Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14664 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. un., 05/07/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 05/07/2011), n.14664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24877/2010 proposto da:

N.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell’avvocato SCORDAMAGLIA

Vincenzo, che la rappresenta e difende, per procura speciale del

notaio Dott. Raffaele Capriulo di Conversano, rep. 6240 del

18/10/2010, in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 148/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 29/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/03/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato Vincenzo SCORDAMAGLIA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. PASQUALE PAOLO

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Dott.ssa N.A.R., giudice presso il Tribunale di Matera, era incolpata dell’infrazione disciplinare prevista dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. v), poichè quale Giudice presso il Tribunale di Bari, avendo valutato in sede di impugnazione per riesame la fondatezza e validità degli indizi posti a sostegno della misura cautelare applicata al sig. P.F., violando i doveri di riserbo e di equilibrio, rilasciava alla stampa, in occasione di un successivo provvedimento del g.i.p., alcune dichiarazioni che venivano pubblicate in data (OMISSIS) sul quotidiano “(OMISSIS)”. In particolare la stessa affermava che: “Ripeto, ho pianto per i bambini. I loro corpi sono i morti che mancavano. Io credo che il ritrovamento non crei contrasto con l’impianto accusatorio dell’epoca quando gli elementi acquisiti risultarono sufficienti per sostenere il coinvolgimento del padre e la sua custodia cautelare. La situazione non è cambiata, anche alla luce dei due corpi ritrovati. Quando la difesa riuscirà a scalfire l’impianto dell’accusa e a dimostrare che invece lo è, saranno possibili altre valutazioni. E’ omicidio anche se si vede cadere qualcuno o se si sa che è in pericolo di vita e non si fa nulla” Ed ancora: “Ci sono molte cose che restano inspiegate e che lui dovrebbe spiegare. Resta un punto fermo e cioè che lui quella sera è stato visto nella (OMISSIS) con i suoi figli. Deve dire dove ha portato i bambini quella sera, deve spiegare. Invece dice di non aver visto i figli quella sera, non ha risposto a molte domande, ha depistato, non ha offerto alcuna giustificazione. E mi chiedo qual è il padre che non vede tornare i suoi figli e che alle sei e mezzo del mattino se ne va a lavorare? Lui ha dimostrato quantomeno noncuranza, indifferenza e disaffezione……Difendo il lavoro della Procura e della squadra mobile in questa inchiesta. E’ stato mirabile. Adesso tutti sono bravi a dire questo o quello, con il senno di poi. Ma prima era come cercare un ago in un pagliaio”.

Con la descritta condotta la Dott.ssa N. ledeva indebitamente l’immagine del sig. P.F. accreditando nell’opinione pubblica la convinzione del coinvolgimento del padre nella morte dei due figli.

1.1. La vicenda prendeva le mosse con la nota del 4 aprile 2008 che la Camera Penale di Bari indirizzava al Ministro della Giustizia ed al Procuratore Generale della Corte di cassazione allegando un documento dal titolo “Ancora una volta in difesa della giurisdizione e dei principi di libertà e dignità della persona” con le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal Presidente del Tribunale del riesame di Bari.

Con nota del 9.5.2008 la Procura Generale chiedeva al Presidente della Corte d’Appello di Bari di disporre opportuni accertamenti in ordine alle dichiarazioni rilasciate dalla Dott.ssa N.A. (oltre che da altro magistrato) di cui alla nota della Camera Penale.

All’esito della nota del 22 maggio 2008 del Presidente della Corte d’Appello di Bari la Procura Generale con provvedimento del 10.6.2008 disponeva l’archiviazione degli atti relativi alla segnalazione della Camera Penale di Bari nei confronti della Dott.ssa N. (e di altro magistrato).

Con nota del 18.3.2008 il Presidente della Corte dAppello di Bari trasmetteva una segnalazione del Presidente del Tribunale di Bari circa un articolo pubblicato sul “(OMISSIS)” l'(OMISSIS), contenente delle dichiarazioni rilasciate dalla Dott.ssa N.; attesa la sussistenza del fatto storico e la rilevanza disciplinare dello stesso, si proponeva l’inizio della relativa azione.

Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione adottava decreto di archiviazione con atto del 10 giugno 2008 comunicato al Ministro della giustizia con nota di trasmissione del 16 giugno 2008, ricevuta in pari data.

1.2. Successivamente il Ministro della Giustizia, con nota del 23 dicembre 2008, promuoveva azione disciplinare per gli addebiti di cui in epigrafe. Su richiesta del Procuratore Generale veniva interrogata dall’Avvocato Generale della Corte d’Appello di Milano e dalla Polizia Giudiziaria di Milano la Sig. F.G., autrice dell’articolo apparso sul “(OMISSIS)”. Veniva interrogata dal Procuratore Generale anche la sig. C.M..

Interrogata il 4.11.09 dal Sostituto Procuratore Generale, la Dott.ssa N., riportandosi alla relazione inviata al Presidente del Tribunale di Bari, negava di aver rilasciato alcuna dichiarazione in merito alla vicenda ” P.”; negava comunque di avere ricevute telefonate dalla giornalista F. o dalla C..

Con nota del 15.12.2009 il Procuratore Generale chiedeva fissarsi la discussione orale.

2. All’udienza così fissata il difensore della Dott.ssa N. eccepiva il ne bis in idem in quanto la Procura Generale della Corte di cassazione aveva disposto l’archiviazione degli atti relativi alle segnalazioni pervenute nei confronti della Dott.ssa N. (nonchè di altro magistrato) in ordine alla vicenda dei fratellini di (OMISSIS).

La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con sentenza del 9-29 luglio 2010 dichiarava la Dott.ssa N. A.R. responsabile della incolpazione ascrittale e le infliggeva la sanzione disciplinare dell’ammonimento.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il magistrato incolpato con tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo la ricorrente deduce che l’azione disciplinare è stata esercitata dal Ministro della giustizia solo nei suoi confronti, dopo che l’archiviazione in relazione allo stesso fatto era stata disposta dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione anche nei confronti di altro magistrato, non più perseguito, così denunciando disparità di trattamento.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che l’azione disciplinare è stata nuovamente esercitata dopo il provvedimento di archiviazione del Procuratore Generale comunicato al Ministro della giustizia senza che quest’ultimo abbia esercitato l’azione nei termini previsti dall’art. 16, comma 5 bis.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l’illogicità della pronuncia impugnata, in particolare in riferimento alla valutazione della prova.

2. Il secondo motivo del ricorso – che va esaminato per primo perchè logicamente preliminare – è fondato.

3. Il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 14, comma 1, prevede in generale che l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati è “promossa” vuoi dal Ministro della giustizia, vuoi dal Procuratore Generale presso questa Corte.

Il primo ne ha la “facoltà”, secondo la previsione dell’art. 107 Cost., comma 2, che trova riscontro ed attuazione nel comma 2, dell’art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 109 del 2006, che appunto prevede che il Ministro della giustizia ha appunto la facoltà di promuovere, entro un anno dalla notizia del fatto, l’azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale.

Il secondo – il Procuratore Generale – ha invece l'”obbligo” di promuovere fazione disciplinare (art. 14, comma 3, cit.) nello stesso termine di un anno dalla notizia del fatto o dalla “segnalazione” del Ministro della giustizia o da una “denuncia circostanziata” (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1).

Al promuovimento facoltativo dell’azione disciplinare da parte del Ministro si giustappone il promuovimento obbligatorio per il Procuratore Generale, che per quest’ultimo è tale (ossia obbligatorio) innanzi tutto se egli è investito da una “segnalazione” o “richiesta di indagini” del Ministro. Inoltre l’obbligo di promuovimento dell’azione disciplinare sussiste se perviene al suo ufficio una denuncia “circostanziata” in riferimento soprattutto all’obbligo di comunicazione al P.G. (nonchè al Ministro) di ogni fatto disciplinarmente rilevante sancito dal comma 4 dell’art. 14 (ma una “denuncia” può essere fatta pervenire al P.G. anche da chi non ne abbia l’obbligo); sicchè una denuncia non “circostanziata”, che è tale quando non contiene “tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare” e quindi è generica o manifestamente infondata, non costituisce “notizia di rilievo disciplinare” (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1), ma – ove il P.G. non ritenga di svolgere sommarie indagini preliminari per verificare se il fatto denunciato possa arricchirsi di elementi fino a qualificarsi notizia “circostanziata” – la denuncia “non circostanziata” va non di meno definita con un formale provvedimento di archiviazione D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 16, comma 5 bis (per il quale v. infra). In tale evenienza in cui, non essendo la denuncia circostanziata, non c’è l’obbligo di promuovimento dell’azione disciplinare, il provvedimento di archiviazione viene adottato de plano, ossia omessa la fase degli atti di indagine.

L’atto di promuovimento dell’azione disciplinare, che segna l’inizio del procedimento disciplinare (art. 15, comma 3) consiste, quanto al P.G., nella comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede (art. 14, comma 3); e, quanto al Ministro, nella richiesta di indagini rivolta dal Ministro al Procuratore generale, richiesta di cui il Ministro da parimenti comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede (art. 14, comma 2).

4. Promossa l’azione disciplinare ed iniziato il procedimento disciplinare vanno innanzi tutto attivate le garanzie di difesa del magistrato incolpato mediante la tempestiva comunicazione (entro trenta giorni.) dell’inizio del procedimento con l’indicazione del fatto che gli viene addebitato (art. 15, comma 4); garanzia questa che si aggiunge a quella del termine di durata massima (due anni) della fase degli atti di indagine, superato il quale senza che sia stata elevata l’incolpazione il procedimento disciplinare si estingue (art. 15, comma 7).

La regolamentazione di questa fase che precede l’eventuale e formale incolpazione, ossia la fase dell’espletamento degli atti di indagine, è contenuta nello stesso D.Lgs. n. 109 del 2006 (essenzialmente nel suo art. 16) con l’integrazione residuale costituita dal rinvio alle norme del codice di procedura penale. L’art. 16, comma 2, infatti prevede che per l’attività di indagine si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale, eccezione fatta per quelle che comportano l’esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell’imputato, delle persone informate sui fatti, dei periti e degli interpreti (si applica, comunque, l’art. 133 c.p.p. sull’accompagnamento coattivo di testimoni, periti ed altre persone).

Il dominus di questa fase è il solo P.G. essendo l’iniziativa del Ministro prevista solo per l’iniziale “segnalazione” o “richiesta di indagini”, ma non anche per il compimento di specifici atti di indagine. Però nel corso degli atti di indagine il Ministro può chiedere al P.G. che l’azione disciplinare sia estesa ad “altri fatti”.

In questa fase il Procuratore Generale assomma in sè l’esercizio sia di funzioni propulsive, ricercando la prova come il p.m. nelle indagini preliminari del procedimento penale, che funzioni di garanzia, perchè può pronunciarsi sulla notizia di addebito disciplinare adottando il provvedimento di archiviazione di cui all’art. 16, comma 5 bis, che nel rito penale è emesso dal giudice per le indagini preliminari su richiesta del p.m. (art. 409 c.p.p.).

5. La fase degli atti di indagine costituisce quindi non già un procedimento amministrativo, quale quello disciplinare nel lavoro pubblico non contrattualizzato, tali e tante essendo le differenze rispetto a quest’ultimo, ma un procedimento “giurisdizionalizzato” in ragione della speciale tutela di rilievo costituzionale riservata alla posizione del magistrato incolpato.

La “giurisdizionalizzazione” di questa fase, che precede il giudizio disciplinare sull’eventuale incolpazione, è resa poi del tutto evidente dalla previsione dell’art. 15, comma 8, lett. b), che contempla la sospensione del termine di durata massima della fase ove durante il procedimento disciplinare venga sollevata questione di legittimità costituzionale. Ciò da la misura della “giurisdizionalizzazione” della fase in chiave appunto di garanzia, perchè veicola nel procedimento disciplinare il rispetto dei principi costituzionali (a partire dal principio di eguaglianza);

garanzia peraltro accresciuta dai più recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale sulla rilevanza anche dei principi della CEDU (C. cost. nn. 348 e 349 del 2007).

6. L’esito di questa fase – in disparte l’ipotesi della denuncia non circostanziata di cui si è già detto – può essere plurimo.

Il P.G. può ritenere che le risultanze degli atti di indagine abbiamo mostrato che il fatto addebitato non costituisce condotta disciplinarmente rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis o non rientra in alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 2, 3 e 4 oppure il fatto addebitato risulta inesistente o non commesso.

Oppure il P.G. può ritenere che vi siano elementi per una declaratoria di non luogo a procedere.

Nell’una e nell’altra ipotesi c’è un fatto formalmente addebitato al magistrato incolpato ed indicato nella comunicazione di cui all’art. 15, comma 4; ed è in relazione a questo fatto che il P.G. non formula l’incolpazione perchè ritiene che non ne sussistano i presupposti.

La doppia via – provvedimento di archiviazione emesso dallo stesso P.G. ovvero richiesta alla sezione disciplinare del C.S.M. di emettere una declaratoria di non luogo a procedere (ossia una ordinanza di proscioglimento) – implica un coordinamento che in realtà manca negli artt. 16 e 17, anche perchè inizialmente il testo originario di tale disposizioni prevedeva solo una di queste due ipotesi: la richiesta del P.G. di declaratoria di non luogo a procedere; sicchè l’alternativa era chiara perchè si poneva nettamente tra richiesta di proscioglimento e richiesta di affermazione della responsabilità disciplinare in ordine ad un’incolpazione che appunto veniva formulata all’esito degli atti di indagine.

Una volta che si è introdotto il provvedimento di archiviazione dello stesso P.G., l’area della richiesta della sentenza di proscioglimento si è inevitabilmente ridotta con la necessità di tracciare una linea di confine tra le due ipotesi.

In ragione del generale e residuale rinvio al codice di rito e, sotto questo profilo, alla distinzione tra provvedimento di archiviazione e sentenza di proscioglimento, può dirsi che se risulta di piana evidenza l’insussistenza dell’addebito disciplinare e quindi appare superflua la verifica nel giudizio innanzi alla sezione disciplinare del C.S.M. è possibile il provvedimento di archiviazione. Se invece non c’è questa evidenza, ma comunque le risultanze degli atti di indagine non offrono elementi sufficienti per sostenere un’incolpazione in ordine al fatto originariamente addebitato (perchè appare che non si possa raggiungere la prova sufficiente ex art. 19, comma 2), si giustifica non di meno la verifica in giudizio (seppur in camera di consiglio ex art. 17, comma 8) e quindi il P.G., in luogo di pronunciare il decreto di archiviazione, chiede alla sezione disciplinare del C.S.M. di pronunciare la declaratoria di non luogo a procedere.

7. Nell’uno e nell’altro caso il Ministro della giustizia può interloquire esprimendo in ipotesi un diverso avviso rispetto al P.G..

Nel caso del decreto di archiviazione il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16, comma 5 bis, prevede che il provvedimento di archiviazione è comunicato al Ministro della giustizia, il quale, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, può richiedere la trasmissione di copia degli atti e, nei sessanta giorni successivi alla ricezione degli stessi, può richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale, formulando l’incolpazione. Sulla richiesta si provvede nei modi previsti nei commi 4 e 5 dell’art. 17 D.Lgs. n. 109 del 2006 e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione orale, sono esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto. Il provvedimento di archiviazione acquista efficacia solo se il termine di cui sopra sia interamente decorso senza che il Ministro abbia avanzato la richiesta di fissazione dell’udienza di discussione orale davanti alla sezione disciplinare.

In tale caso è sospeso il termine di cui al comma 1 dell’art. 15.

Nel caso della richiesta di sentenza di proscioglimento l’art. 17, commi 6 e 7, prevede che il Procuratore generale, ove ritenga che si debba escludere l’addebito, fa richiesta motivata alla sezione disciplinare per la declaratoria di non luogo a procedere. Della richiesta è data comunicazione al Ministro della giustizia, nell’ipotesi in cui egli abbia promosso l’azione disciplinare, ovvero richiesto l’integrazione della contestazione, con invio di copia dell’atto. Il Ministro della giustizia, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 6, può richiedere copia degli atti del procedimento, nell’ipotesi in cui egli abbia promosso l’azione disciplinare, ovvero richiesto l’integrazione della contestazione, e, nei venti giorni successivi alla ricezione degli stessi, può richiedere al presidente della sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale, formulando l’incolpazione.

Quindi nell’uno e nell’altro caso il Ministro che non condivida le determinazioni del P.G. può egli formulare l’incolpazione e chiedere alla sezione disciplinare del C.S.M. di pronunciarsi su quella incolpazione.

Se invece non formula l’incolpazione, aderisce, espressamente o implicitamente, alle determinazioni del P.G.: nel primo caso, alla pronuncia del decreto di archiviazione; nel secondo caso, alla richiesta di declaratoria di non luogo a procedere rivolta alla sezione disciplinare; la quale ultima decide vuoi accogliendo la richiesta e pronunciando l’ordinanza di non luogo a procedere, vuoi rigettando la richiesta stessa con la conseguenza che il P.G. deve formulare l’imputazione (al pari della c.d. imputazione coatta nel processo penale).

8. Nell’articolato quadro normativo così descritto, un ulteriore, più specifico, problema ricostruttivo ora si pone ed è quello che maggiormente rileva in questo giudizio: la verifica della stabilità del decreto di archiviazione non “opposto” dal Ministro nei termini suddetti.

Tale provvedimento rappresenta la “risposta” ordinamentale all’iniziale contestazione del fatto addebitato con la comunicazione di apertura del procedimento disciplinare; quindi chiude la fase degli atti di indagine e con essi il procedimento disciplinare. Nè l’art. 16, comma 5 bis, prevede alcuna possibile revoca del decreto di archiviazione, nè è evocabile la disciplina del procedimento amministrativo quanto ai possibili provvedimenti in autotutela (id est: revoca dell’atto amministrativo), perchè come già rilevato – nella specie non si tratta di un procedimento amministrativo, ma si gravità in un’area “giurisdizionalizzata”.

Non di meno però il rinvio residuale alla disciplina processuale penale impone di considerare che, nel processo penale, il decreto di archiviazione non ha la stessa stabilità di una sentenza di proscioglimento essendo previsto dall’art. 414 c.p.p. un procedimento che conduce alla riapertura delle indagini (richiesta del p.m. e decreto motivato del g.i.p.), mentre la sentenza di proscioglimento è solo impugnabile (ex art. 428 c.p.p.). E lo stesso può predicarsi nella specie con riferimento al procedimento disciplinare in esame:

il decreto di archiviazione del P.G., non opposto dal Ministro, non ha comunque la stessa stabilità dell’ordinanza di proscioglimento della sezione disciplinare del C.S.M..

D’altra parte l’introduzione (ad opera della L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3, lett. h, n. 2) del provvedimento di archiviazione del P.G., inizialmente non previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16, nella sua originaria formulazione, mostra l’intenzione del legislatore di approntare una tutela più rapida ed agile al magistrato destinatario di una comunicazione di inizio di procedimento disciplinare, il quale risulti non aver commesso alcun illecito disciplinare, consentendo che il procedimento si concluda più rapidamente senza la verifica del giudizio (camerale) innanzi alla sezione disciplinare e prima che spiri il termine di durata massima della fase degli atti di indagine.

9. Occorre quindi operare un bilanciamento tra questa esigenza di tutela, cui poi è sempre sotteso il rilievo costituzionale della funzione del giudice, e l’esigenza sistematica di trarre una conseguenza dalla differenza, in termini di stabilità, tra decreto di archiviazione e ordinanza di proscioglimento.

Una traccia in chiave esegetica è costituita dalla previsione, contenuta nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 14, comma 3, della facoltà del Ministro di chiedere al P.G. di estendere l’azione disciplinare anche ad “altri fatti”. Anche il P.G. può contestare “fatti nuovi” nel corso delle indagini (art. 14, comma 5) procedendo ad un'”ulteriore contestazione” (art. 15, comma 4): una vera e propria contestazione suppletiva a somiglianzà di quella prevista dagli artt. 516-520 c.p.p..

Può allora dirsi che il decreto di archiviazione divenuto efficace ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16, comma 5 bis, determina sì una preclusione perchè in ordine al fatto addebitato chiude il procedimento disciplinare e costituisce la “risposta” all’originaria contestazione di addebito.

Però – in disparte il fatto ulteriore e diverso che facoltizza il promuovimento di una nuova e distinta azione disciplinare (con un nuovo termine di fase) – non può escludersi che successivamente emerga un quid novi in termini di elementi circostanziali del fatto originariamente addebitato, sì da modificare la prospettiva di tale fatto e da giustificare la riapertura della fase degli atti di indagine, sempre che con sia già decorso il termine di durata massima della fase. Però – al pari dell'”ulteriore contestazione” di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 4, che richiede una nuova comunicazione, e a somiglianzà dell’art. 414 c.p.p., comma 2, che richiede una nuova iscrizione nel registro degli indagati – occorre ima distinta comunicazione, da parte del P.G., di riavvio degli atti di indagine che, alla chiusura delle stesse, può legittimare anche la formulazione dell’incolpazione a condizione che il riavvio del procedimento disciplinare risulti giustificato e sia adeguatamente motivato (v. l’art. 414 c.p.p., comma 1, che richiede il decreto motivato di riapertura delle indagini; cfr. altresì Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26809, che richiede la motivazione e quindi la giustificatezza dei nuovi atti di indagine).

10. Nella specie il P.G. ha adottato il decreto di archiviazione con atto del 10 giugno 2008, comunicato al Ministro della giustizia con nota di trasmissione del 16 giugno 2008, ricevuta in pari data, senza che nel termine prescritto dall’art. 16, comma 5 bis, quest’ultimo si opponesse formulando l’incolpazione.

La successiva riapertura delle indagini per lo stesso fatto originariamente addebitato al magistrato incolpato (rilascio, da parte di quest’ultimo, di un’intervista, pubblicata su un quotidiano di informazione, in ordine ad un’indagine penale che aveva visto il magistrato stesso chiamato ad emettere un provvedimento sulla misura custodiale dell’indagato) non risulta in alcun modo motivata, nè risulta il quid novi rispetto all’esito degli atti di indagine fissato nel provvedimento di archiviazione.

L’azione disciplinare non era pertanto più proponibile.

11. Il ricorso va quindi accolto nel suo secondo motivo, con assorbimento degli altri motivi e con conseguente cassazione senza rinvio dell’impugnata decisione della sezione disciplinare del C.S.M., stante l’improponibilità dell’azione disciplinare, con l’affermazione, ex art. 384 c.p.c., comma 1, del seguente principio di diritto: “Nel procedimento disciplinare a carico di un magistrato, ove il Procuratore generale presso la Corte di cassazione proceda all’archiviazione (D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 16, comma 5 bis) perchè il fatto addebitato al magistrato non costituisce condotta disciplinarmente rilevante, e il Ministro della giustizia, al quale tale provvedimento sia stato comunicato, non richieda, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, la trasmissione di copia degli atti e, nei sessanta giorni successivi alla ricezione degli stessi, non domandi al presidente della sezione disciplinare del C.S.M. la fissazione dell’udienza di discussione orale, è illegittimo il mero riavvio degli atti di indagine in ordine allo stesso fatto addebitato al magistrato, con conseguente improponibilità dell’azione disciplinare nuovamente esercitata con il successivo atto di incolpazione del magistrato medesimo, salvo che successivamente non emerga un quid novi in termini di elementi circostanziali del fatto originariamente addebitato, sì da modificare la prospettiva di tale fatto e da giustificare la riapertura della fase degli atti di indagine, e sempre che non sia già decorso il termine di durata massima della fase”.

12. Sussistono giustificati motivi (in considerazione della novità e problematicità delle questioni dibattute) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata senza rinvio;

compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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