Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14670 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34420/2018 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in Roma Via del Casale

Strozzi, 31 presso lo studio dell’avvocato Laura Barberio che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto pubblicato il 23 ottobre 2018, respinge il ricorso proposto da O.C., cittadino della (OMISSIS) proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale a competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente sia davanti alla Commissione territoriale sia in sede giudiziaria ha dichiarato di essere originario di (OMISSIS) in (OMISSIS) e di essere il figlio primogenito della terza moglie del padre, unica tra le mogli ad avere avuto un figlio maschio, questo aveva generato l’invidia delle altre due mogli che avevano cominciato a perseguitarlo minacciandolo di morte anche dopo che il padre, anziano e impossibilitato a difenderlo, lo aveva mandato a vivere, insieme con la madre, nel (OMISSIS);

b) il ricorrente ha aggiunto di essere fuggito dal proprio Paese e di essere andato a lavorare in Libia dove è stato poi arrestato e trattenuto in un centro detenzione per sei mesi;

c) è condivisibile la conclusione della Commissione territoriale circa l’insussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato, in quanto i fatti narrati non evocano profili di persecuzione diretta e personale per alcuna delle ragioni prese in considerazione dalla Convenzione di Ginevra del 1951;

d) non vi sono i presupposti neppure per la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) (peraltro nemmeno evocata) e neppure per l’ipotesi di cui alla lett. b) cit. articolo, la cui invocazione “appare irrealistica” tanto più che il racconto del richiedente non ha trovato riscontro nel giudizio e, trattandosi di questione prettamente privata, non possono essere di ausilio le fonti internazionali più accreditate;

e) con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, alla art. 14, lett. c va precisato che non sussistono nella zona di provenienza del richiedente un conflitto interno o una situazione di violenza generalizzata che consentano la concessione della misura ivi prevista;

f) infine, per la protezione umanitaria non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari ovvero una stabile integrazione lavorativa in Italia, sicchè anche tale domanda va respinta;

3. il ricorso di O.C., illustrato da memoria, domanda la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, non seguito da alcun atto difensivo.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso è articolato in tre motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione di numerose norme di diritto con riguardo all’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio da parte del Giudice, quanto meno con riguardo alle torture subite in Libia, specificandosi, inoltre, che il Tribunale non ha effettuato alcun accertamento in ordine alla situazione reale esistente nel Paese di origine del ricorrente, pur muovendo da una valutazione di credibilità del suo racconto;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e di numerose altre norme di diritto per la mancata concessione della protezione sussidiaria basata sulla omessa indagine in ordine alla grave situazione di violenza indiscriminata esistente in (OMISSIS) (da cui proviene il ricorrente) e nel (OMISSIS) a causa dei conflitti etnici ivi sussistenti, onde accertarne la persistente attualità;

1.4. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sostenendosi che il rifiuto della protezione umanitaria sia stato emesso senza considerare la situazione di estrema vulnerabilità del richiedente, derivante anche dalle torture subite nel suo passaggio in Libia;

2. l’esame delle censure porta alla dichiarazione di inammissibilità dei primi due motivi di ricorso e all’accoglimento del terzo motivo;

3. le censure proposte con i primi due motivi – da trattare insieme, per ragioni logico-giuridiche – sono incentrate sulla denuncia del mancato esercizio della cooperazione istruttoria da parte del Tribunale;

3.1. va ricordato al riguardo il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il dovere di cooperazione istruttoria si concretizza solo in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili, competendo all’interessato di innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794);

3.2. a ciò va aggiunto che i fatti narrati devono essere tali da riguardare una vicenda che non sia estranea al sistema della protezione internazionale;

3.3. per costante giurisprudenza di questa Corte le liti tra privati per ragioni proprietarie o le liti familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave soltanto ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, comunque con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b) (tra le altre: Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758);

3.4. in presenza di vicende del suddetto tipo non sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), laddove non risulti che l’interessato abbia allegato quantomeno l’esistenza di un conflitto armato o di violenza indiscriminata così come descritti dalla norma (Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; Cass. 19 aprile 2019, n. 11096; Cass. 30 ottobre 2019, n. 27944);

3.5. nella specie il Tribunale ha rilevato che il ricorrente si è limitato ad allegare una presunta situazione di vessazioni in ambito familiare, che in quanto tale è del tutto estranea alla protezione internazionale richiesta, come affermato anche dalla giurisprudenza richiamata;

3.6. tale statuizione – basata su un accertamento di fatto non ritualmente contraddetto – è idonea di per sè a giustificare la contestata decisione di rigetto di ogni forma di protezione internazionale nonchè il mancato esercizio del potere istruttorio officioso e l’omessa menzione delle fonti internazionali più accreditate, la cui consultazione il Tribunale ha ritenuto irrilevante nella specie;

3.7. essa tuttavia non viene attinta dalle censure formulate nei primi due motivi di ricorso le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nel decreto impugnato e mirano sostanzialmente ad ottenere una rivisitazione del merito, inammissibile in questa sede;

3.8. tale omessa impugnazione rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure stesse, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

4. il terzo motivo deve, invece, essere accolto in quanto in applicazione di un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente relativamente alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevano ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. 18 aprile 2019, n. 10922; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2960; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2956 cit.), analogamente tale valutazione non può essere preclusa laddove il richiedente pur avendo posto a fondamento del proprio espatrio vicende di tipo familiare – come tali estranee alla protezione internazionale – abbia tuttavia narrato altresì di aver subito trattamenti inumani o degradanti oppure di essere stato vittima di torture in un Paese di transito (nella specie: Libia);

4.1. dal decreto impugnato risulta che, nella specie, il ricorrente ha affermato di essere stato imprigionato in un centro di detenzione libico per sei mesi e di essere stato ivi malmenato e torturato e risulta altresì che tale narrazione è stata considerata credibile dal Tribunale, ma su di essa non risulta essere stato effettuato alcun approfondimento;

4.2. come più volte affermato da questa Corte:

a) l’allegazione da parte del richiedente la protezione internazionale che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani non integra di per sè un fattore di vulnerabilità, se non viene evidenziata dall’interessato quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, salvo il caso in cui i maltrattamenti subiti nel Paese di transito abbiano inciso profondamente sulla persona del richiedente, sì da comportare un trauma psichico o fisico bisognoso di cure mediche adeguate (vedi, per tutte: Cass. 12 settembre 2019, n. 25879; Cass. 20 novembre 2018, n. 29875; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31676; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861);

b) comunque, l’anzidetta allegazione da parte del richiedente – anche se priva della evidenziazione del tipo di connessione tra il trattamento subito nel Pese di transito e il contenuto della domanda di protezione – può costituire circostanza rilevante ai fini della ricostruzione della vicenda individuale e, di conseguenza, della credibilità del dichiarante e della sua condizione di fragilità (vedi, per tutte: Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861; Cass. 14 novembre 2019, n. 29603);

c) in simili casi l’accertamento della situazione di disagio psico-fisico del richiedente e di vulnerabilità potrà essere presa in considerazione quanto meno ai fini della protezione umanitaria, che nella configurazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, – qui applicabile ratione temporis – è una misura atipica e residuale destinata a coprire situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi il rimpatrio e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (vedi, per tutte: Cass. 9 ottobre 2017, n. 23604; Cass. 15 maggio 2019, n. 13079);

4.3. ne consegue che, da questo punto di vista, il decreto impugnato non risulta conforme ai suindicati principi affermati da questa Corte in merito alle condizioni per attribuire rilievo ad eventuali trattamenti inumani o degradanti subiti dal richiedente in un Paese di transito (in particolare: Libia);

4.4. infatti, dal decreto non risulta se l’interessato abbia, o meno, evidenziato una connessione tra il trattamento subito in Libia e il contenuto della domanda di protezione o se comunque, il suddetto trattamento abbia o meno inciso sul quadro clinico complessivo del richiedente, come accertabile dal Tribunale anche attraverso l’esercizio dei propri poteri officiosi, ricorrendone i presupposti (vedi, per tutte: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016);

Conclusioni.

5. in sintesi, i primi due motivi di ricorso vanno dichiarati inammissibili e il terzo motivo va accolto;

11. il decreto impugnato deve essere quindi cassato, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso e accoglie il terzo. Cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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