Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14671 del 26/05/2021

Cassazione civile sez. I, 26/05/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 26/05/2021), n.14671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20798/2020 proposto da:

A.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Caterina Bozzoli, in

virtù di procura speciale allegata al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4998/2019,

pubblicata in data 12 novembre 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 dal consigliere Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza del 12 novembre 2019, la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da A.B., proveniente dalla Nigeria (Delta State), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 23 ottobre 2018, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.

2. Il richiedente aveva dichiarato di essere andato via dal Paese di origine per sottrarsi alle persecuzioni di un culto che aveva già provocato la morte del fratello; che il padre, morto nel 2008, faceva parte di una setta denominata “(OMISSIS)” e che i cultisti, alla morte del padre, avevano iniziato a perseguitare lui e il fratello maggiore affinchè si unissero alla setta, ma i due si erano rifiutati; che dopo la morte del fratello, le persecuzioni si erano concentrate su di lui, che aveva iniziato a soffrire di incubi notturni, sonnambulismo e allucinazioni; che, ritenendosi vittima di un maleficio, egli aveva deciso di fuggire.

3. La Corte di appello ha precisato che l’appellante non aveva mosso specifiche censure alla valutazione di non verosimiglianza della prospettazione dei fatti allegata, avendo lamentato solamente il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi e ha ritenuto che le ragioni prospettate dal richiedente avessero natura strettamente privata e circoscritta al timore di dovere entrare in una setta religiosa che nulla avevano a che vedere con i presupposti che giustificavano il riconoscimento dello status di rifugiato; che non sussistevano nemmeno i presupposti della protezione sussidiaria sia in ragione della non credibilità del richiedente, sia perchè non vi era in Nigeria una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato, tenuto conto delle fonti internazionali espressamente richiamate e aggiornate al novembre 2018; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno rilevato che lo svolgimento di un’attività lavorativa, nonostante fosse un’iniziativa apprezzabile, non caratterizzava la posizione di una persona che necessitava di protezione rispetto a quella di un migrante economico; che, in tal modo, si ratificava un comportamento illecito in danno degli stranieri che cercavano lavoro nel rispetto dei canali consentiti e che il numero degli stranieri che poteva entrare in Italia per motivi lavorativi era fissato in appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

4. A.B. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 10,13 e 27, e in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non condividendosi la valutazione di non attendibilità e di non verosimiglianza del racconto e avendo la Corte deciso di limitare la propria doverosa attività di accertamento, omettendo in sede di intervista l’attività di collaborazione dovuta e non indicando in quali punti le risposte necessitavano di un ulteriore approfondimento; l’inefficienza del sistema giudiziario nigeriano, inoltre, impediva ai cittadini di tutelarsi attraverso denunce.

1.1 Il motivo è inammissibile perchè il ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità.

1.2 In proposito, questa Corte ha affermato che la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Il richiedente, inoltre, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la duplice conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

1.3 Il motivo, inoltre, trascura del tutto di censurare l’iter argomentativo della Corte del merito, laddove essa ha affermato che il ricorrente non aveva mosso specifiche censure alla valutazione di non verosimiglianza della prospettazione dei fatti allegata, avendo lamentato solamente il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, e ha ritenuto che le ragioni prospettate dal richiedente avessero natura strettamente privata e circoscritta al timore di dovere entrare in una setta religiosa che nulla avevano a che vedere con i presupposti che giustificano il riconoscimento dello status di rifugiato.

1.4 Sotto il profilo, poi, della violazione di un preteso obbligo di assumere, comunque, l’audizione da parte del giudice di appello, va affermato che il dovere di audizione riguarda il giudice di primo grado e non anche il giudice di appello, con la conseguenza che l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass., 29 maggio 2019, n. 14600). Quest’ultimo, ovviamente, ha facoltà di assumere l’audizione del richiedente asilo, ma in base alla previsione generale del codice di rito che, consente al giudice di procedere al libero interrogatorio delle parti ai sensi dell’art. 117 c.p.c., e dunque per scelta discrezionale non sindacabile in cassazione, dato che le dichiarazioni rese in sede d’interrogatorio libero o non formale, che è istituto finalizzato alla chiarificazione delle allegazioni delle parti e dotato di funzione probatoria a carattere meramente sussidiario, non possono avere valore di confessione giudiziale ai sensi dell’art. 229 c.p.c., ma possono solo fornire al giudice elementi sussidiari di convincimento utilizzabili ai fini del riscontro e della valutazione delle prove già acquisite (Cass., 26 agosto 2003, n. 12500; Cass., 22 luglio 2010, n. 17239).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in materia di protezione sussidiaria, non avendo la Corte considerato che il richiedente era stato torturato con abusi psichici che lo avevano indotto a pensare di essere bersaglio di un maleficio e che non era comunque necessaria la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo, essendo sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa non fosse contrapposto alcun rimedio concreto dalle autorità statali.

2.1 I motivo è inammissibile, in primo luogo, perchè non coglie il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”, avendo la Corte rigettato la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), per la scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

2.2 Il motivo è, in secondo luogo, inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.

Nella sostanza, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

La Corte di merito, in particolare, ha provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), affermando che, tenuto conto del Rapporto Annuale 2016 di Refworld, confermato dal rapporto Coi aggiornato a novembre 2018, si doveva escludere la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato in tutta la Nigeria e che l’occupazione da parte dei fondamendalisti islamici facenti capo a Boko Haram era ora limitata alla zona nord est del paese, mentre il richiedente proveniva dal Delta State, zona posta a sud del paese e che non si configurava una condizione di guerriglia diffusa, senza alcun controllo delle autorità.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, non avendo la Corte di appello considerato il danno psichico da stress post traumatico subito e che egli in Italia lavorava e si sentiva al sicuro, grazie anche all’assistenza fornitagli dalla Cooperativa in cui era ospite e in cui era apprezzato.

3.1 Anche il terzo motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

3.2 Il ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità.

3.3 Questa Corte, di recente, ha affermato che in tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se è pur vero che la valutazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti deve essere il frutto di autonoma valutazione avente ad oggetto le condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti, tuttavia, la necessità dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624), come nel caso in esame, dove il ricorrente non ha posto a fondamento della richiesta di protezione umanitaria “circostanze diverse” rispetto a quelle poste a fondamento delle protezioni maggiori.

3.4 E ciò senza prescindere dal principio pure affermato da questa Corte che l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà, proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti nè rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2021

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