Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14673 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 26/05/2021), n.14673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36595/2019 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI,

123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3257/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/09/2019 R.G.N. 2170/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato BENEDETTO SPINOSA;

udito l’Avvocato GIAMPIERO FALASCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3257/19, respingeva il reclamo proposto da G.S. avverso la sentenza del Tribunale di Roma resa in sede di opposizione all’ordinanza di reiezione del ricorso proposto dalla predetta ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, inteso ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 22.12.2016 all’esito di procedura di licenziamento collettivo, con tutte le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie.

Il licenziamento collettivo aveva tratto origine dalla comunicazione di avvio della procedura di riduzione del personale del 5 ottobre 2016 nella quale, descritte le ragioni degli esuberi, concentrati presso le sedi di (OMISSIS), era stato illustrato il progetto di riorganizzazione aziendale che prevedeva la chiusura delle Unità produttive di (OMISSIS) (che svolgevano attività di CRM in modalità inbound, rimanendo invece l’unità Business Unit, che svolgeva in modalità outbound attività di ricerche di mercato) e l’intero sito di (OMISSIS) ed infine l’efficientamento dell’unità produttiva di (OMISSIS); tanto avrebbe comportato la soppressione di 1063 posizioni full time equivalent su (OMISSIS) (pari a 1666 lavoratori) e la soppressione di 560 posizioni di lavoro su (OMISSIS) (corrispondenti a 845 lavoratori). Si erano illustrate le ragioni per le quali non era possibile il ricorso agli ammortizzatori sociali.

La Corte di appello così motivava, in sintesi.

La L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, nell’imporre all’imprenditore l’obbligo di preventiva comunicazione alle RSA e alle OO.SS., conferisce al sindacato diritti di informativa e di concertazione con l’impresa non formali, ma effettivi, occorrendo che la preventiva comunicazione e l’esame congiunto abbiano i connotati della effettività, della concretezza e della specificità e che l’oggetto della comunicazione e della concertazione sia sufficientemente dettagliato in modo da consentire un controllo da parte delle OO.SS. ed un’effettiva capacità di proporre e di contrattare le misure alternative alle riduzione del personale.

Nella specie, vanno disattese le censure di incompletezza della comunicazione, formulate da parte reclamante per carente indicazione circa l’esistenza di posti disponibili presso altre sedi, in relazione alla effettività della verifica congiunta azienda/sindacati di una soluzione alternativa, da realizzarsi attraverso trasferimenti degli esuberi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) preso altre sedi. Al riguardo, la società aveva rappresentato, nella comunicazione di avvio della procedura, che doveva escludersi la possibilità di trasferimenti collettivi ostandovi ragioni tecnico/organizzative.

Come osservato in altre cause aventi lo stesso oggetto, non è contraddittorio che la società abbia comunicato ad ogni lavoratore licenziato la disponibilità a revocare il licenziamento, fino ad un massimo di 75 unità, nei confronti di coloro che si fossero dichiarati disponibili ad essere trasferiti con effetto immediato presso il sito di (OMISSIS) (proposta accolta da 17 lavoratori romani licenziati e rifiutata invece dalla reclamante). Sostenere che i trasferimenti devono intervenire prima dei licenziamenti non è una regola giuridica inviolabile, nè una prassi organizzativa immodificabile, ma si tratta di una offerta da interpretare in una prospettiva collaborativa dell’azienda.

Il rilievo per cui la crisi investiva l’intera azienda e non solo le unità di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non considera che i risultati particolarmente negativi erano stati registrati in relazione a questi due siti e la scelta datoriale di chiuderli deve ritenersi pienamente comprensibile, oltre che del tutto legittima ex art. 41 Cost..

La denuncia di “non effettività” della comunicazione di avvio con riguardo alla volontà aziendale di limitare la platea dei licenziabili ai soli addetti ai due siti produttivi di (OMISSIS) e a quello di (OMISSIS) era stato motivato, innanzitutto, in ragione della distanza geografica dei due siti ((OMISSIS)) rispetto alle altre sedi, di modo che estendere la comparazione presupponeva modifiche organizzative complesse e non attuabili in tempi brevi. In secondo luogo, la non comparabilità con il personale addetto ad altre sedi trovava ragione anche nel fatto che le commesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non potevano essere spostate presso altri siti; inoltre, ogni operatore telefonico aveva una professionalità specifica per il tipo di commessa cui era addetto e l’adibizione ad una diversa commessa avrebbe richiesto un processo formativo e di riqualificazione non sostenibile per l’azienda.

La professionalità fungibile è quella che consente l’adibizione immediata in mansioni diverse e tale non può ritenersi quella degli operatori applicati alle commesse telefoniche di (OMISSIS) e di (OMISSIS). La pretesa di imporre all’azienda obblighi formativi – non previsti dalla legge – oltre a rappresentare una discutibile ingerenza nelle scelte aziendali risulterebbe contraria anche alla causale organizzativa/produttiva della procedura collettiva, che è quella di conformare con tempestività l’organico aziendale alle mutate esigenze produttive, senza ulteriori oneri e costi.

Al rilievo per cui, al tempo del licenziamento, erano ancora attive su (OMISSIS) varie commesse, che furono poi trasferite o concentrate su altre sedi, sicchè a tali commesse avrebbero potuto essere adibiti gli operatori inbound di (OMISSIS) che fossero risultati vittoriosi nella comparazione, va opposto che una comparazione estesa a tutto il complesso aziendale non avrebbe potuto garantire all’operatore romano risultato vittorioso di essere trasferito proprio nella sede in cui era trasferita o concentrata la commessa cui era precedentemente addetto.

Sono infondate anche le censure riguardanti la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, in tema di criteri di scelta e al dedotto carattere discriminatorio della scelta non dichiarata di licenziare i lavoratori con maggiore anzianità di servizio e superminimi non riassorbibili. L’accordo sindacale del 22 dicembre 2016 va qualificato come accordo sui criteri di scelta ex art. 5 cit., di modo che si è in presenza di un criterio concordato, quello per cui si sarebbero applicati i criteri di scelta legali, ma nell’ambito dell’unità produttiva di (OMISSIS). La qualificazione come accordo sui criteri concordati comporta la non comparabilità dei lavoratori addetti alla sede di (OMISSIS) con quelli di altre sedi, anche ove possa ritenersi l’esistenza di professionalità fungibili.

Nè infine può avere rilievo la mancata comparazione con i lavoratori co.co.co. addetti alla struttura Business Unit, deputata alle ricerche di mercato e indagini statistiche outbound, rimasta estranea ai dichiarati esuberi, stante la diversità e non omogeneità del servizio reso inbound rispetto a quello outbound.

Per la cassazione di tale sentenza G.S. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso Almaviva Contact.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., motivazione contraddittoria e apparente, violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c..

Si deduce che la Corte di appello, dopo avere correttamente enunciato i principi che attengono alla corretta osservanza degli obblighi di comunicazione gravanti sull’imprenditore nella fase iniziale della procedura, non aveva poi correttamente – sussunto la fattispecie concreta in quella astratta così ricostruita, con specifico riguardo all’affermazione per cui il trasferimento del personale in esubero presso altri siti, seppure possibile, non doveva essere comunicato perchè non sarebbe stato praticabile per ragioni tecnico-organizzative, mentre ben poteva l’imprenditore proporre la possibilità del trasferimento (nei limiti di 75 unita complessive) in sede di comunicazione del licenziamento. Tale ragionamento sussuntivo è fallace, innanzitutto, in quanto la possibilità di praticare dei trasferimenti collettivi doveva costituire oggetto di comunicazione preventiva, onde consentire un esame congiunto con le OO.SS., come misura idonea ad evitare il licenziamento, come avvenuto per il sito di (OMISSIS). E’ poi contraddittorio affermare l’impraticabilità dei trasferimenti per poi ritenere legittimo che l’azienda, a distanza di pochi giorni, proponesse un trasferimento collettivo di 75 unità.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 e nullità della sentenza per omessa pronuncia su alcuni motivi di reclamo.

Parte ricorrente premette che ogni censura formulabile in merito alla non condivisibile affermazione della Corte di appello circa il raggiungimento di un accordo collettivo tra le parti in esito all’esame congiunto sul criterio di scelta concordato risulta recessiva rispetto alla preliminare ed assorbente considerazione riguardante l’illegittima identificazione della platea dei destinatari del provvedimento espulsivo con l’alveo dichiarato nella lettera di apertura della procedura di mobilità. Difatti, neppure l’esistenza un accordo sindacale varrebbe ad elidere la violazione di legge derivante da una illegittima delimitazione della platea operata ex ante in fase di apertura della procedura, che già aveva identificato i destinatari del provvedimento espulsivo. Il criterio legale delle esigenze tecnico-produttive era stato omesso per i lavoratori che la società aveva deciso di licenziare in anticipo. Era stata omessa una effettiva valutazione della piena fungibilità degli operatori anche se addetti a commesse diverse.

3. I motivi vanno esaminati congiuntamente, poichè interconnessi. Essi sono infondati.

4. Nella verifica di legittimità del licenziamento collettivo attuato da Almaviva Contact s.p.a., in esito alla comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, con intimazione di recesso ai singoli lavoratori delle Divisioni (OMISSIS) con lettere del 22 dicembre 2016 e decorrenza dal 30 dicembre 2016, ritenuta dalla sentenza della Corte d’appello di (OMISSIS) e variamente impugnata con plurimi motivi, giova muovere da un principio orientativo unanimemente condiviso: la cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, che costituisce esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. 22 dicembre 2008, n. 29936). Sicchè, la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, applicabili per effetto dell’art. 24 della stessa Legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. 22 marzo 2004, n. 5700; Cass. 6 settembre 2019, n. 22366).

E la previsione degli artt. 4 e 5 L. cit. di una puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda; sicchè, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 26 novembre 2018, n. 30550).

5. Sulla base di questa premessa condivisa occorre allora scrutinare la legittimità dell’operazione compiuta da Almaviva Contact s.p.a., che, dopo una prima procedura, avviata con la comunicazione del 21 marzo 2016, riguardante 2.988 lavoratori in esubero dislocati presso le sedi di (OMISSIS) e revocata per accordo con le organizzazioni sindacali il 31 maggio 2016, ha aperto la procedura in esame, a seguito di un peggioramento della crisi nei siti di (OMISSIS). E ciò essa ha disposto con la suddetta comunicazione del 5 ottobre 2016, che ha illustrato le ragioni che rendevano necessario il licenziamento di 1.666 lavoratori delle Divisioni (OMISSIS) e di tutti gli 845 dell’unità produttiva di (OMISSIS), con applicazione dei criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi: così limitandone la platea alle due divisioni romane e all’unità produttiva partenopea e applicando i criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti.

5.1. In applicazione del principio generale suenunciato, va subito detto che le ragioni tecniche, organizzative e produttive, salva la ricorrenza delle ipotesi sopra indicate, non possono essere sindacate: invero neppure sono state oggetto di contestazione, avendone la sentenza impugnata dato atto.

Le questioni che si pongono all’esame di questa Corte attengono allora, in scansione logicamente sequenziale: a) alla completezza informativa della comunicazione di apertura; b) alla legittimità di individuazione della platea degli esuberi limitatamente a singole unità produttive (per quel che qui interessa: le due divisioni romane), anzichè in riferimento all’intero complesso aziendale; c) all’individuazione e applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, anche in correlazione con la fungibilità o meno delle loro mansioni.

6. Come noto, la comunicazione di apertura della procedura, con la quale l’impresa manifesti la volontà di esercitare la facoltà di procedere ad una riduzione del personale alle organizzazioni sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria (L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2), deve contenere le indicazioni prescritte dall’art. 4, comma 3 L. cit. E segnatamente: a) i motivi che determinano la situazione di eccedenza; b) i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali non risultino possibili rimedi alternativi ai licenziamenti; c) il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente e di quello abitualmente impiegato; d) i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale e delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dei licenziamenti.

Essa deve, infatti, adempiere compiutamente l’obbligo di fornire le informazioni specificate dal citato art. 4, comma 3, così da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero: sicchè, l’inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, comma 12 (Cass. 16 gennaio 2013, n. 880; Cass. 3 luglio 2015, n. 13794). Ciò che comunque conta, in funzione dell’esercizio del controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa (non più, come detto, esercitato ex post dal giudice, ma) devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, è l’idoneità in concreto della comunicazione a renderle effettivamente edotte degli aspetti individuati nel citato art. 4, comma 3, in modo da escludere maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali (Cass. 18 novembre 2016, n. 23526, con richiamo, tra le altre, di: Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 21 febbraio 2012, n. 2516).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la completezza della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, ritenendola esaustiva per la sua ampia articolazione nei punti specificamente enumerati, sulla scorta di argomentazione congrua, a sostegno di un’interpretazione, riservata esclusivamente al giudice di merito, assolutamente plausibile (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044), neppure censurata con indicazione dei canoni interpretativi violati, nè tanto meno di specificazione delle ragioni nè del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350), così censurando il risultato interpretativo in sè (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891), pertanto insindacabile in sede di legittimità.

7. In particolare, nella comunicazione in esame, Almaviva Contact s.p.a. ha specificamente circoscritto il progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale alle unità produttive di (OMISSIS), indicando analiticamente le ragioni ostative ad un’estensione della comparazione al personale impiegato presso le unità produttive non toccate da tale progetto ((OMISSIS)): con delimitazione pertanto della platea “al personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi ((OMISSIS)), in ragione della chiusura totale delle Divisioni (OMISSIS) (per quanto riguarda (OMISSIS)) e dell’intero sito (per quanto riguarda (OMISSIS))”. In particolare, in essa si legge che “la società ritiene incompatibile con l’attuale situazione di grave criticità aziendale l’applicazione dei criteri di scelta all’intero organico aziendale”; e ciò per “la distanza geografica di queste due unità produttive dagli altri siti aziendali”, che renderebbe “insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo l’applicazione dei criteri di scelta sull’intero organico aziendale, richiedendo tempi di attuazione e delle modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi… finendo per aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio strutturale in cui versa l’azienda…”; inoltre, l’impossibilità di una comparazione del personale a livello dell’intera azienda è giustificata dall’avere “ciascun sito produttivo… caratteristiche tali da rendere infungibili le risorse ivi presenti con il personale collocato presso le altre sedi, in quanto le commesse… non possono essere agevolmente spostate da un sito all’altro (e quindi da una popolazione professionale all’altra) senza l’attuazione di interventi formativi, organizzativi e logistici incompatibili con la situazione economica in cui versa l’azienda”.

E’ risaputo che l’individuazione dei lavoratori da licenziare debba avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi o con accordi sindacali, ovvero, in mancanza, dei criteri, tra loro concorrenti, dei carichi di famiglia, di anzianità e (nuovamente) delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative (L. n. 223 del 1991, art. 5).

Sicchè, “in via preliminare, la delimitazione del personale “a rischio” si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all’art. 4, comma 3 cit.; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare.

Ma va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al “complesso aziendale”; ciò in forza dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l’ambito della selezione… La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta. Per converso, non si può, invece, riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla “collocazione del personale” indicato dal datore nella comunicazione di cui all’art. 4 e la precostituzione dell’area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo…), ma ciò non comporta automaticamente che l’applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacchè ogni delimitazione dell’area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano…. ove il datore, nella comunicazione di cui all’art. 4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all’interno di un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l’ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso in cui svolgessero mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico-produttive ed organizzative comportanti la limitazione della selezione. Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall’esistenza di una crisi che induca alla riduzione, genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell’impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale. Con il che si può spiegare, nell’art. 5 citato, la duplicità – altrimenti scarsamente comprensibile – del richiamo alle “esigenze tecnico produttive ed organizzative”, perchè, nella prima parte, esse si riferiscono all’ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri… alla individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati)…. pertanto, va dato rilievo non alla categoria di inquadramento, ma al profilo professionale…” (Cass. 19 maggio 2005, n. 10590, che ha ritenuto corretta la soluzione della Corte di appello di (OMISSIS), di valorizzazione dell’accordo sindacale nella parte in cui aveva individuato l’ambito dei reparti interessati dall’eccedenza di personale, con accertamento in fatto dell’inesistenza di posizioni lavorative fungibili e conseguente esclusione della possibilità di comparazione anche con gli altri operai, siccome in possesso di una diversa professionalità).

Nella prospettiva così prefigurata, questa Corte ha affermato, con indirizzo interpretativo consolidato: a) la legittima delimitazione della platea, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, ben potendo le esigenze tecnico-produttive ed organizzative costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purchè il datore indichi nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 3 citato sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387); b) la funzione dell’accordo sindacale (che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentino, senza che occorra l’unanimità) di determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nella regolamentazione delegata dalla legge (come evidenziato dalla sentenza Corte Cost. 22 giugno 1994, n. 268), dovendo rispettare non solo il principio di non discriminazione (L. n. 300 del 1970, art. 15), ma anche il principio di razionalità, sicchè i criteri concordati devono avere caratteri di obiettività e di generalità, oltre che di coerenza con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959; Cass. 5 febbraio 2018, n. 2694); c) la legittima limitazione della platea dei lavoratori interessati, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purchè siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).

Ebbene, nel caso di specie, la Corte capitolina, con argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato la conclusione di un accordo della società datrice con le organizzazioni sindacali sulla limitazione di applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere di (OMISSIS) e di (OMISSIS), meglio specificandolo come legittima determinazione di criteri di scelta diversi da quelli stabiliti per legge, e, in particolare, il legittimo rilievo soltanto alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, senza considerare i criteri del carico di famiglia e dell’anzianità di servizio, così limitando la scelta ad un solo settore o ad una sola o più sedi e non con riferimento a tutti i dipendenti in servizio nell’azienda: in corrispondenza con quanto comunicato nella lettera di apertura (“Si precisa sin d’ora che i criteri di scelta saranno applicati comparando il personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi ((OMISSIS)), in ragione della chiusura totale delle Divisioni (OMISSIS) (per quanto riguarda (OMISSIS)) e dell’intero sito (per quanto riguarda (OMISSIS))”). E ciò in applicazione del principio, secondo cui il principio previsto dalla L. n. 223 del 1991, artt. 5 e 24 (in base ai quali i criteri di selezione del personale da licenziare, ove non predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, devono essere osservati in concorso tra loro), se impone al datore di lavoro una loro valutazione globale, non esclude tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale: sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (Cass. 19 maggio 2006, n. 11886).

Inoltre, la corte d’appello ha ritenuto che tale accordo non sia discriminatorio, nè contrario a ragionevolezza (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959).

Non appare poi corretto il riferimento, pure adombrato, ad una sorta di identificazione “fotografica” dei dipendenti prescelti, posto che essa si configura nell’ipotesi, qui non ricorrente, di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, in violazione delle dettagliate prescrizioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (Cass. 30 ottobre 1997, n. 10716; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24116).

Benchè la questione in esame potesse già ritenersi risolta, la Corte capitolina si è tuttavia onerata di rispondere alla doglianza di non ragionevolezza della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare.

E ciò ha fatto, sempre con argomentazioni adeguate e coerenti con la fattispecie in esame e i principi di diritto regolanti la materia, sul ravvisato presupposto della distanza geografica (oltre cinquecento chilometri) di queste due unità produttive dagli altri siti aziendali (criterio ritenuto sufficiente da: Cass. 31 luglio 2012, n. 13705), combinato con quello della infungibilità delle mansioni.

Secondo l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato, qualora la ricorrenza delle effettive ragioni tecnico-produttive e organizzative sia stata giustificata (e comunicata), la delimitazione della platea è legittima, ove appunto non sia trascurato, nella scelta dei lavoratori impiegati nel sito soppresso o ridotto, “il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative” (così: Cass. 11 luglio 2013, n. 17177, in motivazione con ampi richiami di precedenti conformi; cui adde: Cass. 19 maggio 2005, n. 10590; Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178).

Nel caso di specie, l’infungibilità delle mansioni è stata individuata nella peculiarità di ogni sito produttivo, in ragione delle commesse trattate, ognuna esigente una diversa e specifica formazione: dovendo il personale inbound avere una conoscenza della committente, tale da porlo in grado di rispondere alle domande della clientela telefonica, specificamente calibrate sul servizio reso, nè consistendo l’attività di addetti al settore interno, appunto inbound, in una omogenea e neutrale ricezione di telefonate. E ciò per l’impossibilità di un loro agevole spostamento dall’uno all’altro sito (e quindi da una popolazione professionale all’altra), senza l’attuazione di interventi formativi, organizzativi e logistici incompatibili con la situazione economica dell’azienda, in quanto “insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo, richiedendo tempi di attuazione e delle modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi… finendo per aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio strutturale in cui versa l’azienda…”: per giunta, tra sedi aventi regimi di orario molto diversificati (dal tempo parziale da quattro a sei ore, al tempo pieno).

Occorre poi osservare come l’esigenza formativa di ogni lavoratore, se comporti, da una parte, un costo indubbio per l’azienda, induca, dall’altra, per il primo l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze e di esperienze nuovo, che ne diversifica e incrementa la professionalità, così rendendolo idoneo a mansioni che non sono più omogenee alle precedenti svolte. Sicchè, l’equivalenza delle mansioni, tale da configurare un mero passaggio indifferenziato tra lavoratori su diverse commesse, neppure risponde a un dato di realtà.

In ogni caso, esso costituisce accertamento in fatto, che il giudice di merito, cui è riservato in via esclusiva, ha compiuto dandone adeguato conto, in esatta applicazione dei principi di diritto enunciati: pertanto, esso è insindacabile in sede di legittimità.

Infine, neppure calza il riferimento, sempre nel caso in cui sia mancato l’accordo con i sindacati sui criteri di scelta, all’irrilevanza dei costi aggiuntivi connessi al trasferimento del personale già assegnato alle sedi soppresse siccome argomento estraneo al tenore testuale della L. n. 223 del 1991, art. 5 (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).

Nel caso di specie, non si tratta, infatti, di singoli e ben individuati trasferimenti personali, bensì di 1.666 lavoratori, e quindi di un trasferimento collettivo, il quale presuppone una procedura concordata in sede sindacale con formazione di graduatorie redatte in base a criteri predeterminati (Cass. 23 novembre 2010, n. 23675; Cass. 19 marzo 2014, n. 6325); ma le organizzazioni sindacali neppure si sono mostrate interessate alle misure organizzative (anche trasferimenti, se compatibili con le esigenze aziendali), per le quali la società aveva dichiarato la propria disponibilità (al punto V della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016), non raccolta dalle prime. L’alternativa prospettata (anche se poi non concretamente praticata dai lavoratori neppure nella limitata forma proposta dall’impresa di disponibilità, comunicata con la lettera di recesso, di revocare, in via collaborativa per ridurre sia pure minimamente l’impatto sociale, fino a settantacinque licenziamenti nei confronti dei lavoratori richiedenti per iscritto di essere trasferiti presso i siti di (OMISSIS): risultati soltanto diciassette) è stata rappresentata, per l’entità della sua dimensione, fin dalla comunicazione di apertura della procedura, come insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo, siccome esigente tempi di attuazione e modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi, con aggravamento ulteriormente della situazione di squilibrio strutturale dell’azienda.

Sicchè, di fronte ad una situazione, comunicata in modo esplicito ed esauriente alle organizzazioni sindacali e con le stesse negoziata, talmente grave da pregiudicare la stessa sostenibilità dell’attività d’impresa e quindi da comportarne la cessazione, qualora diversamente affrontata, risulta inammissibile (come anticipato all’esordio del ragionamento motivo) ogni censura intesa ad investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (nè tanto meno di ragioni per una diversa allocazione delle commesse nell’ambito della propria organizzazione territoriale), senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e di un’adozione discriminatoria dei lavoratori delle procedure: ciò davvero impingendo direttamente sulla libertà di iniziativa di impresa, garantita dall’art. 41 Cost..

8. Il ragionamento argomentativo svolto ha il suo coerente sviluppo finale nella conclusione di una corretta individuazione ed applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori.

Infatti, la limitazione alla sola platea dei lavoratori inbound delle due divisioni romane, per accordo sindacale e comunque per ragionevole misura in riferimento alla verificata infungibilità delle mansioni svolte dai predetti e con quelle del personale inbound delle altre sedi, ha comportato l’adozione (comunicata sia in sede di apertura che di chiusura della procedura di mobilità, a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9: Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825) di un criterio (puntualmente indicato anche nelle modalità applicative, oltre che nell’individuazione dei criteri di selezione del personale, anche nella specificazione del suo concreto modo di operare: Cass. 19 settembre 2016, n. 18306; Cass. 10 ottobre 2018, n. 25100), diverso da quelli legali operanti sull’intero complesso aziendale, consistente nelle esigenze tecnico-produttive e organizzative (legittimo, ancorchè difforme da quelli, perchè rispondente a requisiti di obiettività e razionalità: Cass. 20 febbraio 2013, n. 4186; Cass. 28 marzo 2018, n. 7710; Cass. 10 ottobre 2018, n. 25100).

Ed esso ne assorbe ogni altro, posto che, per effetto della deliberata chiusura delle due divisioni romane, tutti i lavoratori addetti ad esse sono stati licenziati, ad eccezione di quarantaquattro lavoratrici madri, per il divieto posto dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54.

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.250,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

 

 

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