Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1466 del 20/01/2017
Cassazione civile, sez. VI, 20/01/2017, (ud. 23/11/2016, dep.20/01/2017), n. 1466
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22612-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
D.E., D.V., Z.A., D.A.,
D.D. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 27,
presso lo studio dell’avvocato LUIGI FERRARI, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO PEZZE’, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrenti –
per revocazione dell’ordinanza n. 6194/2015 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZ1ONE di ROMA del 10/07/2014, depositata il 26/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/11/2016 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA;
udito l’Avvocato FERRARI LUIGI, difensore dei controricorrenti, che
si riporta agli scritti e chiede il rigetto del ricorso.
Fatto
IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., affidato ad un unico motivo, nei confronti di Z.A., D.A., D.D., D.E. e D.V. (che resistono con controricorso), avverso la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 6194/2015, depositata in data 26/03/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento per imposta di registro – è stato dichiarato inammissibile, per violazione del termine previsto dall’art. 327 c.p.c., il ricorso per cassazione (spedito per la notifica il 4/07/2013) avverso la sentenza della Commissione Tributaria di 2^ grado di Trento n. 7/02/2012 depositata in data 13/02/2012.
La ricorrente, nel merito e nel rescissorio, insiste per l’accoglimento del ricorso per cassazione originariamente proposto.
A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
Diritto
IN DIRITTO
1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, l’errore di fatto revocatorio in cui sarebbe incorsa questa Corte per errata od omessa percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio, non essendosi essa avveduta che, stante il valore della lite, non superiore ad Euro 20.000,00, ed essendo la causa pendente, presso un grado del giudizio, alla data del 1/05/2011, ricorrevano i presupposti per il condono e quindi per l’applicazione della sospensione dei termini processuali previsti dal D.L. n. 98 del 2011.
2. Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Questa Corte, anche di recente (Cass.15286/2015), ha chiarito che, secondo consolidata giurisprudenza, l’errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, consiste nell’erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato: tal genere di errore presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio, e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.
Il suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronunzia sarebbe stata diversa.
La ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta l’errore percettivo nel quale sarebbe incorsa questa Corte nel non avvedersi che, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, lett. c) entrato in vigore il 6/07/2011, conv. con modifiche dalla L. n. 111 del 2011, art. 327 c.p.c. ed L. n. 742 del 1969, art. 1 operava, nel giudizio, la sospensione (sino al 30 giugno 2012, a prescindere dall’effettiva presentazione da parte del contribuente di domanda di definizione) dei termini processuali prevista dall’art. 39, lett. c) citato, trattandosi di lite pendente alla data del 10/05/2011, con valore non superiore ad Euro 20.000,00, e quindi definibile ai sensi della suddetta disposizione.
Ora, occorre rammentare che, come chiarito da questa Corte (Cass. 8907/2010), “l’errore di fatto che può legittimare la domanda di revocazione della sentenza di cassazione deve riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità (ossia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con la propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione, restando escluso, per converso, che possano essere comunque considerati “atti interni” al giudizio gli atti del, fascicolo di merito, ed in specie del giudizio di appello, che non debbano essere esaminati direttamente dalla Corte di Cassazione (in quanto non investiti direttamente dalla denuncia di un “error in procedendo”) e che, peraltro, neppure siano richiamati nel ricorso e nel controricorso (nè risultino dalla lettura della sentenza)”.
L’assunto della ricorrente, secondo il quale si trattava di una lite, per valore, definibile per condono D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39 con conseguente sospensione dei termini processuali, riguarda necessariamente il ricorso di primo grado, introduttivo del giudizio (anzi i cinque ricorsi distinti, poi riuniti dalla Commissione Tributaria di 1 grado), non dunque “atti interni al giudizio di cassazione”, e non emerge dalla decisione impugnata.
Inoltre, la questione posta è questione di diritto, sia pure basata su presupposti fattuali, tutti sottoposti a valutazione del giudice, in quanto anche il valore della controversia (inferiore ad Euro 20.000,00, secondo la ricorrente Agenzia che considera il valore dei singoli ricorsi, poi riuniti in primo grado) implica l’applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, lett. c), (richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39), in relazione all’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo (Cass. 99255/2011; Cass. 17362/2014).
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, a titolo di compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario spese generali, nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017