Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14654 del 11/06/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14654 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: FALASCHI MILENA

necessario —
Accertamento
sussistenza

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13588/11) proposto da:
VERI’ CIRIACO, VERI’ TOMMASO, FRASSI ANTONIETTA, VERI’ LUCA, VERI’ ALESSANDRO e
VERI’ LORENZO, quest’ultimo in qualità di procuratore generale di Veri Carlo, rappresentati e
difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Fulgenzio d’Annunzio del foro
di Lanciano ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Simona Maria Serena Salazar
in Roma, piazza Oreste Tommasini n. 20;
– ricorrenti contro
SALVATORE ANTONIETTA in Sparvieri e SALVATORE PIETRO, rappresentati e difesi dallo
stesso Avv.to Pietro Salvatore del foro di Lanciano e dall’Avv.to Achille Turri del foro di Pescara,

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Data pubblicazione: 11/06/2013

in virtù di procura speciale in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio
dell’Avv.to Alessandro Rimato in Roma, via delle Milizie n. 9;

– controricorrenti —

depositata il 5 maggio 2010.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Fulgenzio D’Annunzio, per parte ricorrente, e Pietro Salvatore, per parte
resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ignazio
Giovanni Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti i
restanti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 30, 31.7 e 3.8.1987 Giovina COLACIOPPO, vedova Salvatore,
ed i suoi figli, Pietro ed Antonietta SALVATORE evocavano, dinanzi al Tribunale di Lanciano,
Ciriaco, Tommaso VERI’, gli eredi di Costantino Veri, ossia Domenico, Carlo, Emma e Tilde Veri,
gli eredi di Vita Veri, ossia Egidio e Nila Veri, gli eredi di Nicola Veri, ossia Giuseppe, Maria Pia
Veri e Concetta Romagnoli, esponendo di essere proprietari di alcuni piccoli appezzamenti di
terreno con sovrastante fabbricato, rimessa agricola e ruderi di un fabbricato demolito, siti in
contrada San Fino di San Vito Chietino, in virtù di tre distinti atti di acquisto stipulati, i primi due,
da Giovina COLACIOPPO e dal marito Pasquale Salvatore, il terzo solo da quest’ultimo e che i
VERI’, Ciriaco, Costantino, Tommaso e Vita, assumendo di avere il compossesso dell’area in
questione con i SALVATORE, avevano ottenuto piena tutela possessoria; tanto premesso

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avverso le sentenze della Corte d’appello di L’Aquila n. 56 depositata il 18 gennaio 2007 e n. 357

agivano nei confronti dei convenuti, eredi degli originari ricorrenti, per sentire dichiarare gli attori
proprietari dei beni sopra descritti, nonché l’inesistenza dei diritti vantati sugli immobili dai predetti
Veri, con condanna degli stessi alla cessazione di ogni turbativa e molestia, oltre al risarcimento
dei danni; ordinare, inoltre, la divisione e la separazione della quota dei 2/5 delle particelle 160 e

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza di Ciriaco, Tommaso, Egidio e Carlo VERI’, i quali
deducevano che da tempo immemorabile l’area in questione era posta a servizio delle proprietà
immobiliari limitrofe ed era utilizzata dai convenuti e, prima, dai loro danti causa per
l’espletamento di lavori agricoli, deposito di materiali, passaggio e sosta di macchine e trattori, e
che la particella 160, acquistata dagli attori per una quota indivisa, apparteneva per la parte
restante non a Nicola VERI’ ma ad altri Verì non chiamati in giudizio, mentre Tilde, Emma e
Domenico Verì non vantavano alcun diritto sull’area in questione, infine spiegavano
riconvenzionale per sentirsi riconoscere comproprietari dell’area, in subordine, anche per
intervenuta usucapione, il giudice adito, espletata istruttoria, anche con c.t.u., ed acquisito il
fascicolo del procedimento di accertamento tecnico preventivo, deceduta nel corso del giudizio la
Colacioppo, Egidio Verì (per quest’ultimo si costituivano i suoi eredi, Antonietta Frassi, Luca ed
Alessandro Veri), con sentenza non definitiva (n. 15 del 2000), dichiarava i convenuti
comproprietari dell’area per intervenuta usucapione.
In virtù di rituale appello interposto dai SALVATORE, la Corte di appello di L’Aquila, nella

576 nei confronti degli eredi di Nicola Veri

resistenza degli appellati, in accoglimento del gravame, riformava la decisione impugnata,
dichiarando che i beni immobili di cui alle particelle 155 e 159, partita 2282, oggi 5095, foglio 14
del Catasto del Comune di San Vito Chietino erano di proprietà esclusiva degli appellanti,
rigettate le loro richieste risarcitorie e l’appello incidentale.
Avverso detta pronuncia della Corte di appello di L’Aquila, n. 1058 del 21.12.2004, hanno
proposto ricorso per cassazione Tommaso, Carlo, Luca, Alessandro, Ciriaco Verì e Antonietta

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Frassi, cui hanno resistito con controricorso i SALVATORE, definita con sentenza n. 23855 del
2011 di rigetto del ricorso.
Con sentenze n. 300 del 2002 e n. 64 del 2003 il Tribunale di Lanciano ha, inoltre, statuito
l’intervenuta usucapione della quota parte dei terreni individuati dalle particelle 160 e 576 del

rigetto della domanda di divisione del bene medesimo.
Avverso entrambe le decisioni hanno proposto appelli principali i SALVATORE e, limitatamente al
capo relativo alle spese processuali, appello incidentale, nei confronti della sentenza n. 300/2002,
dai VERI’-FRASSI, impugnazione incidentale poi estesa anche alla successiva decisione n.
64/2003 relativamente alla compensazione delle spese processuali. Con sentenza n. 56 del
18.1.2007, riuniti i gravami, la Corte di appello di L’Aquila, non definitivamente pronunciando, ha
accolto gli appelli principali e in riforma di entrambe le pronunce ha riconosciuto ai medesimi
appellanti la titolarità dei 2/5 delle particelle 160 e 576, oggetto di lite, rimettendo la causa in
istruttoria per la divisione dei beni mediante separazione della quota dei 2/5 spettanti ai
SALVATORE da quella dei 3/5 spettante ai VERI’-FRASSI.
Espletata c.t.u., con sentenza n. 357 del 5.5.2010, la Corte di appello di L’Aquila, in accoglimento
del gravame interposto dai germani SALVATORE, ha dichiarato sciolta la comunione sui terreni
predetti, assegnando ai fratelli, in comunione fra loro, la porzione di are 0,34, particella 576 (ex
160/b) del foglio 14 del N.C.T. ed ai VERI’-FRASSI, in comunione fra loro, il fondo di are 0.51,
particella 4174 (ex 160/a) del foglio 14 del N.C.T..
A sostegno della decisione n. 56/2007 la corte distrettuale evidenziava che dovevano essere
confermate le argomentazioni svolte con riferimento alle particelle 155 e 159 del foglio 14, di cui
alla sentenza del Tribunale di Lanciano n. 15 del 2000, mancando prova specifica
dell’usucapione, avendo il giudice di prime cure fatto riferimento ad un godimento per uso

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foglio 14 N.C.T. del Comune di San Vito Chietino da parte dei VERI’ — FRASSI ed il conseguente

collettivo del bene, utile in ambito di rivendicazione di ius in re aliena, non già per un diritto in
comproprietà.
Quanto alla successiva decisione n. 357 del 2010, la stessa corte di merito disattendeva l’istanza
di integrazione del contraddittorio nei confronti di Antonio, Gilberto, Nice ed Anna Veli, indicati

56 del 2007 allorchè non aveva rilevato l’asserito difetto del contraddittorio, implicitamente
verificando la integrità del contraddittorio.
Concludeva che così tracciati i confini soggettivi ed oggettivi del contenzioso, andava dato corso
al già disposto scioglimento parziale della comunione esistente sul fondo, come da progetto
proposto dal c.t.u..
Avverso le indicate sentenze della Corte di appello di L’Aquila hanno proposto ricorso per
cassazione i VERI’-FRASSI, affidato a sei motivi, al quale hanno resistito i SALVATORE, con
controricorso, difese illustrate anche con memoria ex art. 378 c.p.c., non intimati gli altri VERI’,
(Nila, Domenico, Emma, Tilde, Giuseppe, Maria Pia, nochè Romagnoli Concetta).

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va dichiarata inammissibile la produzione depositata nella presente sede dai resistenti, peraltro
nei termini fissati ai fini ed ai sensi dell’art. 378 c.p.c., giacché ha a oggetto documenti, in
particolare sentenza di questa Corte n. 23855 del 2011, con la quale si è pronunciato su giudizio
connesso, che esulano dalla previsione di cui all’art. 372 c.p.c.. Tale norma consente, infatti,
la produzione nel giudizio di legittimità dei documenti relativi alla nullità della sentenza impugnata,
trovando applicazione anche ai casi di inesistenza o nullità della notificazione dell’atto introduttivo
del giudizio, allorquando si tratti di sentenza impugnabile solo col ricorso per cassazione, in
quanto in quest’ultima ipotesi la produzione dei documenti costituisce l’unico mezzo per

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quali ulteriori comproprietari delle particelle, trattandosi di questione definitiva con la sentenza n.

dimostrare la nullità della sentenza (v. in tal senso Cass. 10 marzo 2004 n. 4121; Cass. 8 giugno
2007 n. 13535; Cass. 11 febbraio 2009 n. 3373).
Tanto chiarito, con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza e del
procedimento in relazione agli artt. 102 e 784 c.p.c. per non avere la corte distrettuale disposto

proprietari delle particelle nn. 160 e 576, nonostante vi fosse in atti la prova documentale di tale
circostanza.
Il motivo è fondato.
A mente dell’art. 784 c.p.c., le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di qualsiasi altra
comunione debbono proporsi in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se
ve ne sono. E la ratio della disposizione è quasi ovvia: lo scioglimento della comunione non può
essere disposto validamente senza il contraddittorio ed una statuizione opponibile a tutti i
partecipanti alla comunione in considerazione degli effetti modificativi che dalla pronuncia sulla
divisione derivano sulla situazione giuridica preesistente. E questa Corte ha specificato al
riguardo che la qualità di litisconsorti necessari di tutti i comunisti rispetto alla domanda di
scioglimento della comunione permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall’attività
e dal comportamento di ciascuna parte; per cui, se in fase di appello l’appellante non provveda
alla citazione di uno o più partecipanti alla comunione, il giudice di secondo grado è obbligato a
disporre l’integrazione del contraddittorio in ottemperanza al precetto dell’art. 331 c.p.c., ancorché
in primo grado il giudice non abbia disposto la divisione ex ari 789 c.p.c. per insussistenza dei
presupposti (cfr. da ultimo, Cass. 15 maggio 2009 n. 11315). Nel giudizio svoltosi davanti al
Tribunale di Lanciano, infatti, il contraddittorio non era stato integrato, perché quanto alle
particelle 160 e 576 del foglio 14 era stata ritenuta la proprietà esclusiva da parte dei Veri-Frassi
per intervenuta usucapione. Altrettanto non può dirsi, invece, del giudizio di secondo grado, non
avendo gli appellanti proposto la loro impugnazione anche contro i menzionati soggetti, Antonio,

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l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Antonio, Gilberto, Nice ed Anna Veri, anche essi

Gilberto, Nice ed Anna Veri, pur avendo Ciriaco, Tommaso, Egidio e Carlo Verì dedotto, quanto
alla particella 160, che apparteneva anche ai predetti Verì e non avendo la Corte di merito
ordinato l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti. Del resto la presenza di litisconsorti
necessari viene data per scontata dalla stessa sentenza impugnata e la controparte si rifugia

L’accoglimento del primo motivo del ricorso comporta l’assorbimento dei restanti motivi, con i
quali viene in esame la decisione nel merito della controversia.
In accoglimento del ricorso, la impugnata sentenza deve, perciò, essere cassata, con rinvio alla
Corte di appello di Ancona affinché provveda, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., ordinando l’integrazione
del contraddittorio nei confronti di Antonio Veri, Gilberto Verì, Nice Veri ed Anna Verì, e affinché,
a contraddittorio integro, decida sul gravame. Al medesimo giudice di rinvio è opportuno rimettere
la relativa pronuncia sulle spese di questo grado, a norma dell’art. 385, comma terzo, c.p.c..

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte
di appello di Ancona.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, il 26 febb io 2013.

nella non opponibilità della pronuncia per escluderne l’intervento in giudizio.

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