Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14667 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/06/2017, (ud. 22/03/2017, dep.13/06/2017),  n. 14667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

ricorso 13899-2013 proposto da:

S.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO LALLI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA TRASPORTI PUBBLICI A.T.P., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. D’AVEZZANA 2/E, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

CAMMAROTA, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO SECHI, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 196/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 04/06/2012 R.G.N. 89/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 4.6.2012 la Corte di Appello di Sassari, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva integralmente accolto il ricorso, ha escluso la domandata conversione dei contratti a termine, affetti da nullità, in rapporto a tempo indeterminato e ha limitato la condanna della Azienda Trasporti Pubblici al risarcimento dei danni liquidati, L. n. 183 del 2010, ex art. 32 in 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita;

che avverso tale sentenza S.G. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso la Azienda Trasporti Pubblici, che ha anche proposto ricorso incidentale affidato a due motivi;

che il P.G. in data 7.2.2017 ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento della impugnazione incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

che i primi due motivi di ricorso principale, nel denunciare la violazione di plurime disposizioni di legge (D.L. n. 702 del 1978, art. 5 convertito in L. n. 3 del 1979, come modificato dalla L. n. 299 del 1980; della L. n. 142 del 1990, artt. 23 e 25; del D.Lgs. n. 368 del 2001) nonchè l’omesso esame su un punto decisivo della controversia, censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto applicabile alla fattispecie il D.L. n. 702 del 1978, art. 5 e successive modificazioni, che, nel prevedere che le assunzioni del personale da parte dei comuni, delle province e delle loro aziende dovesse avvenire solo per pubblico concorso o per prova pubblica selettiva limitata al personale salariato e ausiliario, stabiliva la “nullità di diritto” dei provvedimenti adottati in violazione delle obbligatorie procedure;

che ad avviso del ricorrente principale la norma sopra citata: ha avuto efficacia limitata sino al 31 dicembre 1980; è stata abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001; non è inoltre applicabile agli enti pubblici economici, qual è la Azienda Trasporti Pubblici, che nel proprio statuto afferma con chiarezza la natura privatistica dei rapporti di lavoro e non subordina le assunzioni al previo concorso pubblico;

che lo S. sottolinea anche la contraddittorietà della decisione impugnata nella parte in cui, pur avendo affermato la non applicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ha, comunque, ritenuto di dovere escludere la conversione del rapporto a termine affetto da nullità, creando un tertium genus non previsto dal legislatore che, quanto alle conseguenze della invalidità della clausola di durata, ha differenziato la disciplina solo fra settore pubblico e settore privato;

che entrambi i motivi sono infondati per le ragioni già evidenziate da questa Corte che, pronunciando in fattispecie sovrapponibili a quelle oggetto di causa, ha statuito che “alle aziende di trasporti pubblici, se pure il loro statuto preveda la possibilità di assumere personale con una modulazione del rapporto di lavoro di natura privatistica, si applica la disciplina generale dettata dal D.L. n. 702 del 1978, art. 5, commi 15 e 17 convertito con modificazioni nella L. n. 3 del 1979, con esclusione della conversione dei rapporti da tempo determinato a tempo indeterminato” (Cass. 9.7.2014 n.15714; Cass. 18.6.2014 n. 13858; Cass. 31.7.2014 n. 17457; Cass. 8.9.2014 n. 18855; Cass. 16.9.2014 n. 19493; Cass. 13.12.2016 n. 25547);

che la perdurante vigenza e la applicabilità del D.L. 10 novembre 1978, n. 702, art. 5 convertito in L. 8 gennaio 1979, n. 3 anche alle aziende speciali comunali costituite ai sensi della 8 giugno 1990 n. 142 sono state affermate dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 26939 del 19.12.2014, con la quale si è evidenziato che la natura di enti pubblici economici di dette aziende non preclude la sussistenza di interessi pubblici rispetto alle loro attività, nè l’ammissibilità di autorizzazioni e controlli da parte dei pubblici poteri, in attuazione dell’art. 41 Cost., comma 3, nè l’esigenza di stabilizzazione della finanza locale;

che la ratio delle discipline che impongono la regola del pubblico concorso e dalla stessa fanno discendere la impossibilità della costituzione di rapporti a tempo indeterminato va rinvenuta nel principio costituzionale di buona amministrazione degli uffici pubblici (art. 97 Cost.), che collega la regola del concorso non tanto alla natura giuridica pubblica o privata del rapporto di lavoro, quanto piuttosto alla natura “sostanzialmente pubblica” della persona giuridica alle cui dipendenze esso si costituisce (cfr. in tal senso Corte cost. nn. 29 del 2006, 52 e 68 del 2011), nel senso che il soggetto che figura quale datore di lavoro, indipendentemente dalla forma con cui opera nel mondo giuridico, imputa alla finanza pubblica i risultati della sua attività (cfr. Corte Cost. n. 466 del 1993; Cass. 22.2.2017 n. 4630; Cass. 2.3.2017 n. 5319; Cass. 3.3.2017 n. 5456, sentenze queste ultime con le quali è stata esclusa la conversione dei rapporti a termine affetti da nullità instaurati dall’Azienda Regionale Sarda Trasporti s.p.a.);

che la motivazione delle decisioni sopra citate, da intendersi qui trascritta ex art. 118 disp. att. c.p.c., fornisce risposta a tutti gli argomenti sui quali ha fatto leva il ricorrente principale per censurare la sentenza impugnata che, invece, nella parte in cui ha escluso la invocata conversione del rapporto, è conforme ai principi di diritto richiamati, ai quali il Collegio intende dare continuità;

che le considerazioni svolte in punto di esclusione della conversione del rapporto dedotto in giudizio assorbono le censure formulate nel primo motivo del ricorso incidentale, con il quale l’Azienda Trasporti Pubblici addebita alla sentenza vizi motivazionali in relazione alla eccepita risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, atteso che la risoluzione per mutuo consenso postula l’esistenza di un rapporto di lavoro in essere in conseguenza della sua conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, conversione che non opera nella fattispecie in esame per quanto innanzi considerato;

che il capo della sentenza relativo al risarcimento del danno è oggetto di censure formulate da entrambe le parti perchè: da un lato il ricorrente principale, con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, denuncia la violazione del principio di effettività del risarcimento del danno, della L. n. 183 del 2010, art. 32 degli artt. 1218, 1219, 1223, 1224, 1225 e 1226 c.c., ed evidenzia che il risarcimento deve essere riconosciuto in misura adeguata tale, dunque, da impedire l’utilizzo abusivo del contratto a termine secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea in applicazione della direttiva 70/99; dall’altro il ricorso incidentale, con il secondo motivo, premessa la analogia con l’ipotesi disciplinata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 evidenzia che il danno deve essere allegato e provato dal lavoratore e che non possono essere invocati il diritto dell’Unione e la giurisprudenza della Corte di Giustizia nei casi, quali quello dedotto in giudizio, in cui non possa configurarsi un abuso perchè si è di fronte a violazioni meramente formali della normativa interna;

che le questioni poste sono state affrontate da questa Corte con le sentenze n. 25547 del 2016 (pronunciata in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa) e nn. 4630, 4631, 4632, 5315, 5319, 5456 del 2017 con le quali si è evidenziato che i principi affermati dalle Sezioni Unite sulla interpretazione adeguatrice del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 al diritto dell’Unione (Cass. S.U. 5072 del 2016) devono essere estesi, da un punto di vista soggettivo, alle fattispecie in cui la conversione non può operare in ragione della natura pubblica in senso sostanziale del soggetto che figura quale datore di lavoro; che detta interpretazione adeguatrice si giustifica in relazione alla necessità di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE (Cass. S.U. n. 5072 del 2016, cit.), applicabile in tutte le ipotesi di illegittima reiterazione del rapporto a termine, e, quindi, anche qualora la nullità discenda da vizi formali del contratto, posto che la forma scritta e la specificazione della causale sono finalizzati a garantire l’effettività delle ragioni obiettive che legittimano il ricorso alla tipologia contrattuale;

che le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori i quali, stante il divieto di conversione, non possono essere commisurati alle retribuzioni perse;

che sulla base delle considerazioni sopra esposte, quanto alle conseguenze della ritenuta nullità della clausola appositiva del termine, deve ritenersi superato l’orientamento espresso da Cass. nn. 19112, 188855, 17588, 17587 e 17546 del 2014, perchè anteriore a S.U. n. 5072/16, e, pertanto, devono essere respinti sia il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale sia il secondo motivo dell’impugnazione incidentale, giacchè la Corte territoriale, sia pure sulla base di un diverso percorso motivazionale, ha liquidato il danno ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32 quantificandolo in misura superiore al minimo, in considerazione del numero dei contratti che ha rilevato essere stati stipulati tra il 2002 ed il 2004, con accertamento in fatto non oggetto sul punto di alcuna censura;

che il ricorrente principale, pur censurando nell’ammontare la liquidazione del danno effettuata in via automatica e presunta dalla Corte territoriale, non ha allegato di avere prospettato danni ulteriori rispetto a quelli forfetariamente riconosciutigli, ma solo il valore delle retribuzioni perse, le quali non possono integrare danno ingiusto non avendo il lavoratore, in assenza del positivo superamento della procedura concorsuale, il diritto alla costituzione del rapporto;

che, pertanto, entrambe le impugnazioni devono essere rigettate con conseguente integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, giustificata dalla soccombenza reciproca.

che sussistono quanto ai ricorrentiu principale ed incidentale condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

LA CORTE

Rigetta il ricorso principale.

Dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale.

Rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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