Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14672 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35494/2018 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Golametto, 2

presso lo studio dell’avvocato Sabina Rossi che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il giorno

08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto pubblicato il giorno 8 novembre 2018, respinge il ricorso proposto da D.M., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha raccontato di essere ricercato dalla polizia del proprio Paese in seguito alla morte della sua ragazza che, essendo rimasta incinta, aveva provato ad abortire ma era morta; di aver quindi lasciato il proprio Paese e di essere andato prima in Algeria e poi in Libia dove da alcuni banditi è stato venduto ad un libico, rimanendo lì per due mesi per poi fuggire ed arrivare in Italia;

b) il ricorrente ha precisato di avere timore di rientrare in (OMISSIS) perchè i familiari della sua ragazza morta potrebbero vendicarsi con lui;

c) si deve condividere la valutazione della Commissione territoriale di non credibilità del racconto, del quale, peraltro, l’interessato ha fornito più versioni non coincidenti;

d) il tipo di vicenda narrata esclude comunque la possibilità di concedere una qualunque forma di protezione internazionale;

e) con riferimento all’ipotesi di protezione sussidiaria indicata nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) va rilevato che le notizie raccolte da fonti internazionali affidabili aggiornate evidenziano che la situazione sociopolitica della (OMISSIS) è in via di stabilizzazione, anche se non mancano tensioni sociali ed episodi di violenza perpetrati da parte delle forze di polizia nei confronti dei giornalisti, difensori dei diritti umani e dei dissidenti che però non sono tali da dare luogo ad un conflitto armato interno o a violenze indiscriminate – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possano coinvolgere il ricorrente, il quale non ha riferito di essere stato interessato da vicende politiche o da problematiche connesse alla libertà di espressione;

f) infine, per la protezione umanitaria non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari ovvero una stabile integrazione lavorativa in Italia, sicchè anche tale domanda va respinta;

3. il ricorso di D.M. domanda la cassazione del suddetto decreto per un unico motivo; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, sostenendosi che, avendo il ricorrente fornito quantomeno un “principio di prova” della persecuzione subita, il Tribunale non avrebbe dovuto negare sia la protezione sussidiaria sia quella umanitaria basandosi solo sulla ritenuta non credibilità del richiedente senza effettuare ex officio, rispettivamente, accertamenti sulla situazione aggiornata del Paese di provenienza ovvero (per la protezione umanitaria) il giudizio comparativo delineato da Cass. n. 4455 del 2018;

1.1. si sottolinea che, invece, nella specie il Tribunale non ha effettuato alcuno dei suddetti accertamenti;

2. l’esame delle censure porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

3. per quanto riguarda la protezione internazionale alla suddetta conclusione si perviene per l’assorbente ragione che nel ricorso non viene contestata la statuizione del Tribunale secondo cui le vicende narrate, essendo di natura privata, sono estranee al sistema della protezione internazionale, statuizione che è conforme alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte secondo cui le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave soltanto ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, comunque con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b) (tra le altre: Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758);

3.1. ne deriva che la suindicata statuizione – basata su un accertamento di fatto non ritualmente contraddetto – è idonea di per sè a giustificare la contestata decisione di rigetto di ogni forma di protezione internazionale;

3.2. pertanto, la relativa omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le censure sul punto, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

4. analogamente, con riguardo alla protezione umanitaria, non risulta contestata utilmente dal ricorrente la ratio decidendi del disposto rigetto, rappresentata dalla mancata allegazione di particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari ovvero da una stabile integrazione lavorativa in Italia;

4.1. nel ricorso tale statuizione non viene contestata e si lamenta che il Tribunale non abbia effettuato la comparazione prevista dalla sentenza di questa Corte n. 4455 del 2018, senza considerare che tale comparazione rappresenta un posterius rispetto alla avvenuta allegazione di situazioni di vulnerabilità o di integrazione da parte dell’interessato;

4.2. di conseguenza, anche in questo caso l’anzidetta omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, le censure sul punto, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva;

Conclusioni.

5. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

6. nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;

7. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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