Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14656 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/06/2017, (ud. 24/01/2017, dep.13/06/2017),  n. 14656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16552/2014 proposto da:

D.L., C.F. (OMISSIS) n.q. di erede di S.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 98/G, presso lo

studio dell’avvocato FABIO SCATAMACCHIA, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

W.P.B. WATER PUMP BEARING GMBH & CO. KG P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio

dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati FRANCO ZANETTA, VERA ZANETTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28426/2013 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 19/12/2013 R.G.N. 15008/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostimto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilità del

ricorso;

udito l’Avvocato FABIO SCATAMACCHIA;

udito l’Avvocato FRANCO ZANETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 19 marzo 2012, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da S.M. volto a far accertare l’illegittimità del licenziamento a costei intimato in data 26 maggio 2006 dalla società WPB Water Pump Bearing GMBH & Co. KG per giustificato motivo oggettivo consistente nel fatto che, a seguito delle limitazioni all’idoneità stabilite dal medico competente dello (OMISSIS), la prestazione parziale e frammentata che la lavoratrice era in grado di offrire non poteva essere utilmente impiegata in azienda.

Con sentenza n. 28426 del 19 dicembre 2013 questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da S.M..

2. Per la revocazione di tale sentenza avanza ricorso Luigi Dalessandro, nella qualità di coniuge ed erede di S.M., con nove motivi. Ha resistito la società intimata con controricorso. Parte ricorrente ha altresì comunicato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Opportuno premettere che – come già ritenuto da questa Corte (Cass. n. 13299 del 2011; Cass. SS.UU. n. 4413 del 2016) – l’avvenuta fissazione della trattazione di un ricorso per revocazione in udienza pubblica – anzichè, come prescritto dall’art. 391 bis c.p.c., in Camera di consiglio – è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l’udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di Cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compiutamente i propri assunti. Inoltre in tale evenienza, ove il ricorso sia ritenuto ammissibile e fondato, non occorre il rinvio per la fase rescissoria potendo la Corte, nella stessa udienza pubblica, decidere il ricorso per revocazione ed eventualmente, in caso di suo accoglimento, anche il ricorso in precedenza deciso con la pronuncia oggetto di revocazione.

2. Tanto premesso, la Corte, esaminati e valutati i nove motivi del ricorso per revocazione, giudica il medesimo inammissibile.

In esso, infatti, vengono del tutto trascurati o male intesi i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’ipotesi di revocazione di cui dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Invero tale ipotesi sussiste se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Pacificamente per questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi, tra molte, Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 4413 del 2016).

Pertanto in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa.

In particolare, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; n. 4605 del 2013, n. 16003 del 2011), l’errore percettivo denunziabile ex art. 391-bis c.p.c., è quello che si sostanzia nella mancata percezione da parte della Corte della esistenza di un motivo, come tale ignorato nella pronuncia, nel mentre fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga l’interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità.

E’ stato precisato che, pur non essendo sufficiente ad escludere detto errore il segno grafico di avere esaminato il fatto materiale o processuale, è tuttavia sufficiente una espressione concettuale dialettica di esame (Cass. n. 24953 del 2014). Inoltre non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013).

2.1. Ciò posto, con il primo motivo di gravame si denuncia “errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), risultante dagli atti o documenti di causa”. Si assume che “la revocanda sentenza in ordine ai motivi 3, 4, 6, 7, 8 e 9 di ricorso per cassazione” avrebbe commesso un “errore percettivo” e sarebbe “incorsa nella violazione del giudicato” in relazione della sentenza della Corte di Appello di Torino n. 855/2007.

Il motivo, come formulato, è inammissibile perchè privo di adeguata specificità circa l’errore revocatorio denunciato, avuto riguardo a tutti i caratteri che esso deve avere secondo la giurisprudenza innanzi richiamata, e perchè noncurante del canone dell’autosufficienza, non riportando compiutamente il contenuto della pronuncia d’appello che costituirebbe, secondo la prospettazione di parte ricorrente, un precedente giudicato asseritamente violato dalla sentenza impugnata.

Inoltre la sentenza n. 28426 del 2013 di questa Corte ha espressamente tenuto conto di detta pronuncia, valutandola ai fini della eccepita eccezione di giudicato, e tale apprezzamento, per quanto innanzi detto, non è certamente sindacabile quale errore revocatorio.

2.2. Con il secondo motivo di gravame si denuncia “omessa lettura ed esame di un motivo di ricorso per cassazione”, precisamente del decimo motivo dell’originario ricorso; con il terzo motivo si denuncia “omessa lettura ed esame di un motivo di ricorso per cassazione”, precisamente del quindicesimo motivo dell’originario ricorso; con il quarto motivo si denuncia “omessa lettura ed esame di un motivo di ricorso per cassazione”, precisamente del diciassettesimo motivo dell’originario ricorso; con il quinto motivo si denuncia “omessa lettura ed esame di un motivo di ricorso per cassazione”, precisamente del ventunesimo motivo dell’originario ricorso; con il sesto motivo si denuncia “omessa lettura ed esame di un motivo di ricorso per cassazione”, precisamente dell’undicesimo, del dodicesimo, del tredicesimo, del quattordicesimo, del sedicesimo, del diciottesimo, del ventiduesimo, del ventitreesimo motivo dell’originario ricorso; con l’ottavo motivo si denuncia “omessa lettura ed esame di un motivo di ricorso per cassazione”, precisamente del quinto motivo dell’originario ricorso.

Il Collegio, scrutinato ciascuno di detti motivi, reputa i medesimi inammissibili.

Infatti la sentenza n. 28426 del 2013 di questa Corte non ha affatto omesso la lettura e l’esame degli originari motivi del ricorso per cassazione ancora qui ricordati, ma ha giudicato i medesimi – dopo averli ritenuti “suscettibili di esame congiunto” come certamente poteva fare – tutti “inammissibili” perchè “riferibili a vizi di motivazione invocando la ricorrente un sindacato di merito che non compete a questa Corte nè è compatibile con il giudizio di legittimità”. Ed essi sono effettivamente tali, anche quando formalmente qualificati sotto l’involucro solo formale della violazione di legge (quali il decimo, il quindicesimo, il diciassettesimo, il ventunesimo motivo dell’originario ricorso per cassazione), come comprovato dalla ricorrenza in essi di un reiterato riferimento ai fatti ed ai documenti versati in giudizio. Sicchè la valutazione espressa dalla sentenza qui impugnata, lungi dal consumare un errore percettivo, si traduce in una diversa opinione rispetto a quella patrocinata dalla parte, che in ogni caso non può attingere l’interpretazione dei contenuti implicanti attività valutativa. Nè la Corte aveva necessità di confutare ogni aspetto profilato nei singoli motivi, essendo sufficiente che, rispetto ad essi, caratterizzati dalla omogeneità del vizio di inammissibilità in cui sono incorsi, abbia espresso il fondamento del decisum (cfr. Cass. n. 26929 del 2016).

Va in proposito ancora qui ribadito che, in tema di revocazione, integra errore revocatorio di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, legittimante la revocazione della sentenza resa dalla Corte di cassazione per omesso esame di un motivo di ricorso, non la semplice carenza, nella motivazione della sentenza, di qualsiasi giustificazione “in iure” circa il mancato esame di un motivo pur presente nel ricorso, bensì l’erronea supposizione dell’inesistenza del motivo stesso, ovvero di un fatto processuale, invece, esistente (Cass. n. 11530 del 2016; conf. Cass. n. 25560 del 2016).

2.3. Con il settimo motivo si denuncia “errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), risultante dagli atti o documenti di causa”, in quanto “la revocanda sentenza ha supposto come inesistente il prospetto mansioni depositato dalla controparte WPB”.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto non riporta il contenuto di tale documento ai fini della valutazione della necessaria decisività dell’errore revocatorio, e perchè non indica in quale parte della sentenza impugnata si affermi essere “inesistente” detto “prospetto mansioni”.

Peraltro “in materia di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, non si è in presenza di un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, allorquando sia dedotta l’erronea valutazione di un elemento processuale, quale l’allegazione e la produzione di un determinato documento, essendo esclusa dall’ambito della revocazione la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una decisione in punto di diritto” (in termini, tra le altre, Cass. n. 19926 del 2014).

2.4. Il nono motivo denuncia ancora “errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), risultante dagli atti o documenti di causa”. Si lamenta che la sentenza impugnata si sarebbe “pronunciata sull’erroneo presupposto che il licenziamento intimato alla ricorrente non può qualificarsi tale essendo sorretto invece dalla diversa ragione connessa alla ridotta attitudine della stessa a svolgere le sue mansioni, senza però che tale inidoneità fosse stata provata dalla controparte”.

Ancora una volta parte ricorrente confonde la critica alla valutazione effettuata dalla Corte con l’errore revocatorio, indulgendo inammissibilmente nella richiesta di riesame probatorio di quelli che sono inevitabilmente fatti: e cioè l’attitudine della lavoratrice a continuare a svolgere le sue mansioni così come la possibilità che la medesima potesse ancora essere utilmente impiegata in azienda.

L’apprezzamento di tali fatti, ribadisce qui la Corte, compete al monopolio esclusivo dei giudici di merito e non appartiene al giudizio di legittimità, tanto più in sede di revocazione che non può in alcun modo rappresentare l’ennesima istanza di riesame della vicenda storica.

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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