolare, al “timore soggettivo” di persecuzione e agli agenti di persecuzione, anche con riguardo ai paragrafi 40 e 41 del Manuale UNHCR;

1.2.1. si rileva che la Commissione territoriale e poi il Tribunale non hanno considerato che il ricorrente quando ha lasciato il proprio Paese era solo quindicenne e quindi non era in grado di denunciare coloro che lo hanno costretto a vivere come uno schiavo, essendo rimasto orfano;

1.2.2. nella descritta situazione l’asserzione del Tribunale secondo cui il timore riferito sarebbe un “timore soggettivo” come tale escluso dalla protezione internazionale si pone in contrasto con la normativa invocata, come interpretata dall’UNHCR, visto che il “fondato timore” in essa contemplato contiene in sè in modo imprescindibile un profilo soggettivo ed un profilo oggettivo;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), nonchè di numerose altre norme di legge, con riguardo ai presupposti per la protezione sussidiaria nell’ipotesi del rischio di trattamenti inumani e degradanti da parte di minori orfani, alla risposta del governo del (OMISSIS) alla schiavitù, nonchè alla situazione di grave violenza indiscriminata esistente in (OMISSIS);

1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, contestandosi il rigetto della protezione umanitaria, pur in presenza di una illustrata condizione di fragilità/vulnerabilità del ricorrente, rimasto orfano quando era minorenne, essendo poi stato ridotto in schiavitù dallo zio paterno, essendo ormai privo di una rete familiare nel proprio Paese, ove peraltro le violazioni dei diritti umani sono diffuse e le misure contro la schiavitù poco significative;

2. l’esame dei motivi di censura – da effettuare congiuntamente, per ragioni logico-giuridiche – porta all’accoglimento del ricorso;

3. in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere affidata alla mera opinione del giudice ma deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921; Cass. 25 luglio 2018, n. 19716; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2956 e ivi ampi richiami di giurisprudenza);

3.1. invero, solo sulla base di un esame effettuato nel modo anzidetto, le dichiarazioni del richiedente possono essere considerate inattendibili e come tali non meritevoli di approfondimento istruttorio officioso, salvo restando che ciò vale soltanto per il racconto che concerne la vicenda personale dei richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n.251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ma non per l’accertamento dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui all’art. 14 cit., lett. c – la quale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico nella violenza indiscriminata ivi contemplata, a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale – neppure può valere ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria in quanto il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevano ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. 18 aprile 2019, n. 10922; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2960; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2956 cit.);

3.2. e va anche precisato che solo a condizione che la suddetta valutazione – sulla sussistenza o meno della credibilità soggettiva – risulti essere stata effettuata con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità della legge, essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

3.3. ciò significa che se tale valutazione non deriva da un esame effettuato in conformità con i criteri stabiliti dalla legge è denunciabile in cassazione – con riguardo all’esame medesimo – la violazione delle relative disposizioni (come accade nella specie), la cui sussistenza viene ad incidere “a monte” sulle premesse della valutazione di non credibilità, travolgendola non per ragioni di fatto ma di diritto;

3.4. nella specie il Tribunale ha escluso la credibilità soggettiva del ricorrente, in base alle seguenti principali considerazioni:

a) la vicenda narrata davanti alla Commissione e confermata in sede giudiziaria non risulta descritta in modo circostanziato e presenta profili di forzatura con riguardo alle minacce di morte da parte dello zio paterno nei confronti del ricorrente;

b) il riferito rischio alla propria vita ha natura di timore “soggettivo” dell’interessato essendo illogico e incoerente ipotizzare che lo zio preferisca uccidere il nipote anzichè conservare un giovane lavoratore per i campi;

c) desta perplessità che il richiedente non si sia rivolto alle Autorità per chiedere protezione contro lo zio paterno;

d) altrettanto strano è che il richiedente non abbia precisato che lo zio riservava il medesimo trattamento anche ai suoi fratelli.

3.5. è del tutto evidente che la suddetta valutazione di non credibilità soggettiva del ricorrente risulta fondata su un esame delle sue dichiarazioni effettuato in modo difforme da come previsto dalla legge e, in particolare, dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in quanto in essa, senza alcun approfondimento istruttorio, il timore di danno grave dedotto dal richiedente è stato configurato come esclusivamente soggettivo – perchè privo di riscontri obiettivi – senza dare rilievo a tutti gli aspetti significativi della domanda del ricorrente e della storia da questi narrata;

3.6. in particolare, non risulta che il Tribunale abbia tenuto conto del fatto che il richiedente quando ha narrato di essere stato schiavizzato dallo zio paterno era minorenne ed era orfano di entrambi i genitori, sicchè ben si comprende che potesse avere difficoltà a denunciare il comportamento dello zio, nè risulta che il Tribunale abbia fatto riferimento alla (diversa) situazione dei fratelli del ricorrente sulla base di una indagine svolta al riguardo;

3.7. ne risulta che il Tribunale non ha dato rilievo alla “situazione individuale” e alle “circostanze personali del richiedente” con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) pervenendo ad una valutazione di non credibilità soggettiva disancorata da idonei parametri fattuali;

4. neppure il Tribunale ha considerato che – a parte il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), che per il riconoscimento della protezione sussidiaria, considera fra l’altro danni gravi “la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine” – il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, lett. f), ai fini della valutazione per il riconoscimento dello status di rifugiato, menziona specificamente tra gli atti di persecuzione quelli diretti contro i soggetti minorenni; inoltre ai sensi dell’art. 3, lett. b), della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 giugno 2013, n. 77, “l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare”, sicchè, anche tenendo conto del complessivo contenuto della Convenzione (vedi: Cass. 17 maggio 2017, n. 12333), il Tribunale avrebbe dovuto esercitare i propri poteri-doveri d’indagine officiosi e di acquisizione di informazioni aggiornate specificamente sulle violenze domestiche e sulla diffusione o meno di condizioni di schiavitù subite in (OMISSIS) da parte dei minorenni;

5. invece il Tribunale – muovendo dalla premessa della non credibilità soggettiva del richiedente – ha omesso di esercitare i suddetti poteri-doveri istruttori d’ufficio sulla anzidetta questione, centrale in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale del richiedente (Cass. 26 aprile 2019, n. 11312; Cass. 17 maggio 2019, n. 13449), essendosi limitato ad effettuare un’indagine sulla situazione socio-politica del (OMISSIS) ai fini dell’ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, lett. c;

6. in considerazione della peculiarità della presente fattispecie, il suindicato deficit d’indagine si riverbera anche sulla valutazione delle specifiche condizioni per l’eventuale, subordinata, concessione della protezione umanitaria;

Conclusioni.

7. in sintesi il ricorso deve essere accolto;

8. il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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