Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14664 del 13/06/2017

Cassazione civile, sez. lav., 13/06/2017, (ud. 02/03/2017, dep.13/06/2017),  n. 14664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23613-2011 proposto da:

B.P.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

V.SILVIO PELLICO 16, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA GARCEA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAIMONDO

GARCEA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.S.I. – AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6409/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/10/2010 r.g.n. 7800/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PIERO FALETTI per delega verbale Avvocato RAIMONDO

GARCEA;

udito l’Avvocato FEDERICO DI MATTEO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, decidendo sull’appello principale proposto dalla Agenzia Spaziale Italiana e sulla impugnazione incidentale di B.P.E., in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, che aveva integralmente accolto la domanda di differenze retributive maturate in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori di tecnologo di 2^ livello, ha limitato la condanna al periodo 1/7/1998-31/12/2001 e ha respinto per il resto il ricorso del B., il quale aveva chiesto, riproponendo la domanda con appello incidentale, anche il riconoscimento del diritto a essere inquadrato nella qualifica superiore, con decorrenza dal giugno 1988.

2. La Corte territoriale ha evidenziato che con sentenza n. 22633 del 19/12/2006, passata in giudicato, lo stesso Tribunale di Roma aveva accertato che, a decorrere dall’inizio del 2002, la Agenzia aveva privato il B. delle mansioni svolte in precedenza, lasciando il dipendente in una condizione di sostanziale inerzia. Detto accertamento giudiziale, ormai definitivo, impediva di riconoscere le differenze retributive domandate nel successivo giudizio, in quanto incompatibile con l’asserito svolgimento di compiti ricompresi nel profilo professionale della qualifica superiore a quella di inquadramento.

3. Il giudice di appello ha, invece, ritenuto condivisibili gli argomenti sui quali il Tribunale aveva fondato la pronuncia di rigetto della domanda principale e, richiamata la giurisprudenza amministrativa intervenuta sulla complessa vicenda del passaggio alle dipendenze della Agenzia Spaziale Italiana del personale in servizio presso il CNR, ha escluso che l’art. 53 del Regolamento relativo allo stato giuridico ed economico dei dipendenti della Agenzia attribuisse il diritto soggettivo all’automatico inquadramento nella qualifica corrispondente alle mansioni svolte presso l’ente di destinazione, perchè, al contrario, il regolamento richiedeva, oltre alla ricognizione delle funzioni assegnate, anche la “previa valutazione dei requisiti “. Ha aggiunto che a diverse conclusioni non poteva giungersi sulla base di quanto statuito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2438 del 28/4/2010, perchè il giudicato amministrativo si era formato solo sullo svolgimento di mansioni superiori nel periodo compreso fra il 1991 e il 30 giugno 1998 e non aveva riguardato il diritto all’inquadramento nella qualifica di tecnologo di 2^ livello. Nessun effetto poteva essere ricollegato alla Delib. 24 marzo 1992, n. 345 con la quale l’Agenzia aveva attribuito al B. il livello da quest’ultimo domandato, perchè l’atto, in mancanza di approvazione da parte del Ministero vigilante, doveva ritenersi inefficace.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.P.E. sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’Agenzia Spaziale Italiana ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, “violazione e falsa applicazione della L. 30 maggio 1988, n. 186, art. 19; del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 2, comma 2; del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 29, comma 1; insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Richiamata la normativa rilevante nella fattispecie, il B. ribadisce che, contrariamente all’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa, fatto proprio dal giudice di merito, l’inquadramento definitivo del personale trasferito dal CNR doveva essere necessariamente corrispondente alle funzioni assegnate a ciascun dipendente presso l’Agenzia, che, quindi, non poteva operare, per la attribuzione di livelli superiori a quelli originari, alcuna valutazione comparativa. Sostiene, inoltre, che il diritto era stato espressamente riconosciuto dalla Delib. 24 marzo 1992 e che nessun rilievo poteva essere dato al provvedimento ministeriale di diniego, innanzitutto perchè con la privatizzazione dell’impiego pubblico gli atti adottati dall’ente avevano assunto natura negoziale e inoltre perchè il deliberato del Ministero vigilante doveva essere disapplicato in quanto in contrasto con la legge.

2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509, art. 14; violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c.; insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio”. Sostiene il ricorrente che lo svolgimento delle mansioni superiori di tecnologo di 2^ livello a far tempo dal 1988 era stato accertato dal Consiglio di Stato e, per il periodo compreso fra il 1 luglio 1998 e il 31 dicembre 2001, dal Tribunale e dalla stessa Corte di appello di Roma, che, quindi, doveva riconoscere il diritto alle differenze retributive anche a decorrere dal 1 gennaio 2002, non essendo a ciò ostativo l’accertamento giudiziale contenuto della sentenza n. 22633 del 2006. Il demansionamento, infatti, non priva il lavoratore del diritto a ricevere il trattamento retributivo corrispondente alle mansioni illegittimamente sottrattegli.

3. Il primo motivo è infondato nella parte in cui denuncia la violazione della L. 30 maggio 1988, n. 186, art. 19 ed è inammissibile per il resto.

La norma sopra citata, infatti, dopo aver previsto, al comma 1, che “nei limiti della copertura della dotazione organica e delle rispettive qualifiche previste dal regolamento organico”, l’Agenzia Spaziale, su domanda dei soggetti interessati, poteva assumere alle proprie dipendenze il personale già in servizio presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, utilizzato in compiti attinenti a quelli propri dell’Agenzia, prevedeva che a detto personale dovessero essere assicurati “il trattamento economico in godimento e mansioni non inferiori a quelle svolte presso il CNR.”

Il legislatore aveva, quindi, inteso solo assicurare al personale transitato dal CNR all’ASI il medesimo trattamento giuridico ed economico goduto presso l’ente di provenienza, che non è qui in contestazione, perchè il ricorrente non ha asserito di essere stato demansionato nel passaggio alle dipendenze dell’Agenzia e ha fondato la domanda di attribuzione del livello superiore sulle mansioni svolte presso il nuovo datore di lavoro, a suo dire rilevanti ai sensi dell’art. 53 del regolamento del personale dell’ASI.

3.1. La Corte territoriale, pertanto, ha correttamente individuato nel richiamato art. 53 la fonte del diritto fatto valere in giudizio e lo ha ritenuto insussistente, disattendendo la interpretazione posta dal ricorrente alla base della domanda ed escludendo che la disposizione, nella parte in cui prevedeva che l’inquadramento definitivo sarebbe stato effettuato dal Consiglio di Amministrazione, “previa valutazione dei requisiti e delle funzioni effettivamente svolte a partire dalla data di istituzione dell’Agenzia”, attribuisse al B. il diritto a vedersi riconoscere in modo automatico la qualifica corrispondente alle mansioni assegnategli dall’ente di destinazione, superiore a quella posseduta al momento del passaggio dal CNR.

Rispetto a detta ratio decidendi non rileva la norma contenuta nella legge istitutiva dell’Agenzia e non a caso il motivo, pur denunciandone la violazione nella rubrica, si incentra nella prima parte sulla errata interpretazione del regolamento e mira a sostenere che la rilevanza data in sede regolamentare alle funzioni svolte a all’ente di procedere a valutazioni comparative e di attribuire il livello superiore solo ai vincitori delle procedure selettive interne.

3.2. Le censure in parola sono inammissibili e non possono essere scrutinate, in quanto i regolamenti del personale degli enti pubblici non hanno natura normativa, sicchè in sede di legittimità non ne può essere denunciata la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, con la conseguenza che non è consentita alla Corte la interpretazione diretta degli stessi, riservata al giudice del merito (Cass. 24.10.1998 n.10581; Cass. 6.3.1987 n.2398; Cass. 3.6.1985 n. 3311).

Il ricorrente, quindi, ove si dolga della esegesi data alla disposizione regolamentare, può solo lamentare la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale e la censura deve essere formulata in modo specifico, con la indicazione dei canoni in concreto violati e delle ragioni per le quali la sentenza impugnata si sarebbe discostata dalle regole dettate dagli artt. 1362 c.c. e ss., non potendo la denuncia del vizio risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata.

Il ricorso non individua le disposizioni normative con le quali l’esegesi data al regolamento dalla Corte territoriale si porrebbe in contrasto, nè chiarisce i motivi per i quali si doveva pervenire a ricostruire in termini difformi la volontà espressa dall’atto regolamentare, sicchè si risolve in un’inammissibile censura della valutazione di merito espressa dal giudice di appello e sollecita una revisione critica del ragionamento decisorio, non consentita in sede di legittimità.

3.3. Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui fa leva sul contenuto della Delib. 24 marzo 1992, n. 345 con la quale era stato disposto l’inquadramento del B. nel livello superiore, e sostiene la irrilevanza, quanto alla efficacia dell’atto, della mancata approvazione da parte del Ministero vigilante.

La censura è formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 perchè non riporta nel ricorso il contenuto degli atti sopra indicati, non li include nell’elenco redatto in calce nè indica in quale sede e da chi gli stessi sono stati prodotti.

Occorre ribadire che i requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c. rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo la esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile (Cass. S.U. 7.11.2013 n. 25038).

In difetto la censura non può che essere dichiarata inammissibile.

3.4. A soli fini di completezza osserva il Collegio che la intervenuta contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico non ha modificato retroattivamente la natura degli atti adottati nella fase pubblicistica del rapporto medesimo, che restano disciplinati, quanto ai requisiti di validità e di efficacia, dalla normativa vigente al momento della loro adozione.

Tutte le considerazioni che si leggono nel ricorso sulla natura negoziale della Delib. 24 marzo 1992, n. 345 e sulla irrilevanza della mancata approvazione da parte del Ministero, una volta che l’ASI aveva riconosciuto il diritto alla qualifica superiore, sono, dunque, prive di fondamento, tanto più che, anche nell’impiego pubblico contrattualizzato, il datore di lavoro ha solo il potere di adattare i profili professionali alle proprie esigenze organizzative e non può riconoscere inquadramenti di miglior favore, con la conseguenza che l’atto assunto in violazione di quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla legge, non può fondare alcun diritto soggettivo del dipendente, perchè affetto da nullità (Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744).

4. Dalle considerazioni che precedono discende anche la infondatezza del secondo motivo di ricorso, giacchè, una volta escluso il diritto del B. a essere inquadrato nel 2^ livello, quale automatico effetto dello svolgimento di mansioni superiori, va parimenti escluso che il ricorrente possa rivendicare il pagamento delle differenze retributive per il periodo in cui dette mansioni superiori pacificamente non sono state più espletate, avendo l’amministrazione lasciato il dipendente in una condizione di sostanziale inattività.

Il principio in forza del quale il lavoratore, assegnato allo svolgimento di compiti esprimenti una professionalità maggiore rispetto a quella della qualifica di assunzione, acquisisce il diritto a espletare anche per il futuro le mansioni superiori e, quindi, a conservare il trattamento retributivo in caso di successiva privazione di dette mansioni, opera solo nell’impiego privato e a condizione che si realizzino i presupposti fattuali dai quali l’art. 2103 c.c., nel testo applicabile ratione temporis, fa discendere l’acquisizione definitiva del diritto alla qualifica superiore.

La disciplina delle mansioni nell’impiego pubblico contrattualizzato differisce sensibilmente da quella civilistica, perchè vengono in rilievo interessi di carattere generale, quali sono quelli dell’efficienza degli uffici pubblici, del pubblico concorso (che secondo la giurisprudenza costituzionale opera anche in caso di inquadramento nella fascia funzionale superiore, cfr. Corte Cost. 29.5.2002 n. 218), del contenimento e della necessaria predeterminazione della spesa, che impongono al datore di lavoro pubblico, fatta eccezione per i casi espressamente previsti dalla legge, di assegnare al dipendente solo compiti che siano corrispondenti alla qualifica di assunzione o a quella legittimamente “acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nel testo applicabile ratione temporis).

In detti rapporti, quindi, l’esercizio di mansioni superiori in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, tanto che, ove l’assegnazione venga disposta dal datore senza che ricorrano i presupposti previsti dalla legge, la stessa è affetta da nullità e il dipendente può solo rivendicare il trattamento retributivo corrispondente alla qualità e quantità del lavoro prestato, limitatamente al periodo in cui la prestazione è stata eseguita. Il legislatore, inoltre, ha anche previsto, a conferma di quanto si è detto sulla presenza di interessi generali di rilievo costituzionale, la responsabilità personale del dirigente che abbia dato causa ai maggiori esborsi, ove ciò sia avvenuto in conseguenza di dolo o colpa grave.

Il ricorso, quindi, muove da un’errata interpretazione del quadro normativo, alla luce del quale, in realtà, la assegnazione del dipendente a mansioni superiori non può produrre effetti per il futuro, nel senso che non dà titolo alla conservazione delle mansioni conferite e del relativo trattamento economico, perchè, al contrario, proprio la nullità dell’atto di conferimento impone al datore di lavoro di ripristinare la legalità, mediante la assegnazioni di compiti compatibili con la qualifica di assunzione.

4.1. Il motivo è poi inammissibile nella parte in cui invoca il giudicato esterno intervenuto fra le parti, perchè il potere proprio della Corte di Cassazione di procedere alla interpretazione diretta del giudicato, in tanto può essere esercitato in quanto il ricorso sia formulato nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione, già evidenziati al punto 3.3., che impongono al ricorrente di riportare “il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale.” (Cass. 13.12.2006 n. 26627 e Cass. 13.3.2009 n. 6184).

5. Il ricorso va pertanto rigettato con condanna del B. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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