Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14666 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. I, 09/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27487/2018 proposto da:

E.E., elettivamente domiciliato in Roma Via Collina, 48 presso

lo studio dell’avvocato Ermanno Pacanowski che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2020 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto pubblicato il 10 luglio 2018, respinge il ricorso proposto da E.E. (alias E.E.), cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il racconto del richiedente risulta complessivamente generico, contraddittorio e poco chiaro in particolare con riguardo ai riferiti maltrattamenti subiti dai genitori adottivi di fede (OMISSIS) in seguito alla sua asserita conversione al (OMISSIS), tanto più che il suo nome fin dalla nascita è E., che è un nome di tradizione cristiana;

b) ne derivano seri dubbi sulla complessiva credibilità della narrazione in ordine ai motivi posti a fondamento dell’emigrazione;

c) comunque, tenendo conto delle dichiarazioni dell’interessato nelle audizioni dinanzi alla Commissione territoriale e dinanzi al GOP delegato, la protezione internazionale non può essere concessa perchè non sono stati offerti elementi dai quali possa desumersi che il ricorrente in caso di rimpatrio possa risultare esposto al rischio concreto di persecuzioni (per l’appartenenza ad etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita) o di subire un “danno grave”, del tipo indicato nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) (l’esposizione al rischio di morte, tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante), tra i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria;

d) con riferimento all’ipotesi di cui al medesimo art. 14, lett. c va rilevato che le notizie raccolte da fonti internazionali affidabili e aggiornate circoscrivono nel Nord-Est del Paese l’epicentro delle violenze di (OMISSIS) mentre nella zona di provenienza del ricorrente – (OMISSIS) meridionale e (OMISSIS) – si rinvengono esclusivamente problematiche connesse allo stato di povertà di quelle fasce della popolazione locale che non fruiscono dei benefici connessi allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi che possono sfociare in episodi di violenza anche contro le forze di polizia ovvero proteste non violente dei movimenti che lottano per l’indipendenza della zona del Sud-Est (con l’aspirazione della costituzione di uno Stato indipendente del (OMISSIS));

e) il richiedente, però, non ha mai riferito di essere stato coinvolto in tali vicende nè di correre alcun concreto pericolo, se non nei termini non credibili suindicati, pertanto in assenza di riscontri individualizzanti deve essere dichiarata l’insussistenza anche dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), cit.;

f) infine, non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali, di salute o familiari che consentano di accordare la protezione umanitaria;

3. il ricorso di E.E. domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso è articolato in quattro motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente e al mancato svolgimento, da parte del giudice, del previsto ruolo attivo nell’istruttoria della domanda onde integrare le allegazioni e le prove offerte dall’interessato;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omesso esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate dal ricorrente in giudizio per la valutazione delle condizioni del proprio Paese di origine, rilevandosi che il Tribunale non avrebbe considerato che, per lo status di rifugiato, il timore di persecuzioni può provenire anche da enti non statali, come la comunità di appartenenza o la famiglia, se lo Stato e le Autorità non possono o non vogliono fornire protezione, come avviene nella specie in considerazione della situazione instabile della (OMISSIS) e del (OMISSIS), caratterizzata da violenza diffusa;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la mancata concessione della protezione sussidiaria alla quale il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine, per le quali ogni persona è in pericolo e la Polizia e il sistema giudiziario non garantiscono il rispetto dei diritti umani;

1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario”, con omessa applicazione della prassi diffusa di concessione del suddetto permesso ai soggetti integrati nel territorio dello Stato e in possesso di un contratto di lavoro e/o di documentazione scolastica, da valutare a fronte delle precarie condizioni sociopolitiche del Paese di provenienza;

2. nella parte finale del ricorso si propone, come quinto motivo, l’eccezione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13 (inserito dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111 e 113 Cost.;

2.1. con riguardo a tale ultima censura deve essere, in primo luogo, rilevato che non può costituire motivo di ricorso per cassazione la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale in quanto è riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale (vedi: L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23), mentre alle parti non è attribuito alcun potere di iniziativa al riguardo in quanto, in riferimento alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale l’iniziativa spetta esclusivamente al giudice e le parti possono presentare soltanto delle deduzioni nel processo dinanzi alla Corte costituzionale e possono, eventualmente, limitarsi a sollecitare anche motivatamente il giudice a sollevare la questione di costituzionalità;

2.2. peraltro, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 24, comma 2, la questione di costituzionalità di una norma, non solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purchè essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406);

2.3. ne deriva l’inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione formulato come diretto esclusivamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale (come accade nella specie) oppure a censurare il concreto esercizio del potere che compete al Giudice in materia, perchè non potendo può essere configurato al riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte di questa Corte (Cass. SSUU 7929/2013; Cass. 9284/2018, 28892/2017, 17862/2016, 25343/2014, 3798/2014; Corte Costituzionale 1/2014);

2.4. peraltro, un simile motivo può essere esaminato come sollecitazione al giudice (anche a questa Corte) a sollevare una questione di legittimità costituzionale, attività consentita alle parti, come si è detto;

2.5. nella specie, tuttavia, anche una simile sollecitazione a sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, (inserito dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111 e 113 Cost. non può comunque essere accolta in quanto va ricordato che, con indirizzo consolidato e condiviso di questa Corte, è stata affermata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13 (inserito dall’art. 6, comma 1, lett. g dell’indicato D.L.), per violazione degli artt. 3, comma 1, 24 e 111 Cost., “nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle Commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (vedi, per tutte: Cass. 30 ottobre 2018, n. 27700; Cass. 30 maggio 2019, n. 14821; Cass. 13 agosto 2019, n. 21375; Cass. 14 novembre 2019, n. 29602);

2.6. a ciò va aggiunto che dato l’esito del giudizio – di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte – la suindicata questione di legittimità costituzionale risulterebbe, nella specie, priva del requisito indefettibile della rilevanza;

3. l’esame dei motivi di censura porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

4. il primo e il secondo motivo – da trattare insieme data la loro intima connessione – vanno dichiarati inammissibili, perchè le censure con essi proposte, al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi attraverso la prospettazione delle censure art. 360 c.p.c., ex n. 3 finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito sia della condizione socio-politica della (OMISSIS) e, in particolare della zona di provenienza del richiedente, sia della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, alla luce delle risultanze processuali;

4.1. a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;

4.2. per quanto riguarda la denuncia di mancato esercizio della cooperazione istruttoria da parte del Tribunale va ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il dovere di cooperazione istruttoria si concretizza solo in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Infatti, compete all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria. Per il che egli non incontra peraltro difficoltà alcuna, ove la sua narrazione sia vera e reale: gli basterà descrivere in dettaglio la sua vicenda, integrando se del caso la narrazione attraverso le risposte alle domande eventualmente rivoltegli (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794);

4.3. nella specie, come si è detto, il Tribunale ha considerato il racconto del richiedente generico, contraddittorio, poco chiaro e tale da non dimostrare una situazione individuale di rischio e, nel ricorso, ci si limita a sostenere che la narrazione era da considerare idonea per il riconoscimento della protezione richiesta “essendo del tutto coerente con la situazione del Paese di origine, immune da contraddizioni ed aderente alle fonti più accreditate”, ma non si offrono elementi per dimostrare l’erroneità dell’anzidetta valutazione di fatto del Giudice del merito, secondo le prescrizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

4.4. con le stesse modalità – qui non seguite – avrebbe potuto, in ipotesi, essere denunciata l’erroneità della scelta e della valutazione degli elementi probatori poste a base della decisione, che sono operazioni che rientrano nella sfera di discrezionalità del Giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, nè a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (Cass. 22 giugno 2006, n. 14267; Cass. 16 giugno 2009, 13953; Cass. 12 giugno 2019, n. 15794; Cass. 30 agosto 2019, n. 21881);

5. anche il terzo motivo è inammissibile;

5.1. secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il richiamato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, in particolare, la disposizione di cui alla lett. c) di esso – su cui si appuntano le censure del ricorrente – deve essere interpretato in conformità con la fonte UE di cui è attuazione (artt. 9 e 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia UE (vedi, in tal senso, di recente: Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284);

5.2. secondo tali indicazioni: “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c) direttiva, per il fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (vedi CGUE: (sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30);

5.3. è stato, al riguardo, specificato che, come precisato dalla Corte di Giustizia UE (nelle citate sentenze e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE);

5.4. infatti, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), postula, in realtà, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” – quale è il richiedente – derivante da quella violenza;

5.5. nel decreto attualmente impugnato il Tribunale – con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede se sorretto da congrua motivazione, come accade nella specie (vedi, fra le tante: Cass. n. 14006/18; n. 32064/18; Cass. 2 maggio 2019, n. 11561, quest’ultima relativa ad un giudizio analogo al presente) – ha escluso la ricorrenza di tutte le ipotesi di cui al citato art. 14, ivi compresa quella prevista nella lett. c) di tale articolo;

5.6. a tale conclusione il Giudice del merito è pervenuto sul rilievo secondo cui nella zona della (OMISSIS) da cui proviene il ricorrente non si riscontra una situazione di conflitto armato interno o violenza indiscriminata;

5.7. nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e ci si limita a sostenere che le attuali condizioni sociopolitiche del Paese di origine sarebbero sufficienti per la concessione della protezione sussidiaria, così esprimendosi un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

5.8. di qui l’inammissibilità del terzo motivo, in quanto la deduzione del vizio di violazione di legge, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

6. anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. in primo luogo va rilevata l’assoluta assenza di argomentazioni della generica iniziale denuncia di motivazione erronea e contraddittoria in ordine al contestato rigetto della protezione internazionale e va, altresì, ricordato che il vizio della motivazione – del tipo di quelli suddetti – non costituisce più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (Cass. 5 luglio 2016, n. 13641);

6.2. per il resto, le deduzioni del ricorrente risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare;

6.3. invece ai fini della protezione umanitaria è necessario che venga dimostrata la sussistenza di situazioni di vulnerabilità oggettiva e soggettiva che qui non sono emerse, anche in considerazione della descritta condizione del Paese di provenienza;

6.4. nulla di utile si riferisce con specifico riguardo al ricorrente, limitandosi a fare genericamente riferimento al parametro dell’inserimento sociale del richiedente, ma tale elemento è stato escluso dal Tribunale e nel ricorso non se ne dimostra la sussistenza;

6.5. ne consegue che non risulta impugnata la ratio decidendi posta a base del rigetto della domanda di protezione umanitaria, rappresentata dalla rilevata mancanza di allegazioni o documenti da parte del ricorrente di particolari condizioni di vulnerabilità;

6.6. nel presente motivo questa affermazione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere il decreto sul punto – non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nel decreto impugnato;

6.7. tale omessa impugnazione rende di per sè inammissibile, per difetto di interesse, la relativa censura, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

Conclusioni.

7. In sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

8. nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;

9. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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