Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14667 del 17/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 17/06/2010), n.14667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 775/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA GRAFICA ITALIANA SCARL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 76/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di BARI del 4/10/07, depositata l’08/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della società di cui in epigrafe (che è rimasta intimata) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento per IVA relativa all’anno di imposta 2000, la C.T.R. Puglia confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso della società), rilevando, tra l’altro, che la cartella di pagamento era affetta da difetto di motivazione – non essendo da essa possibile evincere in modo univoco le ragioni dell’iscrizione a ruolo – e che il disconoscimento del credito relativo al 1999 riportato nella dichiarazione del 2000 non poteva essere oggetto di semplice correzione di errore materiale ma doveva essere oggetto di un atto di accertamento per l’anno 2000 che giustificasse il disconoscimento del riporto del credito dell’anno precedente.

1. Nonostante l’ordine di esposizione adottato dai giudici della C.T.R., la sentenza impugnata consta (come è evidente dal tenore delle argomentazioni adottate) di una ratio decidendi “principale” (difetto di motivazione della cartella opposta) e di ulteriori argomentazioni di tipo concessivo espresse al fine di sostenere la decisione pure nel caso in cui la prima ratio decidendi risultasse erronea, argomentazioni che non costituiscono meri obiter dieta insuscettibili di trasformarsi in giudicato, ma sono configurabili come ulteriori (e successive) rationes decidendi, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, che, pertanto, può essere utilmente impugnata solo mediante la censura anche di ciascuna di esse (v. Cass. n. 19433 del 2003; n. 236 del 1985 e nn. 5520, 5517, 5516, 515, 5510 e 5503 del 1981).

Deve pertanto, in ordine logico, essere esaminato il terzo motivo, col quale si deduce violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 e 156 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici hanno ritenuto carente la motivazione della cartella impugnata.

Il motivo è improcedibile per mancato deposito (eventualmente anche in copia) della cartella de qua, costituente atto sul quale il motivo è fondato: l’art. 369 c.p.c., n. 4, prevede infatti che, insieme col ricorso, devono essere depositati a pena di improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, dovendo tali atti e documenti essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso termine, senza che a tal fine rilevi la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se tale deposito non interviene nei tempi e nei modi di cui sopra e se all’atto del deposito viene indicato in modo generico il suddetto fascicolo senza specifica indicazione degli atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato.

Non risultando adeguatamente censurata una delle rationes decidendi (peraltro la prima di esse in ordine logico), risultano inammissibili per difetto di interesse gli altri due motivi di ricorso, volti a censurare altre rationes decidendi poste ad ulteriore sostegno della decisione impugnata, atteso che anche l’eventuale accoglimento di tali motivi non potrebbe mai comportare la cassazione della decisione impugnata, che resterebbe pur sempre sostenuta dalla ratio decidendi non adeguatamente censurata.

Il terzo motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato improcedibile e gli altri motivi devono essere dichiarati inammissibili. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara improcedibile il terzo motivo di ricorso e inammissibili gli altri.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2010

 

 

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